Roberto Cingolani è nato a Milano nel 1961. Ha ottenuto il dottorato all'Università di Bari e il diploma di perfezionamento alla Normale di Pisa. Ha lavorato al Max Plank Institute di Stoccarda e all'Università di Lecce dove ha fondato il Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie. E' dal 2006 direttore dell'Istituto Italiano di Tecnologia, a Genova.
Roberto Cingolani |
Un paio d’anni fa,
Alkis Cingolani era alto più o meno come iCub. Lo si vedeva in una
foto nella quale il figlio più giovane del direttore dell’Iit, era
ritratto accanto al piccolo, famosissimo robot dalla faccia carina
realizzato dall’istituto di ricerca di Genova. Con un briciolo di
ironia e una montagna di paterna soddisfazione, Roberto Cingolani,
uno dei dieci scienziati più citati del mondo per le scienze dei
materiali, fondatore e direttore da una dozzina d’anni dell’Iit,
comparava i due “esseri” sottolineando soprattutto le differenze:
il cervello di iCub funzionava grazie a un miliardo di transistor,
mentre Alkis poteva contare su centomila miliardi di sinapsi,
consumando un quinto della potenza elettrica e sviluppando il doppio
delle operazioni al secondo. Certo, il solo fatto di operare quella
comparazione apriva mondi di senso inattesi. E serviva a Cingolani
per mostrare come il percorso dell’evoluzione, per via biologica,
potesse essere d’ispirazione per il progresso tecnologico per via
digitale, essendo peraltro radicalmente più avanzato di quanto per
ora è stato realizzato dall’ingegneria.
Sì. Bisogna ammettere
che si tratta di un’ironia un po’ “nerd” e non stupisce che
sia proprio con quella parola che Cingolani descrive se stesso da
giovane. Il padre, un omone di umili origini marchigiane, sportivo
notevole e autorevole fisico, che aveva insegnato a Milano - dove
Roberto è nato - e poi a Bari, fu chiamato dalla vita ad affrontare
la prova di una lunga malattia. Sicché il giovane Cingolani passava
più tempo ad aiutare la madre con i fratelli più piccoli che a
divertirsi con i coetanei, le cui esperienze di vita erano totalmente
diverse dalle sue. Se gli si chiede quali siano state le tappe
fondamentali per la sua formazione, a Cingolani non viene in mente il
dottorato all’Università di Bari o la ricerca al Max Planck di
Stoccarda: in realtà pensa piuttosto a ciò che gli ha insegnato la
sua famiglia. «Non vogliamo che tu sia il primo della classe», gli
ripetevano i genitori «vogliamo che tu vada a letto stanco». Come
dire che nella vita occorre dare tutto senza risparmiarsi.
E Roberto Cingolani ha
preso il comandamento alla lettera. A sua volta sportivo a livello
agonistico - ciclismo e pugilato - e fisico di caratura mondiale, con
un H-index pari a 82 nelle nanoscienze, pensa che alla radice del
metodo scientifico ci sia proprio quell’approccio che ha respirato
in famiglia: la sana competizione per arrivare alla conoscenza, il
rispetto delle regole, il dubbio sulle ipotesi e la fiducia nei dati,
l’ammirazione per i competitori più bravi, la serenità
dell’impegno, sono valori che in fondo definiscono la disciplina
scientifica. «Se pensi così, qualunque screzio con una persona si
traduce in una sfida a comprenderlo. E i soli umani che non si
possono accettare sono quelli che imbrogliano».
Si è adattato alle
vicende della vita, Cingolani, cercando di andare a letto stanco. Era
in Germania, pronto per trasferirsi definitivamente in Giappone a
studiare le sue nanotecnologie, quando la morte del padre lo
ricondusse accanto alla madre. Tornato in Puglia, aprì
all’Università un filone di ricerca completamente nuovo, studiando
le proprietà di una proteina che gli apparve simile a un transistor:
«Se quella proteina riceveva un atomo di ossigeno rilasciava un
elettrone. Questo dimostrava che si poteva fare microelettronica con
la biologia». Quella specifica soluzione non divenne un successo
commerciale, ma insegnò a Cingolani l’arte di mettere insieme
scienziati di discipline diverse per realizzare progetti ambiziosi.
Il suo compito all’Iit
è stato in fondo proprio questo. Ha portato in Italia un modello
organizzativo sviluppato nei centri di ricerca internazionali e ha
messo a disposizione dei ricercatori dei laboratori
multidisciplinari, orientati al progetto non alla pubblicazione
accademica. I successi delle prime spin off dell’Iit, come
quella milionaria realizzata con Dompé per lo sviluppo della mano
robotica, dimostrano che la direzione progettuale è feconda. La
moltiplicazione delle forme robotiche a sua volta sembra seguire la
generatività dell’evoluzione naturale, con macchine a quattro
zampe, macchine umanoidi, macchine simili a piante e così via. L’Iit
è una piattaforma abilitante per ricercatori: in un laboratorio si
studiano le logiche dell’apprendimento di iCub, in un altro
laboratorio si producono plastiche di origine biologica, in un altro
ancora si coltivano cellule neuronali, ma nell’insieme si vede una
tensione convergente verso l’evoluzione tecnologica che avanza
nella collaborazione multidisciplinare. E che funziona come
un’orchestra che può contare su un direttore visionario.
Già. Perché la
visione, Cingolani, la cerca e la sa comunicare. Lo si capisce da
quello che fa quando si distrae alle conferenze. Disegna. I disegni
di Cingolani, di vago sapore fumettaro, sono di eccezionale
precisione e complessità: «Il disegno è artistico se coglie
l’essenza. Quando riesco nel disegno è perché mi sono fatto
un’idea precisa di qualcosa e la riproduco sulla carta. È come se
avessi in testa una foto ad alta risoluzione e, disegnandola, la
stampo. Nella scienza - come nella fisica che è fondamentalmente
basata sui grafici - analogamente, non ti perdi nei dettagli, cerchi
l’essenza, disegni nella mente una teoria, la verifichi, abituando
la mente a prevedere l’evoluzione di una dinamica.
La sua avventura con
l’Iit si sta avviando a conclusione, probabilmente: non si
ricandida per un altro mandato e ha avviato la procedura per la
competizione internazionale che porterà alla scelta del prossimo
direttore dell’Iit. Inutile chiedergli che cosa farà dopo. Sa
soltanto che vorrebbe sviluppare alcune ricerche che ha avviato. Con
ogni probabilità, non andrà al tecnopolo di Milano che ha
contribuito a progettare e che si sta realizzando con una larga
partecipazione della comunità accademica lombarda: nonostante fosse
partita come una vicenda esageratamente politica si è tradotta in un
progetto scientifico di grande portata che potrebbe avere un impatto
importante sullo sviluppo economico italiano nell’epoca della
conoscenza. Le polemiche che Cingolani ha dovuto affrontare a causa
di quel progetto, peraltro, hanno lasciato il segno. «Il nemico
dello scienziato è il mentitore», razionalizza Cingolani. Che
peraltro va oltre col pensiero.
Che farà, dunque, uno
dei massimi scienziati italiani dopo che, tra un paio d’anni
lascerà la sua creatura genovese? «Il fil rouge della mia vita è
che ho sempre studiato fisica». E peraltro tutta la sua famiglia,
genitori, fratelli, mogli, figli - a parte Alkis che è ancora
piccolo - è composta da scienziati o ingegneri. Sicché tutto ciò
che la sua comunità più ristretta si aspetta da lui è che sarà
sempre scienziato. «Non sei quello che hai, sei quello che sai»,
dice Cingolani: «E il potere acceca. Sicché sono certo che chi
prenderà il timone dell’Iit lo porterà avanti interpretando in
modo nuovo la ricerca che ci siamo dati il compito di compiere».
Studiando robotica,
biologia e scienze della vita, lo scienziato cerca l’essenza,
ipotizza percorsi che sconfinano dalle discipline, abbatte feudi
accademici basati su quanto si era scoperto in passato. Con ogni
passo avanti nella conoscenza, apre l’immaginazione verso le
prossime tappe del percorso di crescita della conoscenza. E, dalle
spalle dei giganti, non cessa di guardare più lontano. Viene voglia
di sapere che cosa vede Cingolani quando, lasciato il palazzone
dell’Iit e dirigendosi in moto verso casa, vede dall’alto il
mare. Forse lo disegna nella mente, magari lo scompone nelle sue
componenti essenziali e poi immagina di unire i puntini che lui,
prima di altri, riesce a cogliere. Per l’Italia è un valore da non
perdere.
“Il Sole 24 Ore”, 6
agosto 2017
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