Era necessario vedere il
modo tenuto da Raniero Panzieri per morire. Per rammentare che la
lotta delle classi ha molti modi di fare le sue vittime.
Panzieri, quando io l’ho
conosciuto, era un funzionario del PSI che non dava a vedere di
avvertire fastidio per il sottilissimo e un po’ inutile intrico di
distinzioni ideologiche e politiche in che si compiacevano molti
della sua formazione. E poteva dar noia la verve intellettuale, il
paradosso e il sofisma che a un tratto considerazioni di tattica
politica tendevano a spegnere. Ma da quando le sue posizioni e l’odio
- ricambiato - di alcuni dirigenti socialisti e comunisti lo ebbero
messo ai margini o fuori del PSI e, cercando lavoro, se ne fu venuto
a Torino, Raniero si trasformò nell’uomo che abbiamo conosciuto e
ricordiamo.
Di destini come quello di
un Panzieri - noi abbiamo bisogno. Lasciamo alla ipocrisia di molti,
capaci anche di dirsi marxisti, la valutazione dei meriti
intellettuali o politici; grandi, e ce ne accorgeremo. Le teste di
quei molti non potranno capire mai, socialisti o comunisti «moderni»
come sono, cioè educati alla scuola dei valori del capitalismo, che
Panzieri, per noi, molto più di quel che egli è stato, è quel che
egli non è stato.
Egli è stato anzitutto
il diverso dagli altri, il diverso da quelli. Chi cerca le
proprie amicizie tra gli invisibili diviene presto invisibile. Questo
ha saputo Panzieri attuare inflessibilmente.
Non importa che il nome
di Raniero venga ricordato. Le nostre memorie sono già troppo
affollate. Egli ha lasciato degli scritti, tutti lasceremo degli
scritti; ma la nostra verità, se una verità abbiamo attinto, è
stata detta quasi per caso, in margine.
Da
L'ospite ingrato. Testi e note per versi ironici,
De Donato, 1966
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