Il 21 luglio 1962, il
settimanale «Rinascita» pubblica in copertina la lettera scritta da
un giovane al direttore Palmiro Togliatti. È la testimonianza dei
dubbi di una generazione, la richiesta d’aiuto, fatta a nome di
tutti, a un «capo» apparentemente irraggiungibile. Nel 1989, in
seguito alla morte prematura di Franco Gatti, l'autore della lettera,
“il manifesto” ripubblicò la sua accorata richiesta di
«qualcosa per cui valga la pena di vivere» insieme alla risposta
del leader comunista, accompagnando il tutto con un ricordo di
Alberto Magnaghi, che di Gatti era stato per un lungo periodo amico e
compagno.
Gatti, dopo la risposta
di Togliatti, si iscrisse al Pci, partito da cui uscì nella tempesta del '68.
Dopo, come racconta Magnaghi, “scelse altre forme di «politica
attiva», più consone ai quesiti che poneva a Togliatti, di quanto
non fosse una semplice adesione a un partito”. Come studioso di
scienze del territorio Gatti insegnò e organizzò centri di ricerca,
promosse riviste, aggregazioni e movimenti, per un nuovo modo di
abitare, prodromico a nuovi modelli di partecipazione
sociale e all'autogoverno delle comunità. (S.L.L.)
10 luglio 1962
Egregio signor
direttore,
chi Le scrive è un
ragazzo di 19 anni; e, come tutti i giovani, desideroso di conoscere,
di studiare e di orientare la propria attività in senso produttivo.
Sono di idee comuniste,
ma non iscritto al partito; ho conosciuto l’ideologia marxista
circa un anno e mezzo fa attraverso un lento processo di evoluzione
di cui ancora adesso non riesco a capire le ragioni.
Sin da quando ho
acquistato la ragione ho cercato di rifiutare la concezione della
vita che si ha oggi in Italia.
La corsa al denaro, lo
stipendio fisso, la cultura radiotelevisiva, ecc...; seppure
inconsciamente sentivo questo vuoto di ideali e cercavo qualcosa in
cui credere; qualcosa per cui valga la pena di vivere. Non riuscendo
a trovare ciò nell’ideologia cattolica, anche di questo non riesco
a spiegarmi la ragione, a poco a poco cominciai a maturare una certa
coscienza socialista; mi scusi il tono didascalico e freddo di questa
lettera ma mi riesce molto difficile esporre questi problemi che ho
più che altro intuito.
Cominciai ad avvicinarmi
ai testi marxisti; ho letto il Manifesto del partito comunista,
L’evoluzione del socialismo di Engels e altri volumetti
della PBM delle edizioni Rinascita.
In seguito cominciai a
seguire le lotte politiche nel mondo, le battaglie per il socialismo
e devo dire che molti dei miei problemi furono risolti. Ma l’adesione
al comunismo appunto risolvendo alcuni problemi, me ne ha posti
automaticamente dei nuovi. Completate le scuole medie inferiori mi
sono iscritto, dato che ho sempre avuto un certo interesse per le
arti figurative e per il disegno, all’Accademia di Belle Arti; la
frequentai per due anni, indi, per le ragioni che ho detto prima,
mancanza di scopo, di ordine... ecc.., me ne andai e mi iscrissi ad
un corso per disegnatori edili. Indi mi impiegai presso uno studio di
architettura; con l’inizio del lavoro subentrò quell’avvicinamento
al marxismo di cui ho detto prima. Ed ora vengo finalmente alle
ragioni di questa mia lettera.
Incominciai a prendere
interesse per lo studio e per la cultura, a capire la loro importanza
nella vita dell’uomo ma avevo una tremenda confusione nella testa.
Cioè, sapevo quello che avrei dovuto fare, quello che avrei dovuto
studiare, come organizzarmi, ma non ho mai avuto la capacità di
mettere in forma pratica, legate costruttivamente la vita di ogni
giorno, queste mie idee.
Mi interessa tutto,
politica, arte, cinema, letteratura, storia; vorrei conoscere e
sapere tutto ma non sono mai riuscito a combinare niente di buono.
Ho cercato di limitare il
campo dei miei studi, di farmi dei programmi, ma non ho mai portato a
termine niente; se limitavo i miei studi alla letteratura italiana,
ad esempio, mi sembrava che fosse utile la storia del cinema, e così
via.
Inoltre mi sono sorti
altri problemi; la relazione del mio lavoro con le mie idee, i
rapporti fra la cultura mia e il mio lavoro e la mia vita futura;
cioè: devo considerare il mio lavoro come forma di guadagno e poi
avere altre attività, altri interessi culturali, oppure cercare di
migliorarmi, di conoscere l’architettura e dedicare tutte le mie
attività in quel campo? E se è quest'ultima cosa la più utile,
come poter fare qualcosa di costruttivo, di utile nel campo
dell’architettura? Inoltre, Marx non condannava forse la
specializzazione?
Ecco, questi sono i miei
problemi; inutile dire che per risolverli non ho avuto l’aiuto di
nessuno o quasi; e men che meno dai miei familiari; inoltre mi hanno
portato a delle incomprensioni tremende nei rapporti con le ragazze e
i miei amici e coetanei.
Ora io volevo, alla fine
di questo sfogo, chiderLe dei consigli riguardo alla organizzazione
della mia vita culturale e morale; non pretendo che sulla base di una
lettera piuttosto confusa e farraginosa, mi indirizzi verso questo o
quel campo; ma vorrei sapere alcune cose sul metodo, su «come»
studiare. Sarei anche pronto ad iscrivermi al partito se sapessi di
trovare un’attività, veramente utile e costruttiva. Non mi sono
mai iscritto in quanto non ho mai avuto occasione di entrare in
contatto con i vostri rappresentanti e, data la mia naturale
timidezza, non ho mai avuto il coraggio di presentarmi da solo.
Ultimamente mi sono
iscritto al corso di lingua russa dell’Associazione italiana per i
rapporti con l’URSS, sperando di poter studiare almeno qualcosa con
un poco di criterio e metodo. Ma rimangono ancora tutte le altre cose
che voglio conoscere e sapere.
Non ho alcuna ambizione
di diventare famoso o un genio; vorrei solamente fare qualcosa di
veramente utile e costruttivo nella vita.
Concludo scusandomi di
averLa importunata ma penso che se non altro questa lettera potrà
documentarla sullo stato di confusione e di incertezza in cui versa
la gioventù italiana di oggi. Le sarei molto grato se mi concedesse
una Sua risposta, o privata o su “Rinascita” con qualche
consiglio.
Esprimendole i miei più
fervidi saluti ed auguri, rispettosamente la saluto.
Franco Gatti
Saremo capaci di
capire?
Palmiro Togliatti
Ho pensato che questa
lettera per il contenuto, per lo spirito che la pervade, per i
problemi che pone, dovesse ricevere, nel nostro settimanale, un
particolare rilievo. Per questo l’abbiamo collocata qui, e
pubblicata nella sua integrità.
Ma la risposta non è
facile. Soprattutto perché vi è una risposta di comodo, troppo
semplice, ma fasulla, che sta nel domandare: «Ma perché non ti sei
ancora iscritto al partito?» e aggiungere; «Iscriviti dunque, e
troverai la strada per andare avanti». In realtà, l’iscrizione al
partito (o alla federazione giovanile) di un giovane, nell’animo
del quale maturano i problemi che risultano da questa lettera,
fornisce a lui veramente quella guida per andare avanti ch’egli sta
cercando? Credo si debba rispondere, sinceramente, in modo se non
negativo per lo meno dubitativo, e questa risposta apre, per noi
stessi, problemi seri. Con parecchi giovani abbiamo parlato, che in
termini più o meno aperti ce l’hanno fatto capire.
Ci si iscrive. Si
frequenta la sezione o il circolo, là dove esiste e viene
frequentato. Qui si svolge, senza dubbio, una vita collettiva. Si
svolge però attorno a temi di organizzazione, o sindacali, o
politici, o di duro lavoro pratico, che non soltanto riescono nuovi,
ma sembrano lontani, aridi, astrusi, a chi non abbia per essi un
allenamento speciale. Non è facile, né si trova sempre chi sappia
porre in evidenza il carico di idee, di passione e di volontà che
ciascuno di essi riassume. E le grandi giornate, che mettono a nudo
il fondo delle cose - Genova ’60, la Borletti, lo sciopero Fiat,
ecc. -, non vengono così di frequente. È dunque tutta qui, l’azione
che conosce il mondo per trasformarlo, per creare un mondo nuovo? Non
è raro che all’entusiasmo possa succedere l’incertezza, lo
scoramento. A parte una certa irrequietezza, di cui è difficile a
noi scoprire le ragioni, emerge da questa lettera una spinta ideale,
un’ansia di conoscere, di lavorare, di costruirsi una vita degna di
essere vissuta, che sono cose nostre, tutte nostre. Siamo noi capaci
di corrispondere con l’opera nostra, e non in generale, ma nel
concreto, gruppo per gruppo, individuo per individuo, a questi stati
d’animo e orientamenti, così diffusi nella gioventù di oggi e
diretta espressione della profonda crisi della odierna società?
Siamo capaci di trarre da questa spinta e crisi iniziale tutto ciò
che essa contiene come possibilità di formazione rivoluzionaria e di
penetrazione nostra in direzioni nuove?
Conoscere tutto, sapere
tutto. Chi non ha sentito questa aspirazione non è stato giovane. E
non è stato giovane chi non ha sentito la necessità di ordinare le
sue conoscenze in una visione complessiva del mondo nel quale viviamo
e delle mete verso le quali marciamo e la necessità di inserire in
questa visione complessiva anche la propria esistenza, il proprio
lavoro, le proprie scelte. Questa è una delle vie per cui si giunge
a noi, cioè a una visione rivoluzionaria della realtà e della vita,
ed è via largamente aperta, soprattutto oggi, che la conservazione
sociale è diventata persino ridicola, che ogni vecchio schema viene
travolto dallo sviluppo delle cose e dalla avanzata impetuosa di
popoli, classi e nazioni verso mete nuove. Ma accanto a questa e
intrecciata con essa vi è l’altra via, della elementare ribellione
alla ingiustizia, alla oppressione allo sfruttamento e quindi della
lotta di classe, dei suoi combattimenti e della coscienza democratica
e socialista che in essi matura. Questa è la via che segue la grande
massa dei lavoratori, nei quali la visione rivoluzionaria complessiva
della società e del mondo matura attraverso un’esperienza, quasi
sempre dura, di vita stentata, di lavoro pesante, di lotte difficili
e non sempre vittoriose. Importante è capire che la crisi del
sapere, che il tormento e la ricerca ideali, e l’esperienza pratica
del lavoro e della lotta di classe sono aspetti e momenti non sperati
di uno stesso processo di liberazione. L’aiuto vero, e per gli uni
e per gli altri, sta dunque nel rendere possibile e organizzare il
contatto, la comprensione, la collaborazione fra tutti coloro che non
solo aspirano a un avvenire degno di essere vissuto, ma per esso
lavorano e combattono.
Oggi sappiamo dove si va.
Il comunismo non è più soltanto negazione e speranza: è realtà e
costruzione positiva, con obiettivi abbastanza ben definiti. Una
tendenza iniziale allo spostamento verso di noi si può ritrovare
anche in settori da noi molto lontani. Noi non riusciamo, però, a
coglierla in tutti suoi aspetti, a lavorare come si dovrebbe per
portarla a solidi risultati. A un certo punto intervengono, per
spezzare la tendenza, i problemi della vita pratica, ed esiste poi,
nella società odierna, nelle forme di vita che essa impone agli
uomini, nel costume che in essa tende a prevalere, un nuovo elemento
di vischiosità conservatrice, di cui non è facile liberarsi. Gran
cosa la radio e la televisione; ma l’uomo che riduce tutta la sua
vita libera, giorno per giorno, a quello schermo e a
quell’altoparlante, non è più un uomo libero. Altri pensa per
lui, sottraendogli la visione dei grandi, veri problemi che oggi
agitano il mondo. Una guida deve intervenire, che orienti a un
pensiero libero. La lotta di classe organizzata agisce, è vero, come
forza liberatrice. Ma chi guiderà il giovane, che da solo si
travagli nella ricerca?
Torniamo così al punto
di partenza. Dove sono, su tutta la superficie della nazione, i
centri di indagine, di dibattito, di orientamento? E non a un livello
troppo alto, ma al livello di tutti. Dove sono le sezioni, i circoli,
che abbiano qualcosa di simile a un centro di questa natura? Dove
sono gli uomini di prestigio che frequentino questi luoghi, e non per
comizi e feste, ma per arricchire questa attività continua di
comprensione reciproca, di chiarimento, di guida? Non mai come ora
sono state grandi e la necessità e anche la possibilità di
un’azione di questa natura. Ma guai a non comprenderlo. Guai a non
fare ciò che la situazione richiede.
Un consiglio a questo
giovane non è facile darlo. Ed è particolarmente difficile forse,
per coloro che, avendo conosciuto, almeno in parte, alcuni elementi
della crisi ch’egli attraversa, ne sono usciti, prima di tutto con
decisi atti di volontà. Ma se è difficile dare un consiglio, non è
difficile cogliere il richiamo che esce dalle sue parole, afferrare
in esse l’indicazione anche di doveri e compiti nostri.
Da “Rinascita, 21
luglio 1962”, in “il manifesto”, 24 settembre 1989
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