Johan Gottlieb Fichte |
Rimanere
celibi senza volerlo è una grande infelicità. Sceglierlo è una
grave colpa. Lo diceva il celebre filosofo Johann Gottlieb Fichte,
riflettendo un´idea del celibato come anomalia e come pericolo per
la collettività. Ma non è stato così né sempre né dovunque.
L´alternativa
celibe è presente in moltissime società che ne hanno fatto
addirittura un´arma decisiva per vivere meglio. Per mantenere
l´equilibrio demografico ed ecologico tra uomini e natura come
facevano gli Indios dell´America Latina. O per una libera scelta da
edonisti primitivi, come facevano gli aristocratici abitanti dei mari
del Sud. Ma anche per produrre performance al di fuori del comune,
più adatte ai singoli che alle persone sposate. Gli sciamani
siberiani, specialisti del rapporto con il soprannaturale, erano
molto spesso liberi da vincoli matrimoniali che avrebbero impedito al
loro spirito quella concentrazione e quella capacità di vedere oltre
il quotidiano che erano una ricchezza a disposizione dell´intera
comunità. Il volo sciamanico era l´espressione figurata di questa
estrema libertà di andare oltre i limiti di un´esistenza ordinaria.
Così la condizione di "senza letto" - questo è il
significato della parola celibe - smetteva di essere un semplice
difetto per trasformarsi in un vantaggio individuale e sociale. Ma
anche in Occidente, a parte quello ecclesiastico, gli esempi di
celibato felice non mancano. Il nostro immaginario è pieno di eroi
scapoli. Dai cavalieri erranti ai tre moschettieri fino ai Superman e
Batman dei nostri giorni. E forse non è un caso che i cacciatori di
teste aziendali prediligano spesso i single. Cavalieri erranti del
business in grado di saltare da un aereo all´altro, ma soprattutto
di mettere a frutto la propria libertà. Naturalmente a potersi
consentire molti celibi sono soprattutto le società dove il lavoro
non dipende soltanto dal numero di braccia. E dove l´incremento
demografico non è una necessità vitale. È così per l´opulento
Occidente contemporaneo dove in molti paesi i single sono ormai
maggioranza. Ma era così anche per i bellissimi polinesiani cui un
clima da paradiso terrestre e una natura generosissima consentivano
di non essere costretti a metter su famiglia per sopravvivere.
Il
ruolo del celibato è per definizione inverso a quello della
famiglia. E in certi casi non è meno necessario. Molte società
riescono a sopravvivere proprio istituzionalizzandolo. Autorizzando
per esempio l´amore omosessuale per quegli individui che non possono
o non vogliono prendere moglie.
Claude
Lévi-Strauss racconta che tra gli indios Nambikwara, che abitano le
savane del Brasile centrale, la poligamia dei capi e la scarsità di
donne disponibili costringevano al celibato gli uomini meno
aggressivi. Che avevano a disposizione uno scivolo istituzionale
nell´unione con il fratello della ragazza che avrebbero voluto
sposare. Mentre in Melanesia e in Nuova Guinea ai maschi non sposati
vengono affidate mansioni femminili, e i capi li considerano delle
mogli supplementari, delle donne sui generis. Proprio come i Galli, i
sacerdoti di Cibele e della dea Syria, divinità orientali
veneratissime nella Roma imperiale, che vestivano con tonache
femminili, si truccavano e parlavano in falsetto. Ma soprattutto si
eviravano ritualmente offrendo così alla dea la loro virilità
insieme al loro celibato. Un voto estremo che però non comprendeva
la castità. Come racconta Apuleio nell'Asino d´oro,
questi preti variopinti e scatenati praticavano la sodomia alla
grande.
Insomma
se la società è una macchina che deve fabbricare la vita, il celibe
la fa girare a vuoto, producendo energia fine a se stessa. La forza
di una civiltà sta nel riuscire a trasformare questa eccedenza di
energia in un vantaggio per tutti.
“la Repubblica”,
18 marzo 2010
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