21.10.17

Il mecenatismo di Ciano e la dignità di Riccardo Francalancia, il pittore di Assisi (Vincenzo Talarico)

Marco Francalancia, della cui amicizia mi onoro, può essere definito per l'ampiezza e la qualità del suo lavoro artistico sulla città il “fotografo di Assisi”.
Suo nonno Riccardo, secondo una definizione che si deve forse a Pietro Scarpellini, era il “pittore di Assisi”. Nella città di San Francesco era nato nel 1886. Si era laureato in Scienze politiche e lavorava in banca, quando, nel 1922, prevalse in lui la passione per la pittura. Entrò in contatto con l’ambiente artistico romano e fino agli anni Cinquanta si immerse nella vita culturale della città, partecipando alle più importanti rassegne d’arte.
Su Francalancia senior (tra Riccardo e Marco c'è un Gustavo, figlio dell'uno e padre dell'altro, anche lui pittore, oltre che valente dentista) ho trovato un divertente aneddoto raccontato in una paginetta di memorie mondane di Vincenzo Talarico, scrittore di valore più che giornalista, visto che le sue piccole cronache e rievocazioni riescono spesso a sottrarsi al “giorno”, all'attualità, e riescono tuttora a interessarci e a dilettarci. Lo posto qui anche come omaggio a Marco, che spero di rivedere presto. (S.L.L.)
Riccardo Francancalancia, Chiesa di San Francesco in Assisi, 1925 circa
Un anno o due prima della guerra, Galeazzo Ciano, in fregola di intellettualizzazione, aveva voluto patrocinare una rimpatriata di vecchi frequentatori del caffè Aragno o, per meglio dire, di coloro che erano stati di casa nella «Terza Saletta». Da molto tempo, in realtà, la «Terza Saletta» non esisteva più. Era stata trasformata prima in un bar con tabaccheria gestito dalla vedova di una medaglia d’oro, poi in un ristorante vero e proprio. Il banchetto organizzato da Galeazzo Ciano ebbe infatti un’altra sede, la Casina Valadier. Molti artisti e letterati vi presero parte. Non mancarono i brindisi e più vibranti furono, naturalmente, quelli che rievocavano la partecipazione del Ministro alla vita della «Terza Saletta».
Per iniziativa di qualcuno del seguito di Ciano, gli «artisti» furono esentati dal versare la quota per il simposio. Si trattava di ottanta lite a testa. Gli «aragnisti» passavano alla cassa, pagavano: a meno che non si qualificassero per «artisti», nel qual caso avrebbe provveduto la segreteria del conte Ciano. Uscivano, in fila, Bruno Barilli, il pittore Francalancia e Vincenzo Cardarelli. Prima ancora che Barilli avesse tempo di dichiararsi, una voce alle spalle del terzetto, lo prevenne. Il cassiere fece cenno di accomodarsi senza assolvere la piccola formalità alla quale si assoggettavano gli altri. Fu allora che Francalancia, urlando, protestò che era ora di smetterla con la leggenda degli artisti scapigliati e bisognosi di mecenatismi fuor di luogo. Né era il caso, aggiunse, per ottanta lire, di fare brutta figura. Cardarelli, alle spalle del pittore, era rimasto interdetto. «Prestami ottanta lire!» gli ingiunse, a conclusione del suo discorso Francalancia. Al poeta non restò che pagare due quote, la sua e quella del dignitoso amico. In occasione di quel banchetto commemorativo apparvero numerosi articoli dedicati al Caffè Aragno. Scritti elegiaci, patetiche rievocazioni di un mondo ormai perduto. Il grande orologio bifronte, che dominava la prima e la seconda sala dello storico luogo, suggerì a qualcuno motivi di crepuscolare malinconia.

Da Cardarelli e dintorni, Rubettino, 2012


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