Il giallo è sempre stato
il mio viatico ferroviario. Un po' meno, per la verità, in questi
ultimi anni: non dismessa l'abitudine di acquistarne uno o due prima
di salire sul treno, ma abbandonata la lettura dopo le prime dieci o
al massimo venti pagine: ché sarà una decadenza di questo genere di
racconto, il suo estenuarsi e ripetersi, ma il fatto è che
raramente, molto raramente ormai, riesco a trovarne uno che più o
meno straccamente mi invogli a leggerlo sino allo scioglimento, alla
soluzione.
Ma trenta e più anni fa,
le combinazioni dei misteri criminali che sono essenza del giallo non
sembravano destinati ad esaurirsi (e bisogna aggiungere che se, per
così dire, il genere commerciale e di consumo va ad esaurirsi, il
genere propriamente letterario, quella materia, quella tecnica, quel
modo di raccontare, si può dire vada invece affermandosi: vale a
dire che il giallo è passato di mano, dagli scrittori di gialli agli
scrittori tout court).
Più di trent'anni fa,
precisamente nell'autunno del 1952, alla stazione ferroviaria di
Caltanissetta acquistai l'ultimo dei gialli settimanali Mondadori: La
morte alla finestra di G. Holiday Hall. E non che nei gialli
Mondadori, tra tanti mediocri o addirittura pessimi, non ne fossero
mancati fino a quel momento di buoni, ma fin dalle prime pagine La
morte alla finestra mi parve di qualità diversa, di livello più
alto. Ero allora fortemente affezionato agli scrittori americani, da
Steinbeck a Caldwell a Faulkner a Cain: e mi parve che in quella
pleiade si accendesse il lumicino del giovane G. Holiday Hall,
intruppato tra i giallisti ma di miglior vocazione e di diverso
avvenire. Più precisamente, avevo l'impressione che, pur dedicandosi
alla letteratura di consumo, quel giovane scrittore (giovane e nuovo
lo diceva la presentazione editoriale) avesse fatto i suoi latinucci
sugli altri maggiori, e su Faulkner specialmente.
Mi avvenne di rileggere
il libro qualche anno dopo (mi capita, coi gialli), e poiché le
riletture sono sempre più attente delle letture, l'impressione di
allora mi si confermò al punto che volli saperne di più. Scorsi
l'elenco di tutti i gialli settimanali che erano nel frattempo
usciti: ma non ne trovai altri di G. Holiday Hall. Andai a trovare
Alberto Tedeschi, che della collana era direttore, per chiedergli di
quell'autore, di quel libro; e come mai altri non ne fossero stati
pubblicati. Tedeschi molto gentilmente cercò di soddisfare la mia
curiosità, ma senza alcun risultato. G. Holiday Hall era scomparso
dal mondo della detective story, né si era ripresentato nel
mondo letterario americano. Tedeschi convenne che era opportuno far
migrare il libro da quella collana ad altra più seria e che valeva
la pena cercare di saperne di più sul suo autore. Ma non ne seppi
più nulla. Riletto dopo trentasette anni, ancora mi pare valga la
pena. E così è parso a Elvira Sellerio, che si è imbattuta a
leggerlo ricevendone impressione non diversa dalla mia. Solo che non
si è riusciti a saperne di più, su G. Holiday Hall. Si tratta di
uno scrittore ben noto sotto altro nome che si è dato a quella
vacanza (il nome lo fa sospettare)? Di un giovane scrittore che ha
azzeccato quel primo libro e altri non ha saputo scriverne? Un
piccolo mistero che sarebbe divertente risolvere.
Milano, luglio 1989
"la Repubblica", 31 marzi 1990
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