Un vagone ristorante in stile Russia imperiale sulla ferrovia Transiberiana |
Ieri sera è partito da
Mosca, dalla stazione di Yaroslav, un convoglio speciale della
Transiberiana per celebrare il centenario della ferrovia più lunga
del mondo, la più leggendaria, la più, oggi come oggi, scalcagnata.
Ma che importa? Quel che non è moderno, si riammodernerà: così
vuole l'ottimismo post-sovietico. Per questo, ieri, a salutare il
treno c'erano bandiere, fanfare, icone di San Nicola, patrono dei
viaggiatori, il Metropolita che benediceva il locomotore, il ministro
dei Trasporti Nikolai Aksionenko che inneggiava allo zar Alessandro
III il quale questa ferrovia fortemente volle.
Era il 1891 quando ebbero
inizio i lavori, il 1901 quando venne compiuto il viaggio inaugurale,
il 1916 quando i binari raggiunsero finalmente Vladivostock. Binari
russi, uno scartamento diverso da quello standard europeo, binari
imperialmente maestosi, pensati come una difesa contro invasori
terrestri che avrebbero potuto compiere la marcia su Mosca in treno,
come venne compiuta quella su Roma da Mussolini. Lo Zar che così
enormi li volle, forse aveva ancora in mente Napoleone: a un nuovo
Napoleone, moderno, sarebbe stato impossibile penetrare nel cuore
della Santa Madre Russia in treno, avrebbe dovuto sostare al confine
per cambiare i carrelli, una cerimonia che richiede ore, la prima
volta che vi assistei mi sembrò che venisse celebrata con la
compunzione di un rito di passaggio da un mondo all' altro. E proprio
così era. Ma lo scartamento diverso non impedì a Lenin di entrare
in Russia, in treno, carrozza piombata, dall'esilio, E ne fece più
che Napoleone in Russia.
Comunque, a chi come me
ha compiuto sei volte il viaggio sulla Transiberiana, partendo da
Mosca ma deviando poi per la Mongolia o per la Manciuria, sempre
nello stesso scompartimento, sempre sdraiato sulla stessa cuccetta,
per raggiungere dopo sette giorni Pechino - mai mi sono spinta fino a
Vladivostock, altrimenti i giorni sarebbero stati nove - non può che
augurare lunga e lenta vita alla Transiberiana sperando che sì,
magari, la rimettano un po' in sesto, magari raddoppino i binari in
certi tratti, magari ripuliscano i vagoni fatiscenti ancora
impregnati di un indimenticabile - e ora che mi torna alle narici mi
sembra una bieca madeleine - odore di mele, di cavoli, di corpi umani
non lavati. Che fare? disse Lenin. Già, che fare? Ognuno ha le sue
madeleine, quella di Proust è soltanto la capostipite. Dico allora:
che sostituiscano pure i velluti rossi consunti dai sederi di pietra
degli alti papaveri della Nomenklatura che nei vagoni di prima
classe, allora chiamata classe "morbida", hanno comodamente
viaggiato; che mettano pure della finta pelle, qualsiasi plasticaccia
possibile ma per lo meno leggermente imbottita, al posto dei sedili
di legno per i proletari della classe che, in teoria, governava il
paese, l'Urss, ma che, in treno, viaggiava in classe "dura".
Facciano tutto quello che modernità comanda, si accomodino: ma, per
carità, che non facciano mai della Transiberiana un treno a grande
velocità.
Lenti e massicci, con la
loro andatura da tartaruga, i suoi vagoni devono continuare a
percorrere l'immensa distesa di terra che va dal cuore dell' Europa
all'Oceano Pacifico, in modo che dai finestrini si possa assaporare
ogni dettaglio del paesaggio, fino alla noia. Ma, agli Urali, lo
stupore di veder scritto su di una stele: qui finisce l'Europa. E,
neanche un chilometro dopo, sentirsi "altrove", dato che
un' altra stele stabilisce: qui comincia l' Asia. Quale arbitrio,
quale certezza certificata! In verità, per tre giorni soltanto
steppa, poi due giornate di tundra, per un giorno intero la
meraviglia del lago Baikal... Forse è vero che la ferrovia, come
diceva Dolf Strenberger, ha trasformato il mondo in un panorama
perché il viaggiatore si può nutrire di immagini sempre nuove. Per
quanto riguarda la Transiberiana non è proprio che siano sempre
nuove, ad ogni modo sono sempre più eccitanti, per la mente del
viaggiatore, del niente che si scorge dal finestrino dell'aereo dove
davvero uno viaggia come una valigia.
John Ruskin, alla metà
dell' Ottocento, scriveva a proposito del viaggio in treno che il
viaggiatore era ridotto alla condizione di "pacco vivente"
e che il massimo che poteva apprendere sul paese che stava
attraversando, era la sua configurazione geologica e la sua
superficie in generale. Dici niente? Ma lui non sapeva, non poteva
sapere, come il Progresso ci avrebbe ridotti, felici di viaggiare in
treno soltanto perché "finalmente posso leggere i giornali in
pace", mentre telefonare è da cafoni, si sa ma si continua a
farlo.
Invece in treno, ma non
su tutti treni, sulla Transiberiana di certo sì, si può assistere -
o partecipare? - a un altro spettacolo. Si osservano i compagni di
viaggio e con loro si fa, se si vuole, "comunella". Dopo la
prima notte, al mattino tutti si vestono, ma poi pensano: chi me lo
fa fare? Chi ci vede, chi ci giudica? Così, si viaggia come bambini
in questo tempo lento, oggi come oggi privilegiato, contenti di
essere, come a casa propria, in pigiama, sospesi e non giudicati, sul
"treno dei desideri" - perché questo è sempre stato e
spero che sempre sarà la Transiberiana - dove si va
"all'incontrario". Di tutto. Di qualsiasi regola, di
qualsiasi logica globalizzante. Globalizzata. Dentro quel treno lì,
in pigiama, giocando a scacchi - bravissimi sempre i russi - ci i
dimentica che ci sia tanta "schifezza" nell'universo mondo,
come mi ha detto sulla Transiberiana, quattro anni fa, un tale Ivan,
pensionato, ex Eroe dell' Urss, quando eravamo a Zaibalkask, cioè,
venendo dall' Oriente, a 6666 chilometri da Mosca, dove ci attendeva
tutto il male - ovvero tutta la realtà - di irrisolti percorsi.
Però, adesso, di questa
linea ferroviaria che forse si vuole riammodernare, comunque si vuole
celebrare, perché farla fu come dire: la Russia c'è, vorrei
ricordare a me stessa e a chiunque vi transitò che, comunque "è
stato bello". Se lo sarà ancora, non so.
“la Repubblica”, 10
luglio 2001
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