30.6.19

Necrologi. La voce di Corrado (Enrico Menduni)


Se ne va una voce della nostra radio e un volto della nostra tv. Un pezzo della memoria storica nazionale. Colui che dichiarò alla radio la fine della seconda guerra mondiale e la fine della monarchia; ma anche la voce bonaria e ironica che spingeva nell’arena i «dilettanti allo sbaraglio» della «Corrida» radiofonica. Il presentatore de «L’amico del giaguaro», di «Canzonissima», di «Fantastico», di«Domenica In», accanto a volti che si chiamano Marisa Del Frate, Raffaele Pisu, Raffaella Carrà. Il conduttore più centro-meridionale della tv commerciale, a cui aveva offerto la sua legittimità nazional-popolare. Corrado era tutto questo, non solo il sapiente e navigato conduttore di «Il pranzo è servito», game show meridiano delle reti Fininvest in pieni anni ‘80.
Era un signore che era entrato in Rai quando ancora si chiamava Radio Audizioni Italia e la nuova targa, in Via delle Botteghe Oscure e in Via Asiago a Roma, aveva appena sostituito quella dell’Eiar. Era il 1944 e Corrado Mantoni era un annunciatore: uno di quei dicitori dalla voce chiara e senza accento che ancora oggi dicono «La Rai vi ha trasmesso...» in fondo ai giornali radio, ma che una volta erano l’asse portante delle trasmissioni. Il fascismo aveva richiesto voci più roboanti ed enfatiche, tra Mario Appelius e Niccolò Carosio, quelle delicate non gli interessavano (ricordate il film Una giornata particolare di Scola?). In questo senso Corrado era una voce del dopoguerra: nitida ma sorniona, non del tutto priva di un sottofondo linguistico centro-meridionale di quella stessa pasta che avrebbe fatto, Tullio De Mauro insegna, la prima vera lingua nazionale, quella della commedia all’italiana e della tv. Una voce intrisa di una filosofia di vita realistica, capace di ironia anche sferzante.
Corrado era fiero di questo strumento di lavoro, la voce, e mentre tutti i suoi colleghi correvano verso i guadagni e la popolarità della tv cercò di praticarla con moderazione e senza abbandonare del tutto la radio.
Si riteneva forse più adatto ai microfoni che al palcoscenico, sul quale si muoveva con eleganza, ma sempre con grande compostezza, in un epoca in cui tutti ritenevano necessario ballare, saltare, fare capriole. Il suo santuario radiofonico era «La Corrida», in cui gettava in pasto alle belve gli ingenui esponenti di un’Italia provinciale che amava esibirsi in canzoni, romanze, imitazioni e poesie, ignara che i suoi discendenti avrebbero amato mettere in mostra, davanti alle telecamere, litigi condominiali e familiari, ritrovamenti di congiunti scomparsi, corna, provvisorie riappacificazioni. Dopo un pugno di secondi di esibizioni incerte ed esilaranti il candidato veniva interrotto da fischi e rumori, e spesso una sirena metteva definitivamente fine al tentativo. Allora Corrado, conduttore bonario ma non troppo, lo accompagnava metaforica-mente all’uscita.
C’è un episodio fine anni Settanta che lasciò un forte segno su Corrado, un grave incidente automobilistico con la sua Lancia Gamma in cui era rimasto ferito lui stesso, ma che - soprattutto - aveva quasi sfigurato Dora Moroni, che faceva coppia con lui (nella transizione tra valletta e conduttrice) a Domenica In e lo accompagnava nell’automobile. Una vicenda dolorosa e piena di strascichi penosi.
Qualche tempo dopo maturò l’abbandono della Rai per Fininvest, una rete che stava diventando nazionale e, dopo l’acquisizione del piemontese-americano Mike Buongiorno, richiedeva volti e inflessioni che guardavano più a Sud, e insieme una legittimazione e omologazione all’emittente pubblica. Corrado interpretò questo ruolo con sobrietà e misura. Già si era prodotto in spot pubblicitari per casalinghe e adesso ne Il pranzo è servito metteva la sua bonomia al servizio dell’intrattenimento leggero, quello che si consuma preparando i pasti o mangiando attorno al tavolo di cucina. La sua «Corrida» televisiva, riproposta nel 1986 con grande successo di pubblico e replicata ogni anno finché è stato possibile, rappresenta uno dei pochi esempi in cui la trasposizione sul piccolo schermo di un programma radiofonico non ha deluso: l’osservazione, fondata, è di Aldo Grasso. Possiamo dire che è stato così perché, in fondo, la Corrida radiofonica postulava un’arena di crudeli spettatori radiofonici di cui sentivamo i lazzi e i rumori ma intuivamo anche i gesti, la colorita espressività da stadio. La tv ce li mostrava, finalmente, nel loro infierire (per nulla politically correct) sui malcapitati, che peraltro se l’erano ampiamente voluta con il loro esibizionismo.
Forse Corrado avrebbe meritato di più. La sua compostezza, la sua eleganza sobria avrebbe potuto essere messa a disposizione anche di altre cause. Non necessariamente più nobili, ma che avrebbero conferito ulteriori sfaccettature ad una personalità già così professionalmente e umanamente ricca. È un peccato che non sia stato così.

“l'Unità”, 9 giugno 1999

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