6.6.19

Giappone, i furti anti-solitudine degli anziani giapponesi: «In carcere è meno dura» (Francesco Malfetano)



«La vita è più facile in prigione». La signora T, 80enne giapponese, è in carcere per scontare una condanna a due anni e mezzo per aver rubato delle uova di merluzzo e una padella. Fino a qualche anno fa non aveva mai avuto alcun problema con la legge. «Quando sono uscita per la prima volta da qui non volevo andare a casa. Non sentivo di avere un altro posto dove andare». La donna non è una senzatetto, ma arrivare a fine mese è sempre stato un problema, tanto da averla portata a fare una scelta radicale: «Chiedere aiuto in carcere era l’unico modo» ha raccontato al settimanale di Bloomberg. Lì, in un carcere del Sol Levante, la signora T si è sentita a casa. O almeno non si è sentita sola: tra le detenute nipponiche 1 donna su 5 ha più di 65 anni e ha commesso crimini minori: oltre il 90% sono state giudicate colpevoli di taccheggio.

LE DIFFICOLTÀ
Più che un crimine, i piccoli furti sono un modo per gli anziani giapponesi di sopravvivere alle difficoltà finanziarie. Sempre più spesso cercano di farsi arrestare per “vivere” nei penitenziari, dove non si sentono abbandonati. Tradizionalmente a prendersi cura dei nonni giapponesi erano le famiglie, ma tra il 1980 e il 2015 il numero degli over 65 che vivono da soli è aumentato di oltre sei volte, fino a toccare i 6 milioni. E proprio tra questi, secondo un sondaggio del governo di Tokyo del 2017, si trovano la metà degli anziani arrestati per taccheggio. Il 40% di loro non ha famiglia o parla raramente con i parenti e spesso dicono di non avere nessuno a cui rivolgersi se dovessero avere bisogno di aiuto. Inoltre, secondo una ricerca compiuta dalla Keisatsu di Tokyo, la polizia metropolitana della Capitale, nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno il 24% degli anziani fermati con l’accusa di taccheggio ha citato la solitudine come motivo che li ha spinti a rubare. Una tendenza che ha portato la popolazione carceraria più anziana a raggiungere la soglia di circa 36mila unità, un numero tre volte superiore a quello del 1998, spropositato per un Paese con uno dei tassi di criminalità più bassi al mondo. Un quarto dei cittadini del Giappone ha più di 65 anni, il che fa del Sol Levante il Paese più vecchio del mondo - seguito dall’Italia. Un invecchiamento che dopo aver messo a dura prova il sistema finanziario e dell’industria, ora sta pesando su quello carcerario. Già dal 2013 un’intera ala della prigione di Onomichi, a pochi chilometri dalla città di Hiroshima, è stata trasformata in un “reparto geriatrico”: un progetto pilota che il governo di Tokyo ha voluto estendere in altre tre prigioni del Paese, investendo l’equivalente di 100 milioni di dollari. Così sono stati montati diversi chilometri di corrimano nei corridoi per aiutare i prigionieri a raggiungere le docce; è stato predisposto un mobile dove i pannoloni per adulti sono impilati ordinatamente, in pieno stile razionalista nipponico. Le guardie sono preparate a fornire assistenza “non tradizionale” ai detenuti, come la gestione dell’incontinenza: lo racconta al sito statunitense Satomi Kezuka, ufficiale veterano della prigione femminile di Tochigi, a nord di Tokyo: «Si vergognano e nascondono l’intimo» dice dei detenuti. «Io gli dico di portarmelo per farlo lavare».

I PENITENZIARI
Ovunque nelle prigioni ci sono segni che la situazione non è quella ordinaria: ad esempio teli di plastica grigia proteggono il pavimento di tatami in modo che non si bagni. Il numero crescente di prigionieri anziani ha spinto il ministero della Giustizia a rimodulare anche la vita dei penitenziari. I criminali over 65 lavorano 6 ore al giorno invece delle 8 richieste agli altri prigionieri, e svolgono compiti più leggeri come smistare i giornali o piegare il bucato. Accortezze che però non aiutano il governo a risolvere il problema o a regalargli nuove prospettive. «Con poche scelte, alcuni regrediscono ulteriormente» ha dichiarato Taisei Sakuhara, ricercatore senior presso l’Istituto di ricerca e formazione del ministero della Giustizia. «Tentano di commettere reati più gravi, come l’incendio doloso, per cercare di ottenere una condanna più lunga e sopravvivere». Una scelta drastica, ma pur sempre una scelta di vita.

“Il Messaggero”, Mercoledì 21 Marzo 2018

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