In occasione della festa
internazionale degli aquiloni “Coloriamo i cieli”, che si svolge
tuttora a Castiglion del Lago, sul Trasimeno, tra aprile e maggio,
Loreto Di Nucci scrisse nel 1986 per “il manifesto” la breve
storia di questo “balocco” che qui “posto” per me e per i
visitatori del blog interessati al tema. (S.L.L.)
Lo scenario che fa da
sfondo alla festa degli aquiloni del lago Trasimeno è di per sé
leggendario: qui Annibale sconfisse, nel 217 a.C., il console romano
Caio Flaminio. Ma è il paesaggio stesso, il Trasimeno e, in
lontananza, le colline con gli ulivi, i cipressi, i castagni, ad
essere fonte di possibile incanto. Vedendo correre gli aquiloni nei
cieli di queste terre si entra facilmente nel «regno delle fate»,
ed essi sembrano allora realmente animali mitologici, «uccelli di
paesi strani». E d’altra parte che si tratti di un «balocco»
carico di simbologia fiabesca è evidente dal fatto che sinonimi di
aquilone sono «certo volante» e «cometa».
Questa connotazione si
mantiene anche in altre lingue: così in inglese aquilone si dice
kite che è anche il nome di un falco, in tedesco invece
drache, cioè drago, in spagnolo cometa, per via della
lunga coda, in francese cerf-volant, in cinese, infine, si
chiama feng-cheng che vuol dire «arpa suonata dal vento».
Adombramenti mitici si rivelano inoltre nel fatto che la stagione
degli aquiloni è propriamente la primavera, quando si assiste al
mistero della terra che si risveglia. E in effetti, una relazione tra
gli aquiloni, la primavera e i ragazzi come principali, seppur non
unici, destinatari di ogni evento fiabesco, è al centro della
riflessione di poeti e scrittori. Già Pascoli, nella poesia
L’aquilone sente che intorno sono nate le viole e respira
una «dolce aria» che sta sciogliendo le «dure zolle» ed è: «...
un’aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli
aquiloni!». D’Annunzio, a sua volta, descrive una schiera di
monelli che passa di corsa «correndo dietro il volo di un aquilone
che prendeva vento beccheggiando». Jahier, infine, individua come
segno dell’anno scolastico che sta per finire, «l’anno di lavoro
per i ragazzi», il fatto che «nelle vetrine dei cartolai ci sono
più solo veline di aquilone».
L’aquilone è un
giocattolo molto semplice, formato da carta leggera stesa su delle
stecche o cannucce, con coda ad anelli; «è un aerodina, cioè un
mezzo più pesante dell’aria che vola per l’azione aerodinamica
del vento che lo investe». Il termine aquilone viene dal latino,
aquilo - aquilonis, ed indicava, per gli antichi, il vento di
nord e di nord-est. E un vento gelido, impetuoso, detto anche vento
di tramontana o borea, e da essi paragonato, appunto per la sua
|veemenza, ad un’aquila. Ora, se l’etimologia della parola è
sicura, più incerte sono invece le origini del gioco; non si hanno
notizie sicure, l’aquilone potrebbe essere addirittura un oggetto
preistorico, come il boomerang australiano. In Oriente, in ogni caso,
questo balocco di carta era conosciuto prima ancora che iniziasse la
storia scritta.
Sembra quasi più
naturale, ad ogni modo, che l’origine dell’aquilone, proprio in
ragione della sua impalpabilità, sia avvolta nel mito. Infinite
sono, soprattutto in oriente, le leggende intorno agli aquiloni,
sulla nascita ed altro. In Corea, ad esempio, circola ancora una
storia sull’origine dell’aquilone in cui si racconta di un
generale che prima di una battaglia importante, vedendo i suoi
soldati demoralizzati, ordinò che si lanciasse un aquilone
illuminato, facendo al contempo diffondere la voce che si trattava di
una nuova stella, e quindi di un segnale di augurio e di buona
fortuna. Il risultato fu eccellente, i guerrieri combatterono con
successo.
Un’altra leggenda,
riferita questa volta al popolo cinese, parla dell’uso geniale
degli aquiloni fatto da uno scienziato di nome Huan Theng, durante la
dinastia degli Han, per scongiurare un’invasione barbarica. Huan
Theng mandò in volo di notte degli aquiloni nel campo nemico: il
vento fece vibrare le arpe e fischiare le canne di bambù, ne risultò
un ululato profondo e molto cupo, come se si trattasse di urla
strozzate. Fece quindi spargere la voce tra i nemici, per mezzo di
infiltrati, che si trattava di un chiaro segno divino e che quelle
urla altro non erano le urla disperate che essi stessi avrebbero
lanciato all’indomani in battaglia, durante la quale sarebbero
stati sconfitti. Il panico si diffuse tra i nemici, che levarono le
tende.
In un altro racconto,
sempre a sfondo guerresco, gli aquiloni sono usati come segnale di
raccolta dell’esercito. Un imperatore aveva dato l’ordine ad un
suo generale di mantenere soltanto una piccola guardia permanente e
lasciare l’esercito libero ma con l’ordine di radunarsi ad un
segnale convenuto. Se dal palazzo imperiale fossero stati lanciati
gli aquiloni voleva dire che c’era pericolo, che il nemico era alle
porte e che bisognava combatterlo.
Oltre alle leggende cui
abbiamo fatto cenno, ci sono, in Oriente, tutta una serie di riti e
di credenze legate agli aquiloni. Nelle regioni della Cina
meridionale, ad esempio, c’era la tradizione, quando un ragazzo
giungeva in età di lavoro, ed iniziava quindi una nuova fase della
vita, di trarre gli auspici con gli aquiloni. Si trattava di far
volare un aquilone a cui erano state legale, alla struttura e alla
coda, ciuffi di piantine e semi di riso. Se il ragazzo riusciva a far
volare l’aquilone fino a quando non aveva sparso tutti i suoi semi
era un buon segno; voleva dire che sarebbe diventato un buon
contadino e i suoi raccolti sarebbero stati abbondanti. In Corea,
invece, si usa ancora oggi far volare, i primi giorni dell’anno, un
aquilone a cui vengono attaccati fogliettini di carta con il nome e
la data di nascita dei figli.
Quando l’aquilone è
ben alto nel cielo si taglia il cavo, lasciando che si disperda. Si è
convinti così che le digrazie, che il nuovo anno potrebbe riservare
a coloro i cui nomi sono scritti nei fogliettini legati all’aquilone,
ne inseguiranno vanamente le tracce e non riusciranno a trovarli. In
Cina, poi, nel giorno conclusivo del gradioso Festival delle
Ascensioni, che si svolge dal 1° al 9 settembre, tutti quelli che
lanciano un aquilone non lo recuperano, lo lasciano volare: in questo
modo credono che volino via anche la sfortuna, la sofferenza e ogni
sorta di male. Sempre in Oriente gli aquiloni avevano, e talora
ancora hanno, una funzione apotropaica : proteggere dagli spiriti
maligni, e se, equipaggiati con strumenti musicali, tener lontano
ladri e briganti.
Sulla presenza
dell’aquilone in Occidente sembrano, esserci invece, notizie più
sicure; la tradizione attribuisce la sua invenzione ad Archita di
Taranto, filosofo pitagorico e matematico vissuto intorno al 430 a.C.
Archita, che taluni considerano il fondatore della meccanica
scientifica, fu un ingegno multiforme: fu teorico musicale, fece
studi d’acustica, distinse tra progressione aritmetica e
progressione geometrica. A lui vengono attribuite l’invenzione
della vite, della puleggia, di una colomba meccanica e, appunto,
dell’aquilone. È probabile, in ogni caso, che l’occidente abbia
scoperto e riscoperto l’aquilone più volte, nel corso dei suoi
contatti con l’Oriente; se ne trovano, infatti, tracce qua e là.
Così avviene, per esempio nel Magia naturalis di Giovan
Battista Della Porta, stampato a Napoli nel 1589, dove accanto ad un
trattato sul magnetismo, alle osservazioni sulla camera oscura, ed a
una confutazione della demonologia e della credenza nelle streghe, si
parla appunto di aquiloni.
Una data certamente
importante nella storia dell’aquilone è il 1762, quando Benjamin
Franklin lo utilizzò per compiere i suoi esperimenti
sull’elettricità atmosferica, in seguito ai quali inventò il
parafulmine. Da allora si ha la sensazione che la vicenda
dell’aquilone in Occidente, e la sua stessa dimensione leggendaria,
sia stata tutta interna all’«idea di progresso». Tra ’800 e
’900 si pensò agli aquiloni come a degli strumenti di osservazione
metereologica e militare. D’altra parte, già nel 1794, Alexander
Wilson e Thomas Melville, in Scozia, avevano studiato i cambiamenti
della temperatura dell’aria, alle diverse quote, applicando ad
alcuni aquiloni termometri di massima e di minima. Questa pratica, di
alzare per mezzo degli aquiloni delle vere e proprie stazioni
metereologiche, diventò sempre più diffusa: stazioni così
attrezzate sorsero in Danimarca, Svezia, Francia. Agli inizi del
secolo ben diciassette erano negli Usa le stazioni equipaggiate con
aquiloni, che venivano utilizzate anche in Italia dall’allora
«ufficio Presagi dell’Aeronautica italiana». Per svolgere simili
funzioni era necessario costruire aquiloni di grandi dimensioni e
comunque molto resistenti. Non si può non menzionare, a questo
proposito, Lawrence Hargrave, padre dell’aquilone «cellulare» che
sperimentò a partire dal 1890 nel Nuovo Galles meridionale
(Australia), riuscendo egli stesso a sollevarsi dal suolo fino a
cinque metri con un treno di quattro aquiloni.
Gli stessi fratelli
Wright, si ispirarono, nella costruzione del loro primo aeroplano,
al’aquilone di Hargrave. Prima di lui, intorno alla metà dell’800,
George Pocock aveva fatto volare fino a trenta metri una ragazza, con
l’intenzione di dimostrare come con un aquilone si potesse
ispezionare le linee nemiche. Nel giugno del 1894 fu quindi la volta
del capitano B.F.S. Baden-Powell, della Guardia Scozzese, che i
costruì un aquilone grandioso y con cui raggiunse la quota di trenta
metri.
Questi due riferimenti
introducono, inevitabilmente, gli usi militari dell’aquilone.
Durante l’ultima guerra la R.a.f. dava in dotazione, agli equipaggi
che compivano missioni sul mare, speciali razzi-aquilone che venivano
lanciati, in caso di abbattimento dell’aereo, dal battellino
gonfiabile. Anche l’Australia utilizzò aquiloni di questo tipo,
ancora usati, peraltro, per innalzare l’antenna della Gibson
Girl, la radio d’emergenza. Ma il primo che probabilmente usò
un aquilone per innalzare una antenna radio fu proprio Gugliemo
Marconi, il quale nella leggendaria trasmissione transatlantica da
Paldhu in Cornovaglia a Signal Hill nel Newfoundland, alzò proprio
con un aquilone, l’antenna ad una altezza di centocinquanta metri
circa.
Le possibilità di
utilizzazione degli aquiloni sono, insomma, molteplici: oggi li si
usa anche per riprese fotografiche e filmati, come veicoli di
pubblicità e perfino per andare a pesca. Un segno dell’enorme
diffusione che l’aquilone sta avendo si ricava dal numero di
festivals che ci sono nel mondo: in Oriente sono tantissimi, ma anche
negli Stati uniti e in Gran Bretagna ci sono competizioni importanti.
Quanto all’Italia, tra le prime e principali manifestazioni c’è
la «Sagra dell’aquilone» di Badia Polesine; degne di nota sono
anche «Festa degli aquiloni» di San Miniato al Tedesco, la
«Giornata degli aquiloni» di Assisi, le feste di Rosignano Solvay,
di Urbino, di Polignano a Mare.
In ogni caso gli aquiloni
rimangono, fondamentalmente, un oggetto di svago: i giochi che si
possono fare con essi sono infiniti. Ci sono gli aquiloni luminosi
che vengono lanciati per i voli notturni e quelli che suonano, gli
aquiloni per le battaglie aeree e quelli per le gare in altezza.
Tantissimi sono anche i modelli: si va dall’aquilone con la
decorazione del fokker rosso del barone Von Richtoofen al Ghost
Clipper, il vascello fantasma, dal «tukkal indiano» all’aquilone
tradizionale giapponese con disegni di volti degli attori del teatro
kabuki, dal «wau bulan» malese, l’aquilone della luna,
all’uccello del paradiso» della Thailandia.
“il manifesto”, 4
maggio 1986
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