Il giovane Churchill in India |
Il sistema imperiale
americano è diverso da tutti quelli che l'hanno preceduto nella
storia: questa tesi, sostenuta da ultimo da uno storico notissimo
come Eric J. Hobsbawm (Imperialismi, Rizzoli), è certamente
popolare. L'unicità di un impero atipico come quello Usa, privo di
colonie e di confini definiti, starebbe nel fatto che non esistono
potenze tali da bilanciare la sua influenza e che, per la prima
volta, un'area di egemonia politica e militare coincide con un
fenomeno economico e tecnologico vasto come la globalizzazione
attuale. Proprio il processo di unificazione materiale del mondo -
che sembra suggerire all'umanità «l'adozione di modelli universali»
- ha alimentato la spinta imperiale degli Stati Uniti, basata secondo
Hobsbawm sull'esportazione della democrazia al pari della diffusione
degli altri prodotti che, irradiatisi dalla civiltà americana, sono
confluiti nello stile di vita occidentale fino a fare di esso un
canone universale.
Ma i limiti dell'impero
americano affondano precisamente in quest'intreccio di economia e
politica: per Hobsbawm già ora «l'economia statunitense non è più
dominante come lo era un tempo». Lo storico inglese indica la
«contraddizione» che esisterebbe fra la politica del libero scambio
su scala mondiale, affermatasi sulla scia dell'espansione americana
dopo la seconda guerra mondiale, e gli interessi dell'economia Usa,
diventata importatrice di «enormi quantità di prodotti finiti dal
resto del mondo». Una realtà a cui l'elettorato dell'altra sponda
dell'Atlantico guarda con sospetto e con malcelate nostalgie
protezionistiche.
Di segno opposto
l'analisi di un inglese trapiantato nell'università bostoniana di
Harvard, Niall Ferguson. Per lui, il vero elemento critico della
politica internazionale americana sta, quasi per un paradosso, nella
sua carente vocazione imperiale. In Colossus (Mondadori),
Ferguson pone a confronto l'impero britannico di fine Ottocento con
l'impero informale americano di oggi, un paragone che va a tutto
vantaggio della vecchia Inghilterra vittoriana. Inseguendo la loro
missione imperiale, gli inglesi avocarono a sé una responsabilità
nell'ordine mondiale che invece gli americani non hanno mai scelto
fino in fondo. Così, per esempio, ad amministrare i territori
sottomessi e a occuparsi delle guerre coloniali, i governi di sua
maestà britannica inviarono il meglio della nuova classe dirigente
perché vi compisse la propria formazione: il giovane cadetto Winston
Churchill mosse i primi passi nella guerra contro i Boeri del Sud
Africa. Al contrario, i reparti dell'esercito Usa inviati per il
mondo sono spesso composti dagli strati poveri e marginali.
Condizionati dall'essere nati da una rivolta contro l'imperialismo
inglese, gli Usa non riescono ad essere un impero fino in fondo.
La Stampa, sabato 31
marzo 2007
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