22.10.17

Lettere in prima pagina. Luglio 1962: un giovane scrive a Togliatti, Togliatti risponde

Il 21 luglio 1962, il settimanale «Rinascita» pubblica in copertina la lettera scritta da un giovane al direttore Palmiro Togliatti. È la testimonianza dei dubbi di una generazione, la richiesta d’aiuto, fatta a nome di tutti, a un «capo» apparentemente irraggiungibile. Nel 1989, in seguito alla morte prematura di Franco Gatti, l'autore della lettera, “il manifesto” ripubblicò la sua accorata richiesta di «qualcosa per cui valga la pena di vivere» insieme alla risposta del leader comunista, accompagnando il tutto con un ricordo di Alberto Magnaghi, che di Gatti era stato per un lungo periodo amico e compagno.
Gatti, dopo la risposta di Togliatti, si iscrisse al Pci, partito da cui uscì nella tempesta del '68. Dopo, come racconta Magnaghi, “scelse altre forme di «politica attiva», più consone ai quesiti che poneva a Togliatti, di quanto non fosse una semplice adesione a un partito”. Come studioso di scienze del territorio Gatti insegnò e organizzò centri di ricerca, promosse riviste, aggregazioni e movimenti, per un nuovo modo di abitare, prodromico a nuovi modelli di partecipazione sociale e all'autogoverno delle comunità. (S.L.L.)

10 luglio 1962
Egregio signor direttore,
chi Le scrive è un ragazzo di 19 anni; e, come tutti i giovani, desideroso di conoscere, di studiare e di orientare la propria attività in senso produttivo.
Sono di idee comuniste, ma non iscritto al partito; ho conosciuto l’ideologia marxista circa un anno e mezzo fa attraverso un lento processo di evoluzione di cui ancora adesso non riesco a capire le ragioni.
Sin da quando ho acquistato la ragione ho cercato di rifiutare la concezione della vita che si ha oggi in Italia.
La corsa al denaro, lo stipendio fisso, la cultura radiotelevisiva, ecc...; seppure inconsciamente sentivo questo vuoto di ideali e cercavo qualcosa in cui credere; qualcosa per cui valga la pena di vivere. Non riuscendo a trovare ciò nell’ideologia cattolica, anche di questo non riesco a spiegarmi la ragione, a poco a poco cominciai a maturare una certa coscienza socialista; mi scusi il tono didascalico e freddo di questa lettera ma mi riesce molto difficile esporre questi problemi che ho più che altro intuito.
Cominciai ad avvicinarmi ai testi marxisti; ho letto il Manifesto del partito comunista, L’evoluzione del socialismo di Engels e altri volumetti della PBM delle edizioni Rinascita.
In seguito cominciai a seguire le lotte politiche nel mondo, le battaglie per il socialismo e devo dire che molti dei miei problemi furono risolti. Ma l’adesione al comunismo appunto risolvendo alcuni problemi, me ne ha posti automaticamente dei nuovi. Completate le scuole medie inferiori mi sono iscritto, dato che ho sempre avuto un certo interesse per le arti figurative e per il disegno, all’Accademia di Belle Arti; la frequentai per due anni, indi, per le ragioni che ho detto prima, mancanza di scopo, di ordine... ecc.., me ne andai e mi iscrissi ad un corso per disegnatori edili. Indi mi impiegai presso uno studio di architettura; con l’inizio del lavoro subentrò quell’avvicinamento al marxismo di cui ho detto prima. Ed ora vengo finalmente alle ragioni di questa mia lettera.
Incominciai a prendere interesse per lo studio e per la cultura, a capire la loro importanza nella vita dell’uomo ma avevo una tremenda confusione nella testa. Cioè, sapevo quello che avrei dovuto fare, quello che avrei dovuto studiare, come organizzarmi, ma non ho mai avuto la capacità di mettere in forma pratica, legate costruttivamente la vita di ogni giorno, queste mie idee.
Mi interessa tutto, politica, arte, cinema, letteratura, storia; vorrei conoscere e sapere tutto ma non sono mai riuscito a combinare niente di buono.
Ho cercato di limitare il campo dei miei studi, di farmi dei programmi, ma non ho mai portato a termine niente; se limitavo i miei studi alla letteratura italiana, ad esempio, mi sembrava che fosse utile la storia del cinema, e così via.
Inoltre mi sono sorti altri problemi; la relazione del mio lavoro con le mie idee, i rapporti fra la cultura mia e il mio lavoro e la mia vita futura; cioè: devo considerare il mio lavoro come forma di guadagno e poi avere altre attività, altri interessi culturali, oppure cercare di migliorarmi, di conoscere l’architettura e dedicare tutte le mie attività in quel campo? E se è quest'ultima cosa la più utile, come poter fare qualcosa di costruttivo, di utile nel campo dell’architettura? Inoltre, Marx non condannava forse la specializzazione?
Ecco, questi sono i miei problemi; inutile dire che per risolverli non ho avuto l’aiuto di nessuno o quasi; e men che meno dai miei familiari; inoltre mi hanno portato a delle incomprensioni tremende nei rapporti con le ragazze e i miei amici e coetanei.
Ora io volevo, alla fine di questo sfogo, chiderLe dei consigli riguardo alla organizzazione della mia vita culturale e morale; non pretendo che sulla base di una lettera piuttosto confusa e farraginosa, mi indirizzi verso questo o quel campo; ma vorrei sapere alcune cose sul metodo, su «come» studiare. Sarei anche pronto ad iscrivermi al partito se sapessi di trovare un’attività, veramente utile e costruttiva. Non mi sono mai iscritto in quanto non ho mai avuto occasione di entrare in contatto con i vostri rappresentanti e, data la mia naturale timidezza, non ho mai avuto il coraggio di presentarmi da solo.
Ultimamente mi sono iscritto al corso di lingua russa dell’Associazione italiana per i rapporti con l’URSS, sperando di poter studiare almeno qualcosa con un poco di criterio e metodo. Ma rimangono ancora tutte le altre cose che voglio conoscere e sapere.
Non ho alcuna ambizione di diventare famoso o un genio; vorrei solamente fare qualcosa di veramente utile e costruttivo nella vita.
Concludo scusandomi di averLa importunata ma penso che se non altro questa lettera potrà documentarla sullo stato di confusione e di incertezza in cui versa la gioventù italiana di oggi. Le sarei molto grato se mi concedesse una Sua risposta, o privata o su “Rinascita” con qualche consiglio.
Esprimendole i miei più fervidi saluti ed auguri, rispettosamente la saluto.
Franco Gatti

Saremo capaci di capire?
Palmiro Togliatti
Ho pensato che questa lettera per il contenuto, per lo spirito che la pervade, per i problemi che pone, dovesse ricevere, nel nostro settimanale, un particolare rilievo. Per questo l’abbiamo collocata qui, e pubblicata nella sua integrità.
Ma la risposta non è facile. Soprattutto perché vi è una risposta di comodo, troppo semplice, ma fasulla, che sta nel domandare: «Ma perché non ti sei ancora iscritto al partito?» e aggiungere; «Iscriviti dunque, e troverai la strada per andare avanti». In realtà, l’iscrizione al partito (o alla federazione giovanile) di un giovane, nell’animo del quale maturano i problemi che risultano da questa lettera, fornisce a lui veramente quella guida per andare avanti ch’egli sta cercando? Credo si debba rispondere, sinceramente, in modo se non negativo per lo meno dubitativo, e questa risposta apre, per noi stessi, problemi seri. Con parecchi giovani abbiamo parlato, che in termini più o meno aperti ce l’hanno fatto capire.
Ci si iscrive. Si frequenta la sezione o il circolo, là dove esiste e viene frequentato. Qui si svolge, senza dubbio, una vita collettiva. Si svolge però attorno a temi di organizzazione, o sindacali, o politici, o di duro lavoro pratico, che non soltanto riescono nuovi, ma sembrano lontani, aridi, astrusi, a chi non abbia per essi un allenamento speciale. Non è facile, né si trova sempre chi sappia porre in evidenza il carico di idee, di passione e di volontà che ciascuno di essi riassume. E le grandi giornate, che mettono a nudo il fondo delle cose - Genova ’60, la Borletti, lo sciopero Fiat, ecc. -, non vengono così di frequente. È dunque tutta qui, l’azione che conosce il mondo per trasformarlo, per creare un mondo nuovo? Non è raro che all’entusiasmo possa succedere l’incertezza, lo scoramento. A parte una certa irrequietezza, di cui è difficile a noi scoprire le ragioni, emerge da questa lettera una spinta ideale, un’ansia di conoscere, di lavorare, di costruirsi una vita degna di essere vissuta, che sono cose nostre, tutte nostre. Siamo noi capaci di corrispondere con l’opera nostra, e non in generale, ma nel concreto, gruppo per gruppo, individuo per individuo, a questi stati d’animo e orientamenti, così diffusi nella gioventù di oggi e diretta espressione della profonda crisi della odierna società? Siamo capaci di trarre da questa spinta e crisi iniziale tutto ciò che essa contiene come possibilità di formazione rivoluzionaria e di penetrazione nostra in direzioni nuove?
Conoscere tutto, sapere tutto. Chi non ha sentito questa aspirazione non è stato giovane. E non è stato giovane chi non ha sentito la necessità di ordinare le sue conoscenze in una visione complessiva del mondo nel quale viviamo e delle mete verso le quali marciamo e la necessità di inserire in questa visione complessiva anche la propria esistenza, il proprio lavoro, le proprie scelte. Questa è una delle vie per cui si giunge a noi, cioè a una visione rivoluzionaria della realtà e della vita, ed è via largamente aperta, soprattutto oggi, che la conservazione sociale è diventata persino ridicola, che ogni vecchio schema viene travolto dallo sviluppo delle cose e dalla avanzata impetuosa di popoli, classi e nazioni verso mete nuove. Ma accanto a questa e intrecciata con essa vi è l’altra via, della elementare ribellione alla ingiustizia, alla oppressione allo sfruttamento e quindi della lotta di classe, dei suoi combattimenti e della coscienza democratica e socialista che in essi matura. Questa è la via che segue la grande massa dei lavoratori, nei quali la visione rivoluzionaria complessiva della società e del mondo matura attraverso un’esperienza, quasi sempre dura, di vita stentata, di lavoro pesante, di lotte difficili e non sempre vittoriose. Importante è capire che la crisi del sapere, che il tormento e la ricerca ideali, e l’esperienza pratica del lavoro e della lotta di classe sono aspetti e momenti non sperati di uno stesso processo di liberazione. L’aiuto vero, e per gli uni e per gli altri, sta dunque nel rendere possibile e organizzare il contatto, la comprensione, la collaborazione fra tutti coloro che non solo aspirano a un avvenire degno di essere vissuto, ma per esso lavorano e combattono.
Oggi sappiamo dove si va. Il comunismo non è più soltanto negazione e speranza: è realtà e costruzione positiva, con obiettivi abbastanza ben definiti. Una tendenza iniziale allo spostamento verso di noi si può ritrovare anche in settori da noi molto lontani. Noi non riusciamo, però, a coglierla in tutti suoi aspetti, a lavorare come si dovrebbe per portarla a solidi risultati. A un certo punto intervengono, per spezzare la tendenza, i problemi della vita pratica, ed esiste poi, nella società odierna, nelle forme di vita che essa impone agli uomini, nel costume che in essa tende a prevalere, un nuovo elemento di vischiosità conservatrice, di cui non è facile liberarsi. Gran cosa la radio e la televisione; ma l’uomo che riduce tutta la sua vita libera, giorno per giorno, a quello schermo e a quell’altoparlante, non è più un uomo libero. Altri pensa per lui, sottraendogli la visione dei grandi, veri problemi che oggi agitano il mondo. Una guida deve intervenire, che orienti a un pensiero libero. La lotta di classe organizzata agisce, è vero, come forza liberatrice. Ma chi guiderà il giovane, che da solo si travagli nella ricerca?
Torniamo così al punto di partenza. Dove sono, su tutta la superficie della nazione, i centri di indagine, di dibattito, di orientamento? E non a un livello troppo alto, ma al livello di tutti. Dove sono le sezioni, i circoli, che abbiano qualcosa di simile a un centro di questa natura? Dove sono gli uomini di prestigio che frequentino questi luoghi, e non per comizi e feste, ma per arricchire questa attività continua di comprensione reciproca, di chiarimento, di guida? Non mai come ora sono state grandi e la necessità e anche la possibilità di un’azione di questa natura. Ma guai a non comprenderlo. Guai a non fare ciò che la situazione richiede.
Un consiglio a questo giovane non è facile darlo. Ed è particolarmente difficile forse, per coloro che, avendo conosciuto, almeno in parte, alcuni elementi della crisi ch’egli attraversa, ne sono usciti, prima di tutto con decisi atti di volontà. Ma se è difficile dare un consiglio, non è difficile cogliere il richiamo che esce dalle sue parole, afferrare in esse l’indicazione anche di doveri e compiti nostri.


Da “Rinascita, 21 luglio 1962”, in “il manifesto”, 24 settembre 1989

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