13.6.19

Noi, lettori di gialli (Leonardo Sciascia)

Una delle ultime cose scritte dal maestro di Racalmuto, una deliziosa paginetta di memorie e dubbi, vivamente consigliata. Il mistero di cui Sciascia ragiona non trova, neanche in rete, la soluzione che si desidererebbe: c'è chi garantisce che tale mistero in realtà non c'è e chi, invece, in qualche modo lo ripropone. Provare per credere (S.L.L.)


Il giallo è sempre stato il mio viatico ferroviario. Un po' meno, per la verità, in questi ultimi anni: non dismessa l'abitudine di acquistarne uno o due prima di salire sul treno, ma abbandonata la lettura dopo le prime dieci o al massimo venti pagine: ché sarà una decadenza di questo genere di racconto, il suo estenuarsi e ripetersi, ma il fatto è che raramente, molto raramente ormai, riesco a trovarne uno che più o meno straccamente mi invogli a leggerlo sino allo scioglimento, alla soluzione.
Ma trenta e più anni fa, le combinazioni dei misteri criminali che sono essenza del giallo non sembravano destinati ad esaurirsi (e bisogna aggiungere che se, per così dire, il genere commerciale e di consumo va ad esaurirsi, il genere propriamente letterario, quella materia, quella tecnica, quel modo di raccontare, si può dire vada invece affermandosi: vale a dire che il giallo è passato di mano, dagli scrittori di gialli agli scrittori tout court).
Più di trent'anni fa, precisamente nell'autunno del 1952, alla stazione ferroviaria di Caltanissetta acquistai l'ultimo dei gialli settimanali Mondadori: La morte alla finestra di G. Holiday Hall. E non che nei gialli Mondadori, tra tanti mediocri o addirittura pessimi, non ne fossero mancati fino a quel momento di buoni, ma fin dalle prime pagine La morte alla finestra mi parve di qualità diversa, di livello più alto. Ero allora fortemente affezionato agli scrittori americani, da Steinbeck a Caldwell a Faulkner a Cain: e mi parve che in quella pleiade si accendesse il lumicino del giovane G. Holiday Hall, intruppato tra i giallisti ma di miglior vocazione e di diverso avvenire. Più precisamente, avevo l'impressione che, pur dedicandosi alla letteratura di consumo, quel giovane scrittore (giovane e nuovo lo diceva la presentazione editoriale) avesse fatto i suoi latinucci sugli altri maggiori, e su Faulkner specialmente.
Mi avvenne di rileggere il libro qualche anno dopo (mi capita, coi gialli), e poiché le riletture sono sempre più attente delle letture, l'impressione di allora mi si confermò al punto che volli saperne di più. Scorsi l'elenco di tutti i gialli settimanali che erano nel frattempo usciti: ma non ne trovai altri di G. Holiday Hall. Andai a trovare Alberto Tedeschi, che della collana era direttore, per chiedergli di quell'autore, di quel libro; e come mai altri non ne fossero stati pubblicati. Tedeschi molto gentilmente cercò di soddisfare la mia curiosità, ma senza alcun risultato. G. Holiday Hall era scomparso dal mondo della detective story, né si era ripresentato nel mondo letterario americano. Tedeschi convenne che era opportuno far migrare il libro da quella collana ad altra più seria e che valeva la pena cercare di saperne di più sul suo autore. Ma non ne seppi più nulla. Riletto dopo trentasette anni, ancora mi pare valga la pena. E così è parso a Elvira Sellerio, che si è imbattuta a leggerlo ricevendone impressione non diversa dalla mia. Solo che non si è riusciti a saperne di più, su G. Holiday Hall. Si tratta di uno scrittore ben noto sotto altro nome che si è dato a quella vacanza (il nome lo fa sospettare)? Di un giovane scrittore che ha azzeccato quel primo libro e altri non ha saputo scriverne? Un piccolo mistero che sarebbe divertente risolvere.
Milano, luglio 1989

"la Repubblica", 31 marzi 1990

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