Il magistrato Giuseppe Pignatone |
Una borsa, sempre aperta
sulla scrivania. Così che senza neanche chiedere, gli imprenditori
lasciassero le buste con il denaro. Siamo nell'ufficio di una
dirigente d' azienda e quest'immagine rende, in modo plastico, la
«deprimente quotidianità della corruzione», emersa in molte
indagini sparse per l'Italia. Una corruzione che si sviluppa sempre
più attraverso «reti estese e articolate, particolarmente
pericolose nella fase attuale di debolezza della politica».
È un'analisi puntuale e
allo stesso tempo una denuncia rivolta alla collettività, quella
mossa da Giuseppe Pignatonee Michele Prestipino - procuratore della
Repubblica di Roma il primo, procuratore aggiunto il secondo, per
anni insieme a Palermo, Reggio Calabria e ora nella capitale -
nell'analisi del “mondo degli affari”, uno dei capitoli del
saggio Modelli criminali. Mafie di ieri e oggi (Laterza,
2019), in libreria da giovedì 21 febbraio.
Se a colpire in genere
sono soprattutto gli scandali, legati a grandi opere pubbliche –
come il Mose, Grandi Eventi, Expo - o a personaggi noti, la
corruzione prevalente è invece quella «pulviscolare»: una «miriade
di fatti basati sullo scambio di somme anche modeste con condotte o
omissioni del pubblico ufficiale, che costituiscono a loro volta
quasi una routine». Uno schema, in cui sempre più spesso si
ritrovano anche dei magistrati; dove la dazione di denaro non di rado
viene sostituita da altre utilità (compresi dei carciofi, com'è
emerso in un'inchiesta a Reggio Calabria o dalle minacce di
distruzione della carriera) - rendendo ancor più difficile la
scoperta del reato, oltre alla circostanza che su un piano
strettamente giuridico, una delle principali criticità è
rappresentata dall'inquadramento della figura del faccendiere,
ricorrente intermediario tra il decisore pubblico e il corruttore.
«La corruzione resta il
principale problema di Roma», ha ripetuto anche durante la cerimonia
di inaugurazione dell'ultimo anno giudiziario il procuratore
Pignatone. E la corruzione da tempo e sempre di più viene utilizzata
anche dalle mafie come strumento di infiltrazione, ricordano i due
magistrati, che dopo aver dato la caccia ai latitanti di Cosa Nostra,
alle trame della ‘ndrangheta e agli affari del Mondo di Mezzo
romano, in queste pagine descrivono i diversi volti della mafia,
vecchia e nuova, grande e piccola, secondo la definizione della
Cassazione. Nella consapevolezza, però, più volte ripetuta anche in
queste pagine, che «l'idea di legare indissolubilmente mafia e
corruzione organizzata è falsa in punto di fatto ed è estremamente
pericolosa».
Anche se spesso
collegati, infatti, restano fenomeni diversi, da contrastare con
diversi strumenti. Tuttavia, proprio a proposito del Mondo di
Mezzo, il processo a Massimo Carminati, Salvatore Buzzi ed altri,
condannati in appello anche per associazione mafiosa a Roma, la
Cassazione ha riconosciuto come «una sistematica attività
corruttiva può determinare l’acquisizione della forza
intimidatrice che caratterizza le organizzazioni mafiose, purché vi
sia una riserva di violenza». L'analisi del modello criminale di
Roma dimostra però come, anche su questo fronte, nella capitale
tutto sia più complesso. Ci si trova ad esempio di fronte al
«proliferare di strutture criminali, costole di gruppi a matrice
camorristica, di ‘ndrine e famiglie mafiose che si sono radicate
sul territorio romano e vi esercitano il metodo mafioso, partendo dal
controllo non solo di piccole porzioni di territorio, ma in
alternativa di settori di affari, ovvero di pezzi di mercato». Ed è
questa la vera novità nell'evoluzione del modello criminale
tradizionale, al confronto ad esempio delle spartizioni,
territorialmente ben definite, tra mandamenti e famiglie di Cosa
Nostra o tra cosche di ‘ndrangheta.
Un nuovo modello, che
poggia anche sulla convenienza e sullo scambio tra mafie tradizionali
e gruppi criminali locali, come avvenuto all'ombra del Cupolone. Ma
come insegna innanzitutto la storia della lotta ai boss siciliani, le
mafie non sono niente affatto invincibili. E dopo decenni di costante
lotta dello Stato la stessa percezione sta cambiando. Le mafie «sono
un fenomeno umano, che ha un inizio e avrà una fine», ripeteva
infatti Giovanni Falcone. Ma per contrastarle, è fondamentale
conoscerle a fondo, usare gli strumenti giusti - per togliere ad
esempio il consenso ai boss, insieme alle ricchezze - e tenere alta
la guardia. In ogni parte del Paese. E questo libro, “Modelli
Criminali”, figlio dalla lunga esperienza in trincea di due
magistrati protagonisti della recente storia giudiziaria, aiuta a
farlo.
“Il Sole 24 ore”, 20
febbraio 2019
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