La storia di una lunga
amicizia fra due coetanei, nati nel 1888, e di un sodalizio
letterario forse unico nel Novecento italiano è documentata in parte
(solo per un trentennio) dal Carteggio 1931-1962 di Giuseppe
Ungaretti e Giuseppe De Robertis, con un'appendice di redazioni
inedite di poesie, pubblicato dal Saggiatore con introduzione, testi
e note a cura di Domenico De Robertis, filologo e storico della
letteratura italiana (pagg. 205, lire 20.000). È, quello di De
Robertis, il lavoro accuratissimo e rigoroso di un editore e
interprete, insieme "impassibile" e "partecipe",
di un testo "riprodotto in tutte le sue particolarità",
dando conto ad ogni lettera "di cancellature, correzioni,
pentimenti e aggiunte" e con i necessari riferimenti biografici
e culturali.
Alla base di questa
amicizia e sodalizio letterario era la profonda convinzione di De
Robertis che Ungaretti fosse il nostro maggiore poeta del secolo
("con G.U. comincia e finisce, per me, la poesia nuova
italiana"), mentre Ungaretti considerava De Robertis "il
più grande critico vivente". Nel 50, a conclusione di uno
scritto sulla poesia italiana contemporanea, De Robertis asseriva:
"Ungaretti il primo. Chi sarà il secondo?". Nonostante la
sua predilezione per Ungaretti, De Robertis credette nella poesia di
Montale, anche se non fece a tempo a vederne il grande, tardivo
decollo quando se ne impadronì l'industria culturale imponendola a
un pubblico più largo. Ungaretti ebbe coscienza della propria novità
e di aver fondato, come realmente fu, col Porto sepolto del
16, la poesia italiana del Novecento. Nel 49, in una lettera a De
Robertis, scriveva: "Tutta la poesia moderna italiana è nata
dall'Allegria e dal Sentimento, ma toccherà ai critici
dimostrarlo". Era convinto che dalla sua "idea d'aridità,
d'essenzialità, di purezza" fossero derivati anche gli Ossi
di seppia, riconoscendo a Montale, pure fra tanti sfoghi
polemici, "momenti impressionistici di vera bellezza".
Quando fu assegnato a Quasimodo il Nobel per la poesia, Ungaretti
commentò con insolita obiettività: "Sarebbe stato giusto che
l'avessero dato a Montale o a me". Il Carteggio comprende
un trentennio, fra il 31 e il 62, anno della morte di De Robertis; ma
i rapporti fra i due risalivano al 16 e il curatore del libro riporta
i vari "richiami" di Ungaretti al critico, i "saluti e
i pensieri per lui" nella corrispondenza con Papini. Nella prima
lettera di Ungaretti è la notizia dell'invio dell'Allegria,
edizione Preda, e il Carteggio si chiude con un suo telegramma
per la pubblicazione di Altro Novecento del De Robertis, il
"migliore libro dell'anno".
I temi della
corrispondenza sono quasi sempre letterari, con poche divagazioni su
altri argomenti soprattutto da parte di De Robertis: il lungo lavoro
comune per l'edizione Mondadori, il terzo di Vita d'un uomo,
delle Poesie disperse "con l' apparato critico delle
varianti di tutte le poesie", il commento puntuale all'opera
poetica di Ungaretti dal ' 45 in poi e l'interesse vivo di Ungaretti
per gli studi di De Robertis, da Leopardi a Manzoni. Per il resto i
lutti familiari, la dolorosa vicenda nel dopoguerra delle cattedre
universitarie per "alta fama", l'attenzione dei due alla
vita letteraria di un trentennio. Di politica non si parla, a
eccezione di qualche ingenuo accenno di Ungaretti che aveva
conosciuto Mussolini durante la guerra del 15 e aveva creduto più
tardi di essere fascista. Ma si tratta di parole dettate solo da
autentico candore e forse anche derivate da un passato di figlio di
emigrati poveri: all'inizio del Carteggio De Robertis viveva
molto modestamente e Ungaretti in vera e propria indigenza, sperando
in un premio letterario o in qualche incarico. De Robertis era un
attento studioso di classici e un lettore sensibilissimo di
contemporanei. L'opinione che si applicasse a Guittone e a Petrarca
come si trattasse di autori vicini nel tempo deve essere rovesciata
nell'idea opposta che soltanto nella disposizione a considerare un
moderno come un antico, il critico era capace di ottenere anche nei
confronti dei contemporanei risultati felici.
Fedelissimo alla
letteratura, De Robertis soffriva nel dopoguerra per la tendenza
diffusa a giudicare gli uomini secondo le loro etichette politiche.
Al tempo del referendum istituzionale e poi nel 48, fra gli allievi
che discutevano accanitamente di politica, finiva per spazientirsi:
"Parliamo di studi, che è meglio". Le sue lezioni erano
sempre animatissime e il rapporto coi giovani ammirevole per
spontaneità e vivezza. A chi incontrava Ungaretti per la prima volta
era possibile scandalizzarsi per le sue tirate violentissime, ma
anche meravigliarsi per un brusco mutamento di giudizio nei confronti
di un personaggio poco prima bistrattato. Il poeta faceva presto ad
alterarsi, ma nel colmo dell'uragano arrivava improvvisamente la
bonaccia. Così, in casa di un uomo politico, uscì in una diatriba
contro il partito del suo ospite interrompendosi a un tratto per
mettersi a ridere. Ungaretti parlava moltissimo e si infervorava su
qualsiasi argomento: la letteratura, l'arte, la politica, i viaggi,
la bellezza delle donne. Ignorava la cautela e quello che pensava
doveva spararlo fuori subito, tanto che al tempo del fascismo finì
in prigione, anche se figurava protetto da Mussolini, per aver
gridato "come un matto" a favore di Saba colpito dalle
leggi razziali e contro la campagna antifrancese. Tendeva a colorire
e a dilatare i temi dei suoi racconti ingrandendo gli elementi reali
con immaginazione infatuata e sapida. Ma se era pronto ad
abbandonarsi ad una fantasia rabelaisiana, sapeva trovare nelle
rievocazioni di città e paesaggi accenti di estrema delicatezza,
come quando parlava della notte in arrivo sul lago di Tiberiade con
l'ombra che cresceva dal fondo dell'acqua e le dava il sonno. In
questi casi la sua voce si faceva timida e lui stesso sembrava
rimpiccolirsi in umiltà interrompendosi con un "Eeeeh?"
rivolto a chi lo ascoltava come se avesse avuto bisogno per
proseguire di un cenno di consenso. Era irrequieto e infaticabile e
non sarebbe mai andato a letto, la sera, se in buona compagnia. Era
un nomade e proprio nei viaggi si sentiva più a suo agio, molto
gridando, al solito, in pullman, in treno, in aeroplano. Non aveva
niente del vecchio che non segue più il mondo in mutamento e si
rifugia nel passato: Ungaretti era tutto preso dal presente e teso al
futuro. Lieto di stare fra i giovani, vestito di un maglione azzurro
che riprendeva il colore dei suoi occhi di stregone, fra barbe
studentesche e chitarre passava ore senza noia. Non rifiutava nulla
della vita mescolando l'entusiasmo per le più spericolate invenzioni
della pittura e della poesia contemporanea all'amore per i vecchi
libri e per le tavole antiche. Non gli bastava la nostra "aiuola":
voleva la terra e la luna.
Il Carteggio è un
giusto omaggio, in un paese che dimentica rapidamente i suoi uomini
migliori, a un critico ancora ricco di preziose indicazioni e a un
poeta che ha continuato a stupire fino all' ultimo coi suoi sprazzi
luminosi.
la Repubblica, 26 ottobre 1984
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