«La vita è più facile
in prigione». La signora T, 80enne giapponese, è in carcere per
scontare una condanna a due anni e mezzo per aver rubato delle uova
di merluzzo e una padella. Fino a qualche anno fa non aveva mai avuto
alcun problema con la legge. «Quando sono uscita per la prima volta
da qui non volevo andare a casa. Non sentivo di avere un altro posto
dove andare». La donna non è una senzatetto, ma arrivare a fine
mese è sempre stato un problema, tanto da averla portata a fare una
scelta radicale: «Chiedere aiuto in carcere era l’unico modo» ha
raccontato al settimanale di Bloomberg. Lì, in un carcere del Sol
Levante, la signora T si è sentita a casa. O almeno non si è
sentita sola: tra le detenute nipponiche 1 donna su 5 ha più di 65
anni e ha commesso crimini minori: oltre il 90% sono state giudicate
colpevoli di taccheggio.
LE DIFFICOLTÀ
Più che un crimine, i
piccoli furti sono un modo per gli anziani giapponesi di sopravvivere
alle difficoltà finanziarie. Sempre più spesso cercano di farsi
arrestare per “vivere” nei penitenziari, dove non si sentono
abbandonati. Tradizionalmente a prendersi cura dei nonni giapponesi
erano le famiglie, ma tra il 1980 e il 2015 il numero degli over 65
che vivono da soli è aumentato di oltre sei volte, fino a toccare i
6 milioni. E proprio tra questi, secondo un sondaggio del governo di
Tokyo del 2017, si trovano la metà degli anziani arrestati per
taccheggio. Il 40% di loro non ha famiglia o parla raramente con i
parenti e spesso dicono di non avere nessuno a cui rivolgersi se
dovessero avere bisogno di aiuto. Inoltre, secondo una ricerca
compiuta dalla Keisatsu di Tokyo, la polizia metropolitana della
Capitale, nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno il 24% degli
anziani fermati con l’accusa di taccheggio ha citato la solitudine
come motivo che li ha spinti a rubare. Una tendenza che ha portato la
popolazione carceraria più anziana a raggiungere la soglia di circa
36mila unità, un numero tre volte superiore a quello del 1998,
spropositato per un Paese con uno dei tassi di criminalità più
bassi al mondo. Un quarto dei cittadini del Giappone ha più di 65
anni, il che fa del Sol Levante il Paese più vecchio del mondo -
seguito dall’Italia. Un invecchiamento che dopo aver messo a dura
prova il sistema finanziario e dell’industria, ora sta pesando su
quello carcerario. Già dal 2013 un’intera ala della prigione di
Onomichi, a pochi chilometri dalla città di Hiroshima, è stata
trasformata in un “reparto geriatrico”: un progetto pilota che il
governo di Tokyo ha voluto estendere in altre tre prigioni del Paese,
investendo l’equivalente di 100 milioni di dollari. Così sono
stati montati diversi chilometri di corrimano nei corridoi per
aiutare i prigionieri a raggiungere le docce; è stato predisposto un
mobile dove i pannoloni per adulti sono impilati ordinatamente, in
pieno stile razionalista nipponico. Le guardie sono preparate a
fornire assistenza “non tradizionale” ai detenuti, come la
gestione dell’incontinenza: lo racconta al sito statunitense Satomi
Kezuka, ufficiale veterano della prigione femminile di Tochigi, a
nord di Tokyo: «Si vergognano e nascondono l’intimo» dice dei
detenuti. «Io gli dico di portarmelo per farlo lavare».
I PENITENZIARI
Ovunque nelle prigioni ci
sono segni che la situazione non è quella ordinaria: ad esempio teli
di plastica grigia proteggono il pavimento di tatami in modo che non
si bagni. Il numero crescente di prigionieri anziani ha spinto il
ministero della Giustizia a rimodulare anche la vita dei
penitenziari. I criminali over 65 lavorano 6 ore al giorno invece
delle 8 richieste agli altri prigionieri, e svolgono compiti più
leggeri come smistare i giornali o piegare il bucato. Accortezze che
però non aiutano il governo a risolvere il problema o a regalargli
nuove prospettive. «Con poche scelte, alcuni regrediscono
ulteriormente» ha dichiarato Taisei Sakuhara, ricercatore senior
presso l’Istituto di ricerca e formazione del ministero della
Giustizia. «Tentano di commettere reati più gravi, come l’incendio
doloso, per cercare di ottenere una condanna più lunga e
sopravvivere». Una scelta drastica, ma pur sempre una scelta di
vita.
“Il Messaggero”,
Mercoledì 21 Marzo 2018
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