L’ironia di Camilleri?
Un messaggio d'intelligenza e umanità
che rende stupida e innocua
ogni possibile, inutile cattiveria
Dopo le feroci scritte
circolate sui social nei confronti di Andrea Camilleri, avevo postato
questo su Facebook: “Di Andrea Camilleri amo tanto la trilogia
delle metamorfosi, anche se, come dice il mio amico Giovanni
Taglalavoro, il Re di Girgenti è la sua opera più grandiosa.
Un’epopea dove c’è tutto Andrea. Ma amo anche Montalbano.
All’inizio aveva più o meno la nostra età e i nostri stessi
problemi esistenziali. Poi l’ha fatto ringiovanire. La sua
Marinella è quella della mia infanzia. La vedo, la riconosco.
Camilleri ha la narrazione nel sangue. Tutte le volte che l’ho
incontrato mi ha riempito di storie, bellissime, con quel modo di
parlare che sentivo come un’aria di famiglia. Ebbe dalla mia
Facoltà, me preside, la laurea honoris causa. Ne feci
l’elogio, come accademicamente si usa fare e lui la lectio
magistralis. Fu una bellissima giornata. E poi, da me presentato,
venne a fare l’intervista impossibile al Galileo. A cose fatte,
teatro strapieno, andammo a cena. E lì ancora storie. Mi sembrava di
stare in un bar all’aperto a Porto Empedocle e per la verità una
volta vi stetti.
Alfonso Maurizio Jacono |
Un’altra volta, dopo una lezione alla Scuola
Normale, circondato da politici e sottosegretari di vario tipo, si
mise ostentatamente e ironicamente a parlare in siciliano, anzi in
agrigentino, con me, creando un piccolo, sottile, imbarazzato
sconcerto in persone troppo abituate a essere ascoltate. Quello che
hanno scritto sui social non lo sfiora minimamente. Non mi fa neanche
rabbia, ma solo tristezza. La sua ironia è sempre stata un messaggio
di intelligenza e di umanità che rende stupida e innocua ogni
possibile, inutile cattiveria”.
Non avevo ancora letto
Vittorio Feltri, al quale manca proprio l’ironia. Quel che si
mostra come modo crudo e sincero di dire le cose, nasconde in realtà
la mancanza di ironia. Apprezza Camilleri come scrittore ma lo
detesta perché è comunista e terrone, due cose che non riesce a
sopportare. Detesta anche Salvo Montalbano, un commissario di polizia
che è anche un po’ comunista nel senso in cui lo erano i comunisti
siciliani di un tempo, antimafiosi e uomini delle istituzioni e della
legge. Ma soprattutto è terrone. Lo è nel modo di rispondere al
telefono, in quel suo mettere prima il cognome e poi il verbo
(“Montalbano sono!”), nel gusto sensuale della cucina siciliana,
nell’attrazione verso le belle donne, specie se di carattere, che
egli trattiene, ma che si scatena nel suo alter ego, il
vicecommissario Mimì Augello, nel rapporto con il mare che sommerge
la verità dei morti annegati, quello che sta al confine tra l’Europa
e l’Africa, un confine così distante dal Nord.
Molti dicono che
Montalbano è un prodotto di consumo. Alcuni critici letterari
storcono il naso. Vincenzo Consolo se ne fece una malattia. Anche
fosse? L’ironia di Camilleri allenta lo stereotipo del siciliano.
Se è detestato da Feltri perché comunista e terrone, è, allo
stesso modo, amato da mezzo mondo, perché questo comunista terrone,
pieno di fragilità e di contraddizioni umane, tiene fermi i principi
senza moralismo e non si gira dall’altra parte di fronte
all’ingiusta morte dei migranti in mare. È popolare ed è ciò che
dà fastidio a Feltri, il quale usa spesso, come anche in questo
caso, la frase “ha rotto i coglioni”. In effetti “coglione” è
un termine familiare nel bergamasco. Si dice perfino “coglione di
Bergamo”. Il grande condottiero Bartolomeo Colleoni si chiamava in
realtà Coglione. Allora questa parola era un vanto. Poi, come tutti
sanno, divenne ed è sinonimo di stupido. Chissà perché. Il grande
lombardo Dario Fo, il genio dello zanni, l’uomo di Mistero
buffo, avrebbe potuto rispondere.
Andrea, mi piace essere
comunista e terrone come te.
Da Il Tirreno, 25 giugno
2019
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