Dopo
la recente pubblicazione
come supplemento del quotidiano
comunista “il manifesto” di una raccolta di interventi
politico-sociali del papa cattolico, non mi pare inutile “postare”
questo articolo di Sandro Magister. Mi pare che il vaticanista de
“L'Espresso” usi convenientemente per Bergoglio la categoria del
“populismo mistico”, mentre dissento fortemente da alcuni
passaggi del suo “pezzo”. Mi mare piuttosto corriva e del tutto
sbagliata, per esempio, la lettura dell'esperienza chavista in
Venezuela. (S.L.L.)
È ORMAI EVIDENTE
che il pontificato di Francesco ha due assi portanti, religioso e
politico. Quello religioso è la pioggia di misericordia che purifica
tutti e tutto. Quello politico è la battaglia su scala mondiale
contro «l’economia che uccide», che il papa vuole combattere
assieme a quei «movimenti popolari», definizione sua, in cui vede
brillare il futuro dell’umanità.
Bisogna risalire a Paolo
VI per trovare un altro papa familiare a un disegno politico
organico, nel suo caso quello dei partiti cattolici europei del
Novecento, in Italia la Dc di De Gasperi e in Germania la Cdu di
Adenauer. A questa tradizione politica europea, peraltro tramontata,
Jorge Mario Bergoglio è estraneo. Da argentino, il suo humus è
tutt’altro. E ha un nome che in Europa ha un’accezione negativa,
ma non nella patria del papa: populismo.
«LA PAROLA POPOLO non
è una categoria logica, è una categoria mistica», ha detto
Francesco lo scorso febbraio, di ritorno dal Messico. In seguito,
intervistato dal suo confratello gesuita Antonio Spadaro, ha affinato
il tiro. Più che «mistica», ha detto, «nel senso che tutto ciò
che fa il popolo sia buono», è meglio dire «mitica». «Ci vuole
un mito per capire il popolo». E questo mito Bergoglio lo racconta
ogni volta che chiama attorno a sé i «movimenti popolari». L'ha
fatto finora tre volte: la prima a Roma nel 2014, la seconda in
Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra, nel 2015, la terza lo scorso 5
novembre, di nuovo a Roma. Ogni volta infiamma l’uditorio con
discorsi che messi insieme formano ormai il manifesto politico di
questo papa.
I movimenti che Francesco
chiama a sé non li ha creati lui, gli preesistono. Sono in parte
eredi delle memorabili adunate anticapitaliste e no-global di Seattle
e Porto Aiegre. Con in più la moltitudine dei reietti da cui il papa
vede prorompere «quel torrente di energia morale che nasce dal
coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino del
pianeta».
È A QUESTI «SCARTATI
dalla società» che Francesco affida un futuro fatto di terra, di
casa, di lavoro per tutti. Grazie a un processo di loro ascesa al
potere che «trascende i procedimenti logici della democrazia
formale». Ai «movimenti popolari», il 5 novembre, il papa ha detto
che è giunto il tempo di fare un salto nella politica, «per
rivitalizzare e rifondare le democrazie, che stanno attraversando una
vera crisi». E se per questa rivoluzione mondiale è necessario un
leader, c’è chi l’ha già additato proprio nel papa. E ciò che
ha fatto un anno fa nel Teatro Cervantes di Buenos Aires il filosofo
italiano Gianni Vattimo, voce ascoltata dell’ultrasinistra
mondiale, quando ha perorato la causa di una nuova Internazionale
«comunista e papista», con Francesco come suo leader indiscusso,
per combattere e vincere la «guerra di classe» del XXI secolo. Al
fianco di Vattimo sedeva un compiaciuto monsignor Marcelo Sanchez
Sorondo, argentino, collaboratore stretto di papa Bergoglio in
Vaticano.
LE POTENZE CONTRO
le quali si ribella il popolo degli esclusi sono, nella visione del
papa, «i sistemi economici che per sopravvivere devono fare la
guerra e così sanano i bilanci delle economie». È questa la sua
chiave di spiegazione della «guerra mondiale a pezzi» e dello
stesso terrorismo islamico. Intanto, però, per le sinistre populiste
sudamericane, per le quali Bergoglio manifesta tanta simpatia, si
assiste a un rovescio dopo l'altro: in Argentina, in Brasile, in
Perù, in Venezuela.
A parziale conforto del
papa, da quest’ultimo paese è venuto il nuovo superiore generale
della Compagni di Gesù, padre Arturo Sosa Abascal, che per tutta la
vita ha scritto e insegnato solo di politica e di scienze sociali,
marxista in gioventù e sostenitore dell’avvento al potere di Hugo
Chàvez, cioè di colui che ha portato il “pueblo” venezuelano al
disastro. Ma a scompaginare la politica di papa Francesco sono
arrivate arene la morte di Fidel Castro e l'elezione di Donald Trump,
quest'ultimo sorprendentemente votato proprio dagli «scartati»
della grande industria capitalista.
“L'Espresso”, 11
dicembre 2016
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