Un lettore palermitano, Gaetano
Giardina, ha scritto qualche giorno fa una breve lettera in cui
chiedeva se il generale di brigata Antonino Cascino, morto nella
Grande Guerra il 29 settembre del 1917 (prima, di Caporetto dunque)
dopo essere stato ferito sul Monte Santo e seppellito a Palermo, nella
chiesa di San Domenico, dopo essere stato insignito della medaglia
d'oro militare, non meritasse un posto nel Pantheon dei siciliani
illustri. Aldo Cazzullo, che cura la rubrica di corrispondenza per il
quotidiano milanese, gli ha risposto con la rievocazione qui postata
di quel generale per alcuni versi atipico. (S.L.L.)
Antonino Cascino (Piazza
Armerina, 1862 – Quisca, 1917)
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Il centenario della Grande guerra, suscitando emozione e alimentando memorie, ha confermato che noi italiani siamo più legati all’Italia di quel che pensiamo; soprattutto quando la storia nazionale incrocia quella delle nostre famiglie. La Prima guerra mondiale non ha un protagonista conclamato, un Napoleone o un Nelson, un Hitler o uno Stalin. I comandanti sono dimenticati o esecrati (sono arrivate molte lettere per chiedere di cambiare nome alle vie dedicate a Luigi Cadorna; gli unici contrari sono quelli che abitano in una via Luigi Cadorna, e vorrebbero evitare la seccatura di cambiare indirizzo). I veri protagonisti della guerra sono i nostri nonni. I fanti contadini di cui custodiamo una foto, una divisa, una medaglia, una lettera.
Va però detto che molti ufficiali
combatterono e morirono accanto ai loro soldati. Bene ha fatto lei,
caro Gaetano, a ricordare il generale Cascino. Una foto lo ritrae sul
Monte Santo, accanto ad Arturo Toscanini. Ammiratore di Cascino,
Toscanini accettò il suo invito — e quello del generale Gonzaga —
a dirigere una banda militare, che sulla cima suonò la marcia reale,
l’Inno di Mameli e canzoni patriottiche in faccia al nemico. Gli
austriaci reagirono stizziti, e presero i musicisti a fucilate. Era
il 26 agosto 1917. Al generale restava poco più di un mese.
Colpito da una pallottola di shrapnel a
una coscia, Cascino rimase al posto di comando a dirigere le
operazioni fino a sera. Al momento di scendere verso l’ospedale da
campo preferì lasciare la barella a feriti più gravi. Questa
decisione gli aggravò l’infezione alla gamba, che venne amputata.
Morì pochi giorni dopo.
Corriere della sera, 1 ottobre 2017
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