Beniamino Maggio |
Con la scomparsa di
Beniamino Maggio (morto giovedì a 82 anni) è venuto a mancare l'
ultimo e il più strepitoso dei mami, quasi l'unico superstite di
quella categoria che è anche detta dei comici flemmatici, artisti
cioè che rifuggono dall'irruenza e che anzi (si spiegò lui stesso
così) hanno la dote d'inventare battute o gesti dopo aver riflettuto
sulle parole di un partner che li stuzzichi. Questo era, a livelli
metafisici di bravura, Beniamino Maggio.
Ma non solo questo.
Figlio e fratello d'arte, aveva esordito con la sua bella vocella a
sei anni nella compagnia del padre Mimì Maggio, cantante-attore di
sceneggiata, e già quindicenne aveva intrapreso un repertorio da
ballerino acrobata, sostenendo nel frattempo qualche duetto-sketch
con Pupella. Senonché un brutto giorno la gamba sinistra gli restò
inceppata nella ribalta di un teatro di Taranto, e fu talmente
incline a trascurarsi, a lavorare sodo ugualmente, che in breve
l'arto gli si irrigidì: da quell'impedimento, che lo orientò per
forza di cose a coltivare un umorismo verbale da scugnizzo, da
talento clownesco fino all'astrazione, nacquero forse le risorse più
felici del Beniamino apprezzato più tardi come marionetta
drammatica, come surreale farsaiolo, come tenero e però anche
coriaceo poeta della passerella.
Il destino, a più
riprese, lo volle spesso impegnato in ditta coi componenti della
famiglia, anche se in tutto l'albo della dinastia pare che non si sia
mai registrato uno spettacolo cui partecipasse al completo la sestina
dei fratelli (lui, Pupella, Rosalia, Dante, Enzo, Margherita).
Eppure, dal dopoguerra in poi, il beato Beniamino coi pomelli rossi e
le giacche di taglio abbondante, con o senza bombetta ad accentuarne
la sagoma un po' a uovo di Pasqua, questo raro miscuglio di Buster
Keaton e Angelo Musco ha assiduo modo di lavorare con Dante e con
Enzo in terne di genialità comicarola, sa districarsi ancora bene
con Pupella (e con Mario Riva e Diana Dei), tanto che sarà lui a
presentarla a Eduardo De Filippo, finendo insieme scritturati dal
Maestro all'epoca d'oro della Scarpettiana al San Ferdinando.
Al tirocinio man mano più
eduardiano di Pupella, Beniamino supplì col mestiere che aveva
incancellabilmente nel sangue e conobbe schiette soddisfazioni nel
varietà come pure nella rivista, vedi l'esperienza in Rinaldo in
campo di Garinei e Giovannini. Ma la popolarità più netta e
duratura gli fu valsa, dai duetti con Rosalia nella sceneggiata, un
genere in cui tenne banco per almeno sette anni nel sacrario
napoletano, che era il Teatro Duemila. Finché, quando s'era già
ritirato dalle scene, Beniamino dette vita a un miracolo, e fu
nell'82, quando per una scommessa giocatasi all'allora Festival
laziale di Montecelio di Guidonia tornò sulle assi con Pupella e
Rosalia per un girotondo storico che poi, con la regia di Calenda,
avrebbe costituito uno dei più esilaranti e commoventi fatti di
teatro dell' ultimo decennio, ' Na sera' e maggio.
Canticchiava “Che bella
pansé che tieni, me la dai...” e trasmetteva i brividi con un
alzata di sopracciglio, con un niente. Come un vero mamo che ha
tragedie e commedie negli occhi.
“la Repubblica” 8
settembre 1990
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