Fino
all’età di ventotto anni
sono
vissuto a Delia
Facevo
il contadino
campavo
discretamente
Ma
poi non ne potei più
ché
le cose andavano peggio
sempre
peggio
Così
un giorno che mai potrò dimenticare
fu
prima delle feste natalizie
partii
per la Germania
Trovai
lavoro in una fonderia
lavoro
pesante faticoso
ma
avevo bisogno
piegai
la schiena e feci pazienza
Dopo
cinque mesi per fortuna
trovai
lavoro in una cartiera
che
me la passo bene
riguardo
al lavoro al guadagno al dormire
solo
la tristezza della lontananza
Dormo
in una casa della fabbrica
Siamo
in quattro persone in una stanza
ma
la cucina il gabinetto sono a parte
Non
usciamo quasi mai
ché
dobbiamo fare economia
e
pensare alla famiglia
Le
donne tedesche sono diverse dalle nostre
più
libere perché lavorano
ma
quella libertà non mi piace
Lavoro
ad una grande macchina
Le
prime volte avevo paura di guastarla
ché
una macchina come quella
che
sforna mille chili di carta ogni mezz’ora
non
l’avevo mai vista
Ora
una cosa sola vorrei
che
mi dessero la casa per la famiglia
e
abbandonerei la Sicilia per sempre
Tutto
abbandonerei
la
terra la casa la vigna
e
che ritornassero i lupi come una volta
in
questa terra che più non ci vuole
Postilla
È
questa la n.10 tra le “poesie dell'emigrazione” costruite da
Stefano Vilardo (Delia 1922) sui racconti dei suoi compaesani
emigrati. L'ho tratta da Tutti
dicono Germania Germania,
Garzanti 1975, ma nell'originale non c'è che il numero: il titolo l'ho dato io correndo il rischio che la titolazione sia anche un'interpretazione. (S.L.L.)
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