Siena, Palazzo Comunale, Storie di Papa Alessandro III (Spinello Aretino) |
Racconto della
controversa e ridicola elezione di papa Alessandro III e del suo
rivale Vittore IV.
Quando Adriano IV, il
primo settembre del 1159, morì ad Anagni, di nuovo nel collegio
cardinalizio due fazioni si contendevano l’elezione del successore:
quella imperiale con Ottaviano dei Crescenzi, cardinale di Santa
Cecilia e di famiglia nobile romana, e l’altra che sosteneva
Rolando Bandinelli, senese, diacono di San Cosma, uomo virtuoso,
illustre teologo e cancelliere della Chiesa.
Il 5 settembre i
cardinali si riunirono dietro il grande altare di San Pietro, e
Rolando fu proclamato papa a maggioranza. Quando la cappa rossa stava
per essere posata sulle sue spalle, Ottaviano, per evitare che con
quell’atto il rivale venisse riconosciuto come pontefice legittimo,
si buttò nel mezzo e nel nome dell’imperatore gli proibì di
accettarla. I cardinali non lo ascoltarono, e mentre Rolando piegava
di nuovo la testa per ricevere la cappa, Ottaviano cercò di
strappargliela di mano, finché un senatore la prese non per darla
all’uno o all’altro, ma per far cessare quello spettacolo
indegno. Ottaviano aveva con sé una cappa di riserva: se la fece
dare dal suo cappellano, si tolse il galero per far passare la testa
dal buco e nell’agitazione la indossò al rovescio, col cappuccio
davanti e la croce dietro. Era in un tale stato di confusione che non
trovando il cappuccio sulle spalle cercava di aggiustarsi in qualche
modo un lembo del mantello sul collo, e a quello spettacolo tutti
ridevano come davanti a una commedia. Mentre alcuni cercavano ancora
di togliere la veste dalle spalle di Ottaviano, lui si proclamò da
solo papa Vittore IV, e intonando il Te Deum uscì in fretta
dal retro dell’altare e si mostrò a un gruppo di chierici, che in
un angolo della basilica aspettavano con ansia il risultato
dell’elezione. Vedendolo col manto rosso, senza sapere nulla di
quello che era accaduto, lo acclamarono papa, e in quello stesso
momento le porte della chiesa si spalancarono ed entrò un gruppo di
uomini armati a sostenere l’elezione del candidato imperiale.
Vittore finalmente ebbe
il tempo di sistemarsi la veste e si sedette sul trono per ricevere i
primi omaggi; quindi si trasferì in Laterano su un cavallo bianco.
Una parte del popolo lo acclamava al suo passaggio, mentre altri lo
riempivano di insulti e lo chiamavano ladro di mantelli. C’era
anche un poeta, che lo seguiva lanciandogli contro dei versi
improvvisati. Rolando nel frattempo si era messo al sicuro con i suoi
sostenitori in una fortezza non lontano dalla basilica vaticana, e
appena possibile si trasferì a Ninfa, sulle sponde della palude
pontina, dove il cardinale Ubaldo da Ostia lo consacrò papa col nome
di Alessandro III.
Di come Alessandro
rimase infine unico papa, e del modo in cui accolse a Venezia
Federico Barbarossa.
Due pontefici ancora una
volta occupavano il soglio di Pietro, entrambi eletti con voto
irregolare, ed entrambi, alla fine, costretti all’esilio dai
romani. Non fu l’unico caso: dal tempo di Niccolò II, che nel 1059
aveva riservato l’elezione del papa ai soli cardinali, per ben
sette volte nell’arco di un secolo si ebbero doppie nomine e
altrettanti scismi. Un papa chiamava l’altro antipapa e lo
scomunicava, e con lui venivano scomunicati i sostenitori dell’una
e dell’altra fazione. Era un cerchio continuo di anatemi tra
vescovi, arcivescovi, cardinali, e una grandine di concili
contrapposti, coi legati che bussavano alle porte di tutte le città
e le corti d’Europa per far accreditare l’uno o l’altro
pontefice, e per raccogliere qualche soldo col quale sostenere le
loro corti vaganti.
Dopo diciotto anni e tre
antipapi lo scisma si ricompose: Alessandro III venne nuovamente
consacrato in Santa Maria Maggiore e riconosciuto come unico papa
legittimo anche da Federico Barbarossa, che fino ad allora aveva
fatto tutto il possibile per spodestarlo. L’imperatore si era
convinto che le disgrazie che gli stavano capitando, dalla malaria
che decimava l’esercito, alla Lega lombarda, alla rotta di Legnano,
fossero la punizione divina per essersi opposto ad Alessandro. Fu lo
stesso Barbarossa a mandare ambasciatori ad Anagni per concludere un
trattato, e la riconciliazione avvenne a Venezia, davanti alla
basilica di San Marco, nel luglio del 1177.
Il papa celebrò la
messa, quindi si sedette su un trono rialzato che dava sulla piazza,
e circondato dai suoi vescovi attese l’arrivo dell’imperatore.
Federico scese dalla gondola assieme al doge e ai cardinali che per
ordine del pontefice gli avevano tolto la scomunica. Quando arrivò
di fronte ad Alessandro, si levò il mantello e la corona e si
inginocchiò per baciare la sacra pantofola. Il papa lo sollevò e lo
baciò sulle guance, mentre i tedeschi lì presenti intonavano il Te
Deum, e l’imperatore riceveva la sua benedizione. Il giorno
dopo Federico ascoltò la messa con grande devozione, accompagnò il
papa alla porta della chiesa, gli tenne la staffa mentre saliva sul
cavallo, lo portò per un tratto e infine, dopo una nuova
benedizione, fece ritorno nel palazzo del Doge. Esiste, è vero,
un’altra versione della storia, nella quale, quando l’imperatore
si inginocchia, Alessandro gli scosta la corona dal capo col piede e
glielo poggia sul collo, dicendo: «Camminerò sopra l’aspide e sul
basilisco, schiaccerò il dragone». «Non a te mi sottometto -
risponde il Barbarossa - ma a Pietro». «A me e a Pietro», dice di
nuovo il papa. Un affresco del Salviatino, nella Sala Regia del
Vaticano, rappresenta la scena.
Del trionfale
ritorno del papa a Roma, e della sua bara presa a sassate dai romani.
A marzo del 1178 il papa
dopo tante persecuzioni e fughe rientrò a Roma una volta per tutte.
Del resto i cittadini, insieme al senato e al clero, da tempo lo
imploravano di tornare, e gli avevano offerto le migliori garanzie
che da lì in poi avrebbero obbedito a lui e a nessun altro papa.
Alessandro venne accolto fuori dalle mura dai magistrati,
dall’esercito, dai nobili con il loro seguito e dai cittadini con
vessilli e croci. Nessuno a memoria d’uomo ricordava un simile
trattamento riservato a un pontefice: il palafreniere a fatica
riusciva a farsi largo tra la folla che si accalcava per baciare i
piedi di Alessandro e per ricevere la sua benedizione. Tutti, dice
Bosone, guardavano al volto del papa come all’immagine di Cristo di
cui è vicario in terra, e sembrava che niente avrebbe potuto turbare
l’accordo fra lui e il suo popolo.
Alessandro morì a Civita
Castellana l’ultimo giorno di agosto del 1181, e l’amore
dimostrato dai romani al suo rientro fu nulla in confronto all’odio
che gli tributarono quando tornò da morto. Al passaggio della bara
davano al papa l'estremo saluto maledicendolo, sputando sul catafalco
e tirandogli fango e pietre. Il corteo riuscì infine a raggiungere
il Laterano, e lì Alessandro venne sepolto, in una tomba di cui oggi
non rimane che il ricordo.
Vite efferate di papi, Quodlibet Compagnia Extra, 2015
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