Il tema proposto è dei
rapporti e, in sostanza, anche dell'incontro tra comunisti e
cattolici, ma non nell'immediato, bensì davanti a una prospettiva
più lunga, quale si può presentare a chi approfondisca lo studio
delle trasformazioni profonde, sotto il nostro sguardo, nel tempo
recente, e di quelle che si preparano e sopravverranno con non da
tutti prevista rapidità.
Aggiungo anche subito,
che non è mia intenzione fare un confronto di ideologie, quella
religiosa da una parte, quella marxista dall'altra. La base
dell'adesione del nostro partito è infatti, come per tutti i partiti
comunisti, il programma, per attuare il quale noi combattiamo e che
anche un credente può senz'altro accettare.
Una sola osservazione
intendo aggiungere ed è che, per quanto riguarda gli sviluppi della
coscienza religiosa, noi non accettiamo più la concezione, ingenua
ed errata, che basterebbero l'estensione delle conoscenze e il
mutamento delle strutture sociali a determinare modificazioni
radicali. Questa concezione, derivante dall'illuminismo settecentesco
e dal materialismo dell'ottocento, non ha retto alla prova della
storia. Le radici sono più profonde, le trasformazioni si compiono
in modo diverso, la realtà è più complessa.
Anche da queste
constatazioni noi ricaviamo la necessità della reciproca, profonda
comprensione e quindi della collaborazione, soprattutto in un momento
come l'attuale, in cui si sono compiute e si preparano quelle
trasformazioni rivoluzionarie all'analisi delle quali dobbiamo
senz'altro passare.
La trasformazione più
profonda, tanto grave da essere spaventosa, riguarda lo sviluppo
delle armi distruttive create dall'uomo.
Riflettiamo. Con una
sassata, con una freccia, si feriva e si poteva anche uccidere un
uomo. Si uccide un uomo con una fucilata. Con una cannonata già sono
parecchi uomini che possono essere uccisi. Una delle bombe usate
nell'ultima guerra poteva uccidere in un solo istante centinaia e
migliaia di uomini, combattenti o non combattenti. Ma cosa avverrebbe
se scoppiasse sul mondo una guerra atomica e termonucleare?
L'opinione di coloro che hanno esaminato questa eventualità è oggi
unanime. Cento e più milioni di morti in pochi minuti. Alla fine,
può venire distrutta la stessa possibilità che gli uomini
ulteriormente sopravvivano sulla terra.
Eccoci così di fronte
alla terribile, spaventosa «novità»; l'uomo, oggi, non può più
soltanto, come nel passato, uccidere, distruggere altri uomini.
L'uomo può uccidere, può annientare l'umanità.
Mai ci si era trovati di
fronte a questo problema, se non nella fantasia accesa di poeti,
profeti e visionari. Oggi questa è una realtà. L'uomo ha davanti a
sè un abisso nuovo, tremendo. La storia degli uomini acquista una
dimensione che non aveva mai avuto. E una dimensione nuova acquista,
di conseguenza, tutta la problematica dei rapporti tra gli uomini, le
loro organizzazioni e gli Stati, in cui queste trovano il culmine. La
guerra diventa cosa diversa da ciò che mai sia stata. Diventa il
possibile suicidio di tutti, di tutti gli esseri umani e di tutta la
loro civiltà. E la pace, a cui sempre si è pensato come ad un bene,
diventa qualcosa di più e di diverso: diventa una necessità, se
l'uomo non vuole annientare se stesso. Ma riconoscere questa
necessità non può non significare una revisione totale di indirizzi
politici, di morale pubblica e anche di morale privata. Di fronte
alla minaccia concreta della comune distruzione la coscienza della
comune natura umana emerge con forza nuova.
Di qui la nostra
posizione, l'appello che rivolgemmo al mondo cattolico nel 1954,
quando già si disegnava questa situazione nuova e che tutti i
successivi sviluppi hanno reso via via sempre più attuale.
Ecco quale era il tenore
di quell'appello:«Dall'altra parte, alle volte contrapposto, alle
volte intrecciato in modo originale col mondo comunista, vi è il
mondo delle masse cattoliche, e vi sono le organizzazioni di queste e
le loro autorità. È possibile trovare la via di un contatto non
solo occasionale per risolvere questioni politiche contingenti... ma
di un incontro più profondo, da cui possa uscire un decisivo
contributo alla creazione di questo ampio movimento per la salvezza
della nostra civiltà, per impedire che il mondo civile... venga
spinto sulla strada... della distruzione totale?... Noi non chiediamo
al mondo cattolico di cessare di essere il mondo cattolico. Noi
avanziamo quella dottrina che è stata giustamente presentata come
dottrina della possibilità di convivenza e di pacifico sviluppo, e
indichiamo quali sono le conseguenze che devono essere ricavate oggi
da un'applicazione di questa dottrina nel campo dei rapporti
internazionali e anche nel campo dei rapporti interni di un solo
Stato. Tendiamo cioè alla comprensione reciproca, tale soprattutto
che permetta di scorgere che esiste oggi un compito di salvezza della
civiltà, nel quale il mondo comunista e il mondo cattolico possono
avere gli stessi obiettivi e collaborare per raggiungerli».
Se qualcosa in questo
appello vi è oggi da cambiare, è nel senso di sottolineare
l'urgenza. E da essa noi facciamo discendere precise posizioni e
rivendicazioni: il rifiuto di partecipare del nostro paese a
qualsiasi sorta di armamento atomico, l'esplicita condanna della
politica fondata sul famigerato equilibrio del terrore, la richiesta
di un disimpegno, di una neutralità di fronte ai contrapposti
blocchi militari e così via.
Gli attuali blocchi
militari sono da considerare cosa contingente, sorta in determinate
circostanze e condizioni e che può e deve essere modificata e tolta
di mezzo, attraverso un'azione ampia e convinta di uomini, di forze
politiche e sociali, di popoli e anche di governi.
Quest'azione è, oggi,
necessaria, indispensabile ed è il primo confronto e cimento, di
valore decisivo, di fronte alla terribile prospettiva che incombe
sull'umanità, al quale noi invitiamo le forze cattoliche. Di qui
deve incominciare il dibattito, la ricerca, la comprensione. Qui
prima che in qualsiasi altro campo si impone, per salvare l'umanità
attraverso la salvezza della pace, una intesa, una collaborazione tra
uomini che siano consci del compito loro supremo e animati di buona
volontà (...).
Di fronte a una
accentuata articolazione e differenziazione del sistema degli Stati,
reggono ancora le sommarie, artificiose, definizioni e preclusioni
del periodo della guerra fredda? È ancora possibile la ingannevole,
falsa identificazione tra democrazie e cosiddetto mondo occidentale?
Alla testa di questo mondo, starebbero gli Stati Uniti d'America. Ma
guardate a ciò che accade in quell'America latina dove si esercita
il predominio egemonico degli Stati Uniti. Ivi i regimi democratici
sono una rara eccezione. Esistono regimi autoritari e tirannici,
vassalli del colosso americano.
E si può ancora ritenere
valida, nell'odierno quadro di rapporti mondiali, l'identificazione,
cui spesso si sente fare ricorso, tra mondo occidentale e mondo
cattolico? Questa identificazione fa perdere alla stessa Chiesa il
suo carattere universale, ecumenico. Chi ha studiato i lavori del
recente Concilio Vaticano credo abbia avuto modo di convincersi che
il nodo di fronte al quale oggi si trovano le autorità
ecclesiastiche è proprio di superare quella identificazione. A ciò
corrisponde, mi sembra, l'affermazione dell'attuale pontefice circa
la neutralità della Chiesa nel contrasto tra gli Stati e corrisponde
tutto lo spirito dei lavori conciliari. Esso significa, in sostanza,
che di fronte alla nuova molteplice articolazione dei sistemi sociali
e del sistema degli Stati, l'età di Costantino e la politica di
questa età sono terminate per sempre.
Ma noi ci rivolgiamo,
tenendo conto della minaccia che grava pesante sulla umanità, da una
parte, e di questo complesso di cose e posizioni nuove dall'altra, a
tutte le forze cattoliche. Le invitiamo alla riflessione, al dialogo,
al dibattito, alle possibili intese per fini che non possono non
essere comuni a tutti gli uomini. Le chiamiamo a ricordarsi della
comune nostra natura di uomini e di uomini civili, che hanno il
dovere di unirsi e cooperare per salvare e la civiltà e la umanità
stessa da terrificanti catastrofi.
Le cose dette sinora sono
forse il momento più importante, ma non esauriscono il campo del
nostro dibattito. Noi chiamiamo lavoratori e uomini di cultura
cattolici a fare oggetto di riflessione ciò che sta avvenendo,
all'interno dei paesi anche più avanzati, nel campo delle strutture
economiche e sociali. Le vecchie concezioni liberali, contro le quali
presero talora posizione anche le scuole cattoliche, non reggono più.
Il concetto di democrazia e gli istituti della democrazia si
riempiono di un contenuto nuovo che investe la direzione della vita
economica e sociale. Ma vi è un grande ritardo. Le strutture si sono
sviluppate più rapidamente delle menti degli uomini. Cosi è
avvenuto che si è lasciato che una parte sempre più grande della
vita economica venisse assoggettata alla direzione di pochi gruppi
privilegiati, i quali la amministrano nel loro esclusivo interesse,
non nell'interesse della collettività. Cosi è avvenuto che, anche
quando vi è stato un progresso notevole nella industria, per
esempio, questo è stato accompagnato da enormi squilibri e vere
rotture in altri campi, dall'accentuazione dei contrasti tra i gruppi
sociali e tra l'una e l'altra parte del paese, dalla rovina delle
piccole e medie aziende contadine, da disordinati e pesanti
spostamenti di popolazione e cosi via. Si può andare avanti per
questa strada? Questo vuol dire andare incontro a situazioni sempre
più difficili. Le trasformazioni economiche, d'altra parte, tendono
a diventare via via più rapide e più accentuato il carattere
sociale di tutto il processo produttivo. La pressione demografica,
che si sta in tutto il mondo accentuando, lo sviluppo delle forze
produttive, il meraviglioso e rapidissimo progresso della tecnica,
sono tutti fattori che agiscono in questa direzione. Si impone dunque
in forme sempre più urgenti un intervento organizzato e consapevole
degli uomini per dominare e dirigere questo processo,in modo che esso
si compia a favore di tutta la collettività. La stessa ultima
enciclica sociale della Chiesa riconosce questa necessità, anche se
lo fa con eccessiva cautela e in modo non sufficiente. Il vero
problema che si fa avanti con forza sempre più grande e si impone è
quello del passaggio a una società che sia organizzata e diretta
secondo principi nuovi. Non si tratta di sopprimere la libera
iniziativa del coltivatore diretto e dell'imprenditore piccolo e
medio. Si tratta di riconoscere la necessità dell'associazione degli
sforzi e della esistenza di un piano di sviluppo rispondente alle
necessità collettive. Sono i concetti di base della dottrina
socialista che si stanno imponendo. È la capacità degli uomini di
conoscere a fondo, dirigere e dare una impronta di giustizia e di
progresso a tutta la vita economica e sociale che in questo modo
viene ricercata e affermata.
Osservate la posizione
che viene data all'uomo in una società capitalistica anche molto
sviluppata e che abbia raggiunto un elevato livello di consumi. Lo
sfruttamento non cessa mai, in questa società. La vita dell'operaio,
del piccolo coltivatore e persino del professionista è sempre
esposta alle incertezze e durezze che derivano dal dominio che gli
sfruttatori, che i ceti privilegiati, che i grandi gruppi
monopolistici hanno su tutta la società, sul mercato del lavoro, sul
credito, sui prezzi, sugli investimenti, sulle aree fabbricabili e
così via. Vedete quali sono le durezze della vita odierna, quando
pure si stanno esaltando i progressi compiuti. La esistenza di chi
vive di solo lavoro è diventata, per molti aspetti, più difficile,
più pesante. La vita delle famiglie è sconvolta. La donna, entrata
nella produzione, non trova attorno a sé, nella società civile,
quei sostegni e aiuti di cui avrebbe bisogno per poter vivere in modo
nuovo, degnamente. L'industria getta sul mercato una enorme quantità
di beni di consumo e la vita sociale è ordinata in modo che tutti
debbono far ricorso ad essi. La uniformità delle tecniche crea una
artificiale uniformità della vita degli uomini e questa uniformità
progressivamente invade anche le loro coscienze, li avvilisce, li
rende estranei a se stessi, limita e sopprime la loro iniziativa, la
loro libertà di scelta e di sviluppo.
Il credente, nel
constatare questa situazione, dice che è la sfera del sacro che
progressivamente e sempre più si restringe. Noi diciamo che è la
persona, dell'uomo che viene mutilata e compressa e opponiamo a
questa, che è la prospettiva di sviluppo del capitalismo anche nei
paesi più avanzati, la prospettiva di avanzata verso una società
socialista. La società socialista è una società nuova, ricca per i
consumi, per lo sviluppo dell'istruzione e della cultura, ma
soprattutto per la fine dello sfruttamento e quindi della lotta
spesso mortale tra gli uomini per il benessere e la ricchezza. È una
società il cui scopo è di fornire a tutti gli uomini i beni
necessari per vivere serenamente e in pace, per migliorare se stessi.
È una società che chiama tutti gli uomini a lavorare assieme, a
collaborare per assicurare la soluzione dei problemi economici e
sociali; che li chiama tutti a contribuire con l'opera loro per
decidere il destino di tutta l'umanità.
Sorge oggi con sempre
maggior frequenza, dalla letteratura e dalle altre forme di arte, la
denuncia della solitudine dell'uomo moderno, che anche quando può
disporre di tutti i beni della Terra pure non riesce più a
comunicare con gli altri uomini, si sente come chiuso in,un carcere
dal quale non può uscire.
Questo è il destino
dell'uomo, io credo, in una società che lo esclude dalla
partecipazione a una edificazione sociale che sia opera comune di
tutti. Le democrazie capitalistiche non risolvono questo problema.
Solo in una società socialista l'uomo non è più solo e l'umanità
diventa davvero una vivente unità, attraverso il molteplice sviluppo
della persona di tutti gli uomini e la loro continua organica
partecipazione a un'opera comune.
Ma come ponete, ci si
dice, il problema della libertà?
Noi da tempo sosteniamo e
dimostriamo che è possibile, nel nostro paese, sulle base delle
conquiste democratiche e sociali realizzate con la vittoria della
Resistenza antifascista e registrate nella nostra Costituzione,
avanzare verso un regime di giustizia sociale senza abbandonare il
terreno delle istituzioni democratiche e del loro sviluppo nel campo
economico e sociale. Nel rivolgerci ai lavoratori e uomini di cultura
cattolici manteniamo questa posizione e insistiamo in essa.
La conclusione emerge
chiara da tutto ciò che ho detto. Il mondo cattolico non può essere
insensibile alle nuove dimensioni che sta prendendo il mondo per
quanto riguarda i rapporti tra gli Stati, la direzione delle attività
economiche, la affermazione e conquista di nuove forme di vita
democratica, la prospettiva di avanzata verso una società e una
umanità che abbiano raggiunto una unità nuova, fondata sulla fine
di ogni sfruttamento, sul lavoro, sulla uguaglianza sociale, sul
molteplice libero sviluppo della persona umana. Non è vero che una
coscienza religiosa faccia ostacolo alla comprensione di questi
compiti e di questa prospettiva e alla adesione ad essi. Al
contrario.
Abbiamo affermato e
insistiamo nell'affermare che l'aspirazione a una società socialista
non solo può farsi strada in uomini che hanno una fede religiosa, ma
che tale aspirazione può trovare uno stimolo nella coscienza
religiosa stessa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo
contemporaneo. Di qui il nostro appello alla comprensione reciproca e
all'intesa.
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AVVENIMENTI 4 OTTOBRE
1989
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