16.6.19

“E che ritornassero i lupi...”. Una poesia dell'emigrazione di Stefano Vilardo



Fino all’età di ventotto anni
sono vissuto a Delia
Facevo il contadino
campavo discretamente
Ma poi non ne potei più
ché le cose andavano peggio
sempre peggio
Così un giorno che mai potrò dimenticare
fu prima delle feste natalizie
partii per la Germania
Trovai lavoro in una fonderia
lavoro pesante faticoso
ma avevo bisogno
piegai la schiena e feci pazienza
Dopo cinque mesi per fortuna
trovai lavoro in una cartiera
che me la passo bene
riguardo al lavoro al guadagno al dormire
solo la tristezza della lontananza
Dormo in una casa della fabbrica
Siamo in quattro persone in una stanza
ma la cucina il gabinetto sono a parte
Non usciamo quasi mai
ché dobbiamo fare economia
e pensare alla famiglia
Le donne tedesche sono diverse dalle nostre
più libere perché lavorano
ma quella libertà non mi piace
Lavoro ad una grande macchina
Le prime volte avevo paura di guastarla
ché una macchina come quella
che sforna mille chili di carta ogni mezz’ora
non l’avevo mai vista
Ora una cosa sola vorrei
che mi dessero la casa per la famiglia
e abbandonerei la Sicilia per sempre
Tutto abbandonerei
la terra la casa la vigna
e che ritornassero i lupi come una volta
in questa terra che più non ci vuole

Postilla
È questa la n.10 tra le “poesie dell'emigrazione” costruite da Stefano Vilardo (Delia 1922) sui racconti dei suoi compaesani emigrati. L'ho tratta da Tutti dicono Germania Germania, Garzanti 1975, ma nell'originale non c'è che il numero: il titolo l'ho dato io correndo il rischio che la titolazione sia anche un'interpretazione. (S.L.L.)

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