Nel 1975, a 75 anni,
Achille Campanile, il surreale umorista di Centocinquanta, la gallina
canta o di Agosto, moglie mia non ti conosco, si ritirò in campagna,
presso Velletri, e si fece crescere una lunga barba, candida e
ieratica. A chi gliene chiedeva ragione, lui spiegava: «Mi è venuta
guardando la televisione». Infatti, era stato per 17 anni critico
televisivo, a modo suo. Lo aveva inventato in questa veste Giorgio
Fattori, direttore dell’"Europeo", uno cui piaceva sparigliare.
Naturalmente Campanile era Campanile, un tipo che da giornalista, di
fronte alla notizia di una vedova morta sulla tomba del marito che
andava a visitare tutti i giorni, propose questo titolo: «Tanto va
la gatta al lardo». Che cosa ci si poteva aspettare dalle sue
critiche? Erano una sulfurea sequenza di siparietti. Quando nel 1961
la Rai inaugura il secondo canale, lui scrive: «Da anni il pubblico
protestava per i programmi ed ecco che la tv apre un secondo canale.
Di cui grandi sono i vantaggi. Primo fra tutti, per la tv, la
possibilità di sottrarre il primo all’attenzione e, perciò, alle
critiche del pubblico. Finché guardano il secondo, non possono
vedere il primo».
Il critico Campanile
rivive dall’oblio, insieme a un folto gruppo di colleghi, nelle
pagine di un libro originale e divertente: La coscienza di Mike, di
Nanni Delbecchi, che è stato a sua volta critico televisivo nel
Giornale di Montanelli (Mursia, 2009).
Il riferimento del titolo all’autore e conduttore di Lascia o
raddoppia? è solo un omaggio alla celeberrima Fenomenologia di Mike
Buongiorno di Umberto Eco, considerata un po’ il manifesto di una
critica televisiva in cui intellettuali e giornalisti, scrittori e
umoristi, da Ugo Buzzolan a Giovanni Guareschi, da Luciano Bianciardi
a Sergio Saviane, da Gian Carlo Fusco a Oreste Del Buono, da Alberto
Bevilacqua a Beniamino Placido, fanno i conti con il successo della
tv, l’elettrodomestico più amato dagli italiani. Tutto questo in
una fase ancora ingenua e verginale: sotto i riflettori di quella
critica, colta, sofisticata, irriverente, irridente, ma spesso anche
complice e partecipe, era la prima tv italiana, quella lastricata di
buone intenzioni di Filiberto Guala e di Ettore Bernabei, quella
pedagogica del maestro Manzi e della donna che lavora.
Il padre fondatore, per
corale riconoscimento, viene considerato Ugo Buzzolan, che ha tenuto
sulla "Stampa", a partire dal 1955, per oltre trent’anni, la storica
rubrica: «Cronaca televisiva», siglata u. buzz. Ogni sera, dopo il
Tg delle 21, si chiudeva in un box vicino alla tipografia - così si
risparmiava tempo per la consegna del pezzo ai linotipisti - e
seguiva le trasmissioni, facendone una specie di diario quotidiano,
«muovendosi in controtendenza con lo spirito dei tempi», scrive
Delbecchi. Perché faceva prevalere le esigenze del pubblico popolare
rispetto ai gusti e alle riserve degli intellettuali.
In parallelo con la
«linea Buzzolan» correva la «linea Bianciardi», che era però di
segno opposto. Luciano Bianciardi, l’anarcoide scrittore della Vita
agra, titolare della critica televisiva sull’"Avanti!", sull’"Unità",
su "Abc", si dedicava soprattutto agli autori irregolari e agli
spiritacci geniali, da Dario Fo di Canzonissima 1962 a Paolo
Villaggio in Quelli della domenica, per capire come si fa tv. I
soliti noti gli fanno venire il latte alle ginocchia. Pippo Baudo
(come Mike) «non è neanche antipatico, ma è senz’altro un
compendio di mediocrità», e d’altra parte «forse proprio in
questo sta la sua fortuna».
Anche Sergio Saviane,
critico dell’"Espresso" dal 1965, è un «umorista assoluto», che
inventa la definizione di mezzibusti per i giornalisti tv: «Nel solo
settore dell’informazione televisiva troviamo oltre 150 giornalisti
la cui parola d’ordine è l’esposizione a mezzobusto». Sono
anche i «ruminanti della notizia». O una fila di impiegati «seduti
ai bidet, che si danno la battuta». E via le scudisciate: «Bastava
guardarli al telegiornale i De Luca, i Pasquarelli, i Vespa e a
chiunque veniva spontaneo associarli ai mezzibusti del Pincio, lo
stesso occhio, immobile per la paura di dire una parola di troppo».
Tutt’altro umore con
Del Buono, romanziere, critico, giornalista, editor, che nel 1988
prende la rubrica «Diario Tv» sul "Corriere della Sera". Come
Buzzolan, non snobba i gusti popolari: il successo di Dallas,
Beautiful, Uccelli di rovo o Quando si ama lo incuriosisce, specie se
vi coglie paradossi di verità: «I tratti più caratteristici di
questi eroi, seguiti da innumerevoli fan sono costituiti dalle
pettinature, i parrucchini, le lacche. Li riconosciamo da quelli. È facile accusare tutta questa roba di mancanza di lealtà. Ma
riflettete, vi prego, sulla consistenza della realtà al di qua del
piccolo schermo».
Si poteva vedere meglio
dentro il blob televisivo?
la Stampa,12 dicembre
2009
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