12.10.17

Aquiloni di tutto il mondo... (Loreto Di Nucci)

In occasione della festa internazionale degli aquiloni “Coloriamo i cieli”, che si svolge tuttora a Castiglion del Lago, sul Trasimeno, tra aprile e maggio, Loreto Di Nucci scrisse nel 1986 per “il manifesto” la breve storia di questo “balocco” che qui “posto” per me e per i visitatori del blog interessati al tema. (S.L.L.)
Lo scenario che fa da sfondo alla festa degli aquiloni del lago Trasimeno è di per sé leggendario: qui Annibale sconfisse, nel 217 a.C., il console romano Caio Flaminio. Ma è il paesaggio stesso, il Trasimeno e, in lontananza, le colline con gli ulivi, i cipressi, i castagni, ad essere fonte di possibile incanto. Vedendo correre gli aquiloni nei cieli di queste terre si entra facilmente nel «regno delle fate», ed essi sembrano allora realmente animali mitologici, «uccelli di paesi strani». E d’altra parte che si tratti di un «balocco» carico di simbologia fiabesca è evidente dal fatto che sinonimi di aquilone sono «certo volante» e «cometa».
Questa connotazione si mantiene anche in altre lingue: così in inglese aquilone si dice kite che è anche il nome di un falco, in tedesco invece drache, cioè drago, in spagnolo cometa, per via della lunga coda, in francese cerf-volant, in cinese, infine, si chiama feng-cheng che vuol dire «arpa suonata dal vento». Adombramenti mitici si rivelano inoltre nel fatto che la stagione degli aquiloni è propriamente la primavera, quando si assiste al mistero della terra che si risveglia. E in effetti, una relazione tra gli aquiloni, la primavera e i ragazzi come principali, seppur non unici, destinatari di ogni evento fiabesco, è al centro della riflessione di poeti e scrittori. Già Pascoli, nella poesia L’aquilone sente che intorno sono nate le viole e respira una «dolce aria» che sta sciogliendo le «dure zolle» ed è: «... un’aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni!». D’Annunzio, a sua volta, descrive una schiera di monelli che passa di corsa «correndo dietro il volo di un aquilone che prendeva vento beccheggiando». Jahier, infine, individua come segno dell’anno scolastico che sta per finire, «l’anno di lavoro per i ragazzi», il fatto che «nelle vetrine dei cartolai ci sono più solo veline di aquilone».
L’aquilone è un giocattolo molto semplice, formato da carta leggera stesa su delle stecche o cannucce, con coda ad anelli; «è un aerodina, cioè un mezzo più pesante dell’aria che vola per l’azione aerodinamica del vento che lo investe». Il termine aquilone viene dal latino, aquilo - aquilonis, ed indicava, per gli antichi, il vento di nord e di nord-est. E un vento gelido, impetuoso, detto anche vento di tramontana o borea, e da essi paragonato, appunto per la sua |veemenza, ad un’aquila. Ora, se l’etimologia della parola è sicura, più incerte sono invece le origini del gioco; non si hanno notizie sicure, l’aquilone potrebbe essere addirittura un oggetto preistorico, come il boomerang australiano. In Oriente, in ogni caso, questo balocco di carta era conosciuto prima ancora che iniziasse la storia scritta.
Sembra quasi più naturale, ad ogni modo, che l’origine dell’aquilone, proprio in ragione della sua impalpabilità, sia avvolta nel mito. Infinite sono, soprattutto in oriente, le leggende intorno agli aquiloni, sulla nascita ed altro. In Corea, ad esempio, circola ancora una storia sull’origine dell’aquilone in cui si racconta di un generale che prima di una battaglia importante, vedendo i suoi soldati demoralizzati, ordinò che si lanciasse un aquilone illuminato, facendo al contempo diffondere la voce che si trattava di una nuova stella, e quindi di un segnale di augurio e di buona fortuna. Il risultato fu eccellente, i guerrieri combatterono con successo.
Un’altra leggenda, riferita questa volta al popolo cinese, parla dell’uso geniale degli aquiloni fatto da uno scienziato di nome Huan Theng, durante la dinastia degli Han, per scongiurare un’invasione barbarica. Huan Theng mandò in volo di notte degli aquiloni nel campo nemico: il vento fece vibrare le arpe e fischiare le canne di bambù, ne risultò un ululato profondo e molto cupo, come se si trattasse di urla strozzate. Fece quindi spargere la voce tra i nemici, per mezzo di infiltrati, che si trattava di un chiaro segno divino e che quelle urla altro non erano le urla disperate che essi stessi avrebbero lanciato all’indomani in battaglia, durante la quale sarebbero stati sconfitti. Il panico si diffuse tra i nemici, che levarono le tende.
In un altro racconto, sempre a sfondo guerresco, gli aquiloni sono usati come segnale di raccolta dell’esercito. Un imperatore aveva dato l’ordine ad un suo generale di mantenere soltanto una piccola guardia permanente e lasciare l’esercito libero ma con l’ordine di radunarsi ad un segnale convenuto. Se dal palazzo imperiale fossero stati lanciati gli aquiloni voleva dire che c’era pericolo, che il nemico era alle porte e che bisognava combatterlo.
Oltre alle leggende cui abbiamo fatto cenno, ci sono, in Oriente, tutta una serie di riti e di credenze legate agli aquiloni. Nelle regioni della Cina meridionale, ad esempio, c’era la tradizione, quando un ragazzo giungeva in età di lavoro, ed iniziava quindi una nuova fase della vita, di trarre gli auspici con gli aquiloni. Si trattava di far volare un aquilone a cui erano state legale, alla struttura e alla coda, ciuffi di piantine e semi di riso. Se il ragazzo riusciva a far volare l’aquilone fino a quando non aveva sparso tutti i suoi semi era un buon segno; voleva dire che sarebbe diventato un buon contadino e i suoi raccolti sarebbero stati abbondanti. In Corea, invece, si usa ancora oggi far volare, i primi giorni dell’anno, un aquilone a cui vengono attaccati fogliettini di carta con il nome e la data di nascita dei figli.
Quando l’aquilone è ben alto nel cielo si taglia il cavo, lasciando che si disperda. Si è convinti così che le digrazie, che il nuovo anno potrebbe riservare a coloro i cui nomi sono scritti nei fogliettini legati all’aquilone, ne inseguiranno vanamente le tracce e non riusciranno a trovarli. In Cina, poi, nel giorno conclusivo del gradioso Festival delle Ascensioni, che si svolge dal 1° al 9 settembre, tutti quelli che lanciano un aquilone non lo recuperano, lo lasciano volare: in questo modo credono che volino via anche la sfortuna, la sofferenza e ogni sorta di male. Sempre in Oriente gli aquiloni avevano, e talora ancora hanno, una funzione apotropaica : proteggere dagli spiriti maligni, e se, equipaggiati con strumenti musicali, tener lontano ladri e briganti.
Sulla presenza dell’aquilone in Occidente sembrano, esserci invece, notizie più sicure; la tradizione attribuisce la sua invenzione ad Archita di Taranto, filosofo pitagorico e matematico vissuto intorno al 430 a.C. Archita, che taluni considerano il fondatore della meccanica scientifica, fu un ingegno multiforme: fu teorico musicale, fece studi d’acustica, distinse tra progressione aritmetica e progressione geometrica. A lui vengono attribuite l’invenzione della vite, della puleggia, di una colomba meccanica e, appunto, dell’aquilone. È probabile, in ogni caso, che l’occidente abbia scoperto e riscoperto l’aquilone più volte, nel corso dei suoi contatti con l’Oriente; se ne trovano, infatti, tracce qua e là. Così avviene, per esempio nel Magia naturalis di Giovan Battista Della Porta, stampato a Napoli nel 1589, dove accanto ad un trattato sul magnetismo, alle osservazioni sulla camera oscura, ed a una confutazione della demonologia e della credenza nelle streghe, si parla appunto di aquiloni.
Una data certamente importante nella storia dell’aquilone è il 1762, quando Benjamin Franklin lo utilizzò per compiere i suoi esperimenti sull’elettricità atmosferica, in seguito ai quali inventò il parafulmine. Da allora si ha la sensazione che la vicenda dell’aquilone in Occidente, e la sua stessa dimensione leggendaria, sia stata tutta interna all’«idea di progresso». Tra ’800 e ’900 si pensò agli aquiloni come a degli strumenti di osservazione metereologica e militare. D’altra parte, già nel 1794, Alexander Wilson e Thomas Melville, in Scozia, avevano studiato i cambiamenti della temperatura dell’aria, alle diverse quote, applicando ad alcuni aquiloni termometri di massima e di minima. Questa pratica, di alzare per mezzo degli aquiloni delle vere e proprie stazioni metereologiche, diventò sempre più diffusa: stazioni così attrezzate sorsero in Danimarca, Svezia, Francia. Agli inizi del secolo ben diciassette erano negli Usa le stazioni equipaggiate con aquiloni, che venivano utilizzate anche in Italia dall’allora «ufficio Presagi dell’Aeronautica italiana». Per svolgere simili funzioni era necessario costruire aquiloni di grandi dimensioni e comunque molto resistenti. Non si può non menzionare, a questo proposito, Lawrence Hargrave, padre dell’aquilone «cellulare» che sperimentò a partire dal 1890 nel Nuovo Galles meridionale (Australia), riuscendo egli stesso a sollevarsi dal suolo fino a cinque metri con un treno di quattro aquiloni.
Gli stessi fratelli Wright, si ispirarono, nella costruzione del loro primo aeroplano, al’aquilone di Hargrave. Prima di lui, intorno alla metà dell’800, George Pocock aveva fatto volare fino a trenta metri una ragazza, con l’intenzione di dimostrare come con un aquilone si potesse ispezionare le linee nemiche. Nel giugno del 1894 fu quindi la volta del capitano B.F.S. Baden-Powell, della Guardia Scozzese, che i costruì un aquilone grandioso y con cui raggiunse la quota di trenta metri.
Questi due riferimenti introducono, inevitabilmente, gli usi militari dell’aquilone. Durante l’ultima guerra la R.a.f. dava in dotazione, agli equipaggi che compivano missioni sul mare, speciali razzi-aquilone che venivano lanciati, in caso di abbattimento dell’aereo, dal battellino gonfiabile. Anche l’Australia utilizzò aquiloni di questo tipo, ancora usati, peraltro, per innalzare l’antenna della Gibson Girl, la radio d’emergenza. Ma il primo che probabilmente usò un aquilone per innalzare una antenna radio fu proprio Gugliemo Marconi, il quale nella leggendaria trasmissione transatlantica da Paldhu in Cornovaglia a Signal Hill nel Newfoundland, alzò proprio con un aquilone, l’antenna ad una altezza di centocinquanta metri circa.
Le possibilità di utilizzazione degli aquiloni sono, insomma, molteplici: oggi li si usa anche per riprese fotografiche e filmati, come veicoli di pubblicità e perfino per andare a pesca. Un segno dell’enorme diffusione che l’aquilone sta avendo si ricava dal numero di festivals che ci sono nel mondo: in Oriente sono tantissimi, ma anche negli Stati uniti e in Gran Bretagna ci sono competizioni importanti. Quanto all’Italia, tra le prime e principali manifestazioni c’è la «Sagra dell’aquilone» di Badia Polesine; degne di nota sono anche «Festa degli aquiloni» di San Miniato al Tedesco, la «Giornata degli aquiloni» di Assisi, le feste di Rosignano Solvay, di Urbino, di Polignano a Mare.
In ogni caso gli aquiloni rimangono, fondamentalmente, un oggetto di svago: i giochi che si possono fare con essi sono infiniti. Ci sono gli aquiloni luminosi che vengono lanciati per i voli notturni e quelli che suonano, gli aquiloni per le battaglie aeree e quelli per le gare in altezza. Tantissimi sono anche i modelli: si va dall’aquilone con la decorazione del fokker rosso del barone Von Richtoofen al Ghost Clipper, il vascello fantasma, dal «tukkal indiano» all’aquilone tradizionale giapponese con disegni di volti degli attori del teatro kabuki, dal «wau bulan» malese, l’aquilone della luna, all’uccello del paradiso» della Thailandia.


“il manifesto”, 4 maggio 1986

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