15.6.19

Storie di papi. Alessandro III Bandinelli (Dino Baldi)

Siena, Palazzo Comunale, Storie di Papa Alessandro III (Spinello Aretino)

Racconto della controversa e ridicola elezione di papa Alessandro III e del suo rivale Vittore IV.
Quando Adriano IV, il primo settembre del 1159, morì ad Anagni, di nuovo nel collegio cardinalizio due fazioni si contendevano l’elezione del successore: quella imperiale con Ottaviano dei Crescenzi, cardinale di Santa Cecilia e di famiglia nobile romana, e l’altra che sosteneva Rolando Bandinelli, senese, diacono di San Cosma, uomo virtuoso, illustre teologo e cancelliere della Chiesa.
Il 5 settembre i cardinali si riunirono dietro il grande altare di San Pietro, e Rolando fu proclamato papa a maggioranza. Quando la cappa rossa stava per essere posata sulle sue spalle, Ottaviano, per evitare che con quell’atto il rivale venisse riconosciuto come pontefice legittimo, si buttò nel mezzo e nel nome dell’imperatore gli proibì di accettarla. I cardinali non lo ascoltarono, e mentre Rolando piegava di nuovo la testa per ricevere la cappa, Ottaviano cercò di strappargliela di mano, finché un senatore la prese non per darla all’uno o all’altro, ma per far cessare quello spettacolo indegno. Ottaviano aveva con sé una cappa di riserva: se la fece dare dal suo cappellano, si tolse il galero per far passare la testa dal buco e nell’agitazione la indossò al rovescio, col cappuccio davanti e la croce dietro. Era in un tale stato di confusione che non trovando il cappuccio sulle spalle cercava di aggiustarsi in qualche modo un lembo del mantello sul collo, e a quello spettacolo tutti ridevano come davanti a una commedia. Mentre alcuni cercavano ancora di togliere la veste dalle spalle di Ottaviano, lui si proclamò da solo papa Vittore IV, e intonando il Te Deum uscì in fretta dal retro dell’altare e si mostrò a un gruppo di chierici, che in un angolo della basilica aspettavano con ansia il risultato dell’elezione. Vedendolo col manto rosso, senza sapere nulla di quello che era accaduto, lo acclamarono papa, e in quello stesso momento le porte della chiesa si spalancarono ed entrò un gruppo di uomini armati a sostenere l’elezione del candidato imperiale.
Vittore finalmente ebbe il tempo di sistemarsi la veste e si sedette sul trono per ricevere i primi omaggi; quindi si trasferì in Laterano su un cavallo bianco. Una parte del popolo lo acclamava al suo passaggio, mentre altri lo riempivano di insulti e lo chiamavano ladro di mantelli. C’era anche un poeta, che lo seguiva lanciandogli contro dei versi improvvisati. Rolando nel frattempo si era messo al sicuro con i suoi sostenitori in una fortezza non lontano dalla basilica vaticana, e appena possibile si trasferì a Ninfa, sulle sponde della palude pontina, dove il cardinale Ubaldo da Ostia lo consacrò papa col nome di Alessandro III.

Di come Alessandro rimase infine unico papa, e del modo in cui accolse a Venezia Federico Barbarossa.
Due pontefici ancora una volta occupavano il soglio di Pietro, entrambi eletti con voto irregolare, ed entrambi, alla fine, costretti all’esilio dai romani. Non fu l’unico caso: dal tempo di Niccolò II, che nel 1059 aveva riservato l’elezione del papa ai soli cardinali, per ben sette volte nell’arco di un secolo si ebbero doppie nomine e altrettanti scismi. Un papa chiamava l’altro antipapa e lo scomunicava, e con lui venivano scomunicati i sostenitori dell’una e dell’altra fazione. Era un cerchio continuo di anatemi tra vescovi, arcivescovi, cardinali, e una grandine di concili contrapposti, coi legati che bussavano alle porte di tutte le città e le corti d’Europa per far accreditare l’uno o l’altro pontefice, e per raccogliere qualche soldo col quale sostenere le loro corti vaganti.
Dopo diciotto anni e tre antipapi lo scisma si ricompose: Alessandro III venne nuovamente consacrato in Santa Maria Maggiore e riconosciuto come unico papa legittimo anche da Federico Barbarossa, che fino ad allora aveva fatto tutto il possibile per spodestarlo. L’imperatore si era convinto che le disgrazie che gli stavano capitando, dalla malaria che decimava l’esercito, alla Lega lombarda, alla rotta di Legnano, fossero la punizione divina per essersi opposto ad Alessandro. Fu lo stesso Barbarossa a mandare ambasciatori ad Anagni per concludere un trattato, e la riconciliazione avvenne a Venezia, davanti alla basilica di San Marco, nel luglio del 1177.
Il papa celebrò la messa, quindi si sedette su un trono rialzato che dava sulla piazza, e circondato dai suoi vescovi attese l’arrivo dell’imperatore. Federico scese dalla gondola assieme al doge e ai cardinali che per ordine del pontefice gli avevano tolto la scomunica. Quando arrivò di fronte ad Alessandro, si levò il mantello e la corona e si inginocchiò per baciare la sacra pantofola. Il papa lo sollevò e lo baciò sulle guance, mentre i tedeschi lì presenti intonavano il Te Deum, e l’imperatore riceveva la sua benedizione. Il giorno dopo Federico ascoltò la messa con grande devozione, accompagnò il papa alla porta della chiesa, gli tenne la staffa mentre saliva sul cavallo, lo portò per un tratto e infine, dopo una nuova benedizione, fece ritorno nel palazzo del Doge. Esiste, è vero, un’altra versione della storia, nella quale, quando l’imperatore si inginocchia, Alessandro gli scosta la corona dal capo col piede e glielo poggia sul collo, dicendo: «Camminerò sopra l’aspide e sul basilisco, schiaccerò il dragone». «Non a te mi sottometto - risponde il Barbarossa - ma a Pietro». «A me e a Pietro», dice di nuovo il papa. Un affresco del Salviatino, nella Sala Regia del Vaticano, rappresenta la scena.

Del trionfale ritorno del papa a Roma, e della sua bara presa a sassate dai romani.
A marzo del 1178 il papa dopo tante persecuzioni e fughe rientrò a Roma una volta per tutte. Del resto i cittadini, insieme al senato e al clero, da tempo lo imploravano di tornare, e gli avevano offerto le migliori garanzie che da lì in poi avrebbero obbedito a lui e a nessun altro papa. Alessandro venne accolto fuori dalle mura dai magistrati, dall’esercito, dai nobili con il loro seguito e dai cittadini con vessilli e croci. Nessuno a memoria d’uomo ricordava un simile trattamento riservato a un pontefice: il palafreniere a fatica riusciva a farsi largo tra la folla che si accalcava per baciare i piedi di Alessandro e per ricevere la sua benedizione. Tutti, dice Bosone, guardavano al volto del papa come all’immagine di Cristo di cui è vicario in terra, e sembrava che niente avrebbe potuto turbare l’accordo fra lui e il suo popolo.
Alessandro morì a Civita Castellana l’ultimo giorno di agosto del 1181, e l’amore dimostrato dai romani al suo rientro fu nulla in confronto all’odio che gli tributarono quando tornò da morto. Al passaggio della bara davano al papa l'estremo saluto maledicendolo, sputando sul catafalco e tirandogli fango e pietre. Il corteo riuscì infine a raggiungere il Laterano, e lì Alessandro venne sepolto, in una tomba di cui oggi non rimane che il ricordo.

Vite efferate di papi, Quodlibet Compagnia Extra, 2015

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