Marco Francalancia, della
cui amicizia mi onoro, può essere definito per l'ampiezza e la
qualità del suo lavoro artistico sulla città il “fotografo di
Assisi”.
Suo nonno Riccardo,
secondo una definizione che si deve forse a Pietro Scarpellini, era
il “pittore di Assisi”. Nella città di San Francesco era nato nel 1886. Si era laureato in Scienze politiche e lavorava in banca, quando, nel 1922, prevalse in lui la passione per la pittura. Entrò
in contatto con l’ambiente artistico romano e fino agli
anni Cinquanta si immerse nella vita culturale della città, partecipando alle
più importanti rassegne d’arte.
Su Francalancia senior (tra Riccardo e Marco c'è un Gustavo, figlio dell'uno e padre dell'altro, anche lui pittore, oltre che valente dentista) ho
trovato un divertente aneddoto raccontato in una paginetta di memorie
mondane di Vincenzo Talarico, scrittore di valore più che
giornalista, visto che le sue piccole cronache e rievocazioni
riescono spesso a sottrarsi al “giorno”, all'attualità, e
riescono tuttora a interessarci e a dilettarci. Lo posto qui anche
come omaggio a Marco, che spero di rivedere presto. (S.L.L.)
Riccardo Francancalancia, Chiesa di San Francesco in Assisi, 1925 circa |
Un anno o due prima della
guerra, Galeazzo Ciano, in fregola di intellettualizzazione, aveva
voluto patrocinare una rimpatriata di vecchi frequentatori del caffè
Aragno o, per meglio dire, di coloro che erano stati di casa nella
«Terza Saletta». Da molto tempo, in realtà, la «Terza Saletta»
non esisteva più. Era stata trasformata prima in un bar con
tabaccheria gestito dalla vedova di una medaglia d’oro, poi in un
ristorante vero e proprio. Il banchetto organizzato da Galeazzo Ciano
ebbe infatti un’altra sede, la Casina Valadier. Molti artisti e
letterati vi presero parte. Non mancarono i brindisi e più vibranti
furono, naturalmente, quelli che rievocavano la partecipazione del
Ministro alla vita della «Terza Saletta».
Per iniziativa di
qualcuno del seguito di Ciano, gli «artisti» furono esentati dal
versare la quota per il simposio. Si trattava di ottanta lite a
testa. Gli «aragnisti» passavano alla cassa, pagavano: a meno che
non si qualificassero per «artisti», nel qual caso avrebbe
provveduto la segreteria del conte Ciano. Uscivano, in fila, Bruno
Barilli, il pittore Francalancia e Vincenzo Cardarelli. Prima ancora
che Barilli avesse tempo di dichiararsi, una voce alle spalle del
terzetto, lo prevenne. Il cassiere fece cenno di accomodarsi senza
assolvere la piccola formalità alla quale si assoggettavano gli
altri. Fu allora che Francalancia, urlando, protestò che era ora di
smetterla con la leggenda degli artisti scapigliati e bisognosi di
mecenatismi fuor di luogo. Né era il caso, aggiunse, per ottanta
lire, di fare brutta figura. Cardarelli, alle spalle del pittore, era
rimasto interdetto. «Prestami ottanta lire!» gli ingiunse, a
conclusione del suo discorso Francalancia. Al poeta non restò che
pagare due quote, la sua e quella del dignitoso amico. In occasione
di quel banchetto commemorativo apparvero numerosi articoli dedicati
al Caffè Aragno. Scritti elegiaci, patetiche rievocazioni di un
mondo ormai perduto. Il grande orologio bifronte, che dominava la
prima e la seconda sala dello storico luogo, suggerì a qualcuno
motivi di crepuscolare malinconia.
Da Cardarelli e
dintorni, Rubettino, 2012
Nessun commento:
Posta un commento