Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa a Milano |
Milano
Trentacinque anni dopo il
suo assassinio, il metodo investigativo del generale dei carabinieri
Carlo Alberto dalla Chiesa è citato a esempio nelle scuole militari.
Ovunque andò rovesciò gli equilibri tattici con intuizioni e scelte
per molti aspetti rivoluzionarie. Giovane capitano nella Corleone
delle stragi delle forze dell'ordine, mutuò sul campo le tattiche
imparate da partigiano. A Milano, in anni di boom economico e di
rapine a raffica nelle banche, ideò un sistema d'allarme per
accorciare i tempi d'intervento delle pattuglie. Ma forse il massimo
capolavoro dalla Chiesa lo raggiunse nella lotta al terrorismo
quando, come ha ricordato ieri l’ex magistrato Gian Carlo Caselli
che con il generale lavorò a lungo, convinse Patrizio Peci a
diventare uno dei primi, e fra i più decisivi pentiti.
Nell’aula magna del
Palazzo di giustizia di Milano affollata di ragazzi, Caselli ha
partecipato alla presentazione del libro del giornalista del Corriere
Andrea Galli (dalla Chiesa, Mondadori,
2017), una biografia che ripercorre il doppio binario della vita
intensa del generale: da un lato l’investigatore dalle idee
lungimiranti, come ha sottolineato il procuratore generale Roberto
Alfonso; dall’altro il marito romantico, il padre affettuoso, con
le sue passioni, dai fumetti di Topolino all’Inter. «Vedeva le
partite a San Siro due file dietro me e mio padre — ha ricordato
l’ex patron nerazzurro Massimo Moratti — e soffriva come i tifosi
veri». Carlo Alberto dalla Chiesa rimane una figura attuale, oggi,
per il suo rispetto per lo Stato, la difesa delle regole, l’esempio
nella vita quotidiana, la grande fiducia nelle nuove generazioni.
Perché non bisogna appartenere alle forze dell’ordine per poter
combattere ma spetta a ogni singolo cittadino non voltarsi dall’altra
parte. Come ha detto ieri, a margine della presentazione del libro,
l’arcivescovo di Milano Mario Delpini a proposito della recente
inchiesta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta in Brianza:
«Immagino che un cristiano serio reagisca così: alzi la testa e
faccia un po’ di pulizia, non mettendo tutti al muro ma facendosi
avanti, comportandosi con onestà, senza cercare troppi guadagni
personali e senza avere paura delle minacce dei cattivi».
Difficile persino in
un’aula stracolma di colleghi, amici, collaboratori riuscire a
raccontare fino in fondo chi fu il carabiniere più amato d’Italia.
«Un uomo carismatico, un comandante vero — ha ricordato il
generale Teo Luzi, a capo della Legione Lombardia—, capace di
scegliere i propri uomini, difenderli nei momenti critici e saperli
motivare per cogliere ogni obiettivo». Non era un caso, come ha
raccontato Caselli, se ancora in piena notte, in caserma, uno degli
uffici con la luce accesa fosse quello di dalla Chiesa. «Un
lavoratore instancabile», ha ripetuto il comandante generale dei
carabinieri Tullio Del Sette, uno stratega abile a intuire
l’importanza delle sinergie con investigatori tedeschi, francesi e
inglesi — altro tema di strettissima attualità — per arrestare
terroristi che si nascondevano all’estero. Ai «suoi» uomini, che
lo avrebbero seguito ovunque, dalla Chiesa raccomandava riservatezza.
In casa come con i giornalisti. «Alcune cose le abbiamo scoperte
leggendo questo libro — ha detto il secondogenito Nando —, a noi
non rivelava mai nulla, anche per non caricarci di preoccupazioni».
E per quanto avaro di notizie, con la stampa, ha ricordato il
direttore del Corriere Luciano Fontana, il generale «aveva un
rapporto sano». Dopo aver selezionato e avviato uno scambio basato
sulla reciproca stima, si fidava. Famose le sue interviste con Enzo
Biagi e Giorgio Bocca, e intensa l’amicizia, nata in occasione del
terremoto del Belice, con uno dei migliori cronisti passati in via
Solferino: Egisto Corradi. Avevano entrambi combattuto la guerra ed
erano entrambi uomini tutti d’un pezzo, uomini per i quali la
parola data vale come un giuramento.
Corriere della Sera, 1
ottobre 2017
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