Se ne va una voce della
nostra radio e un volto della nostra tv. Un pezzo della memoria
storica nazionale. Colui che dichiarò alla radio la fine della
seconda guerra mondiale e la fine della monarchia; ma anche la voce
bonaria e ironica che spingeva nell’arena i «dilettanti allo
sbaraglio» della «Corrida» radiofonica. Il presentatore de
«L’amico del giaguaro», di «Canzonissima», di «Fantastico»,
di«Domenica In», accanto a volti che si chiamano Marisa Del Frate,
Raffaele Pisu, Raffaella Carrà. Il conduttore più
centro-meridionale della tv commerciale, a cui aveva offerto la sua
legittimità nazional-popolare. Corrado era tutto questo, non solo il
sapiente e navigato conduttore di «Il pranzo è servito», game show
meridiano delle reti Fininvest in pieni anni ‘80.
Era un signore che era
entrato in Rai quando ancora si chiamava Radio Audizioni Italia e la
nuova targa, in Via delle Botteghe Oscure e in Via Asiago a Roma,
aveva appena sostituito quella dell’Eiar. Era il 1944 e Corrado
Mantoni era un annunciatore: uno di quei dicitori dalla voce chiara e
senza accento che ancora oggi dicono «La Rai vi ha trasmesso...» in
fondo ai giornali radio, ma che una volta erano l’asse portante
delle trasmissioni. Il fascismo aveva richiesto voci più roboanti ed
enfatiche, tra Mario Appelius e Niccolò Carosio, quelle delicate non
gli interessavano (ricordate il film Una giornata particolare
di Scola?). In questo senso Corrado era una voce del dopoguerra:
nitida ma sorniona, non del tutto priva di un sottofondo linguistico
centro-meridionale di quella stessa pasta che avrebbe fatto, Tullio
De Mauro insegna, la prima vera lingua nazionale, quella della
commedia all’italiana e della tv. Una voce intrisa di una filosofia
di vita realistica, capace di ironia anche sferzante.
Corrado era fiero di
questo strumento di lavoro, la voce, e mentre tutti i suoi colleghi
correvano verso i guadagni e la popolarità della tv cercò di
praticarla con moderazione e senza abbandonare del tutto la radio.
Si riteneva forse più
adatto ai microfoni che al palcoscenico, sul quale si muoveva con
eleganza, ma sempre con grande compostezza, in un epoca in cui tutti
ritenevano necessario ballare, saltare, fare capriole. Il suo
santuario radiofonico era «La Corrida», in cui gettava in pasto
alle belve gli ingenui esponenti di un’Italia provinciale che amava
esibirsi in canzoni, romanze, imitazioni e poesie, ignara che i suoi
discendenti avrebbero amato mettere in mostra, davanti alle
telecamere, litigi condominiali e familiari, ritrovamenti di
congiunti scomparsi, corna, provvisorie riappacificazioni. Dopo un
pugno di secondi di esibizioni incerte ed esilaranti il candidato
veniva interrotto da fischi e rumori, e spesso una sirena metteva
definitivamente fine al tentativo. Allora Corrado, conduttore bonario
ma non troppo, lo accompagnava metaforica-mente all’uscita.
C’è un episodio fine
anni Settanta che lasciò un forte segno su Corrado, un grave
incidente automobilistico con la sua Lancia Gamma in cui era rimasto
ferito lui stesso, ma che - soprattutto - aveva quasi sfigurato Dora
Moroni, che faceva coppia con lui (nella transizione tra valletta e
conduttrice) a Domenica In e lo accompagnava nell’automobile.
Una vicenda dolorosa e piena di strascichi penosi.
Qualche tempo dopo maturò
l’abbandono della Rai per Fininvest, una rete che stava diventando
nazionale e, dopo l’acquisizione del piemontese-americano Mike
Buongiorno, richiedeva volti e inflessioni che guardavano più a Sud,
e insieme una legittimazione e omologazione all’emittente pubblica.
Corrado interpretò questo ruolo con sobrietà e misura. Già si era
prodotto in spot pubblicitari per casalinghe e adesso ne Il pranzo
è servito metteva la sua bonomia al servizio
dell’intrattenimento leggero, quello che si consuma preparando i
pasti o mangiando attorno al tavolo di cucina. La sua «Corrida»
televisiva, riproposta nel 1986 con grande successo di pubblico e
replicata ogni anno finché è stato possibile, rappresenta uno dei
pochi esempi in cui la trasposizione sul piccolo schermo di un
programma radiofonico non ha deluso: l’osservazione, fondata, è di
Aldo Grasso. Possiamo dire che è stato così perché, in fondo, la
Corrida radiofonica postulava un’arena di crudeli spettatori
radiofonici di cui sentivamo i lazzi e i rumori ma intuivamo anche i
gesti, la colorita espressività da stadio. La tv ce li mostrava,
finalmente, nel loro infierire (per nulla politically correct)
sui malcapitati, che peraltro se l’erano ampiamente voluta con il
loro esibizionismo.
Forse Corrado avrebbe
meritato di più. La sua compostezza, la sua eleganza sobria avrebbe
potuto essere messa a disposizione anche di altre cause. Non
necessariamente più nobili, ma che avrebbero conferito ulteriori
sfaccettature ad una personalità già così professionalmente e
umanamente ricca. È un peccato che non sia stato così.
“l'Unità”, 9 giugno
1999
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