Il cardinale Bagnasco, ispiratore del "Ministri della Misericordia" |
Un’analisi seria,
basata sui fatti e non sulle illazioni, anche quando i fatti di
illazioni ne fanno sorgere fin troppe; un’analisi dettagliata e
paziente, con tutta la pazienza obbligata nel tentare di portare alla
luce situazioni protette non tanto e non solo dalla pur lodevole
tutela della riservatezza, ma dalla molto meno lodevole omertà, che
sia di gruppo, di istituzione o di casta. Un’analisi pacata,
infine, perché non indulge mai al pur comprensibilissimo sdegno che
invece inevitabilmente colpisce il lettore.
Navigando tra storie
arrivate alla luce della ribalta televisiva e altre sconosciute ma
non per questo meno significative, il libro Giustizia divina. Così
la Chiesa protegge i peccati dei suoi pastori di Emanuela Provera
e Federico Tulli (Chiarelettere) fa toccare con mano quanto possa
pesare, soprattutto per le vittime di clerici abili e arruolati, la
differenza tra il reato e il peccato. Perché se il reato,
comportamento cui il legislatore ricollega una sanzione penale per
l'aggressione recata a un bene giuridico meritevole di tutela, è
fatto umano, così come umano è il bene giuridico tutelato, il
peccato al contrario assume giocoforza una connotazione divina,
esoterica, alchemica. Offesa non agli esseri umani ma a Dio, e come
tale diversamente espiabile. Invece del carcere, oasi di ritiro
spirituale, per dirla in pragmatici seppur villani soldoni. Perché
se il reato è difficilmente occultabile, e non più di quel tanto
interpretabile, diverso il discorso per le mancanze “divine” dei
propri pastori: anche il modo di valutare e quindi far riparare il
peccato commesso è riservato ai pochi intimi dello stesso gruppo,
con particolare attenzione, ça va sans dire, alla spiritualità del
reo, confesso o meno che sia. Attenzione a quella compromessa della
vittima, non pervenuta.
Pedofilia, certo, in
prima posizione. Reiterata, capillare e mai seriamente combattuta,
coadiuvata anche dal vuoto normativo lasciato dall’abolizione del
delitto di plagio nel 1981 e in generale da una buona dose di
particolare benevolenza lassista delle istituzioni laiche. Ma non
solo.
Anche preti e suore sono,
cosa del resto immaginabile, differenziatamente umani come tutti, e
anche preti e suore manifestano quindi una variegata gamma di
atteggiamenti delittuosi. Ludopatia, gioco d’azzardo, truffe di
vario genere, falsa testimonianza, corruzione, maltrattamenti,
spaccio di droga. Purtuttavia i denunciati sono pochi, i carcerati
ancora meno.
Ed ecco che proprio
grazie a questo lavoro di inchiesta scopriamo esistere numerosi
centri di chiamiamola “riabilitazione” dei peccatori in tutta la
penisola (ma preferibilmente al Nord). Non solo e non tanto gradevoli
magioni per eventuali arresti domiciliari, se disgraziatamente
capitasse di essere proprio beccati dalla giustizia terrena, ma anche
e soprattutto confortevoli resort per inadempienze conclamate che
alla magistratura non arriveranno mai e che si preferisce insabbiare,
pardon, spiritualmente riabilitare, in famiglia. La famiglia della
Chiesa, ovviamente.
Previste dallo stesso
codice di diritto canonico come Case di Penitenza, gli autori sono
riusciti a censirne diciotto, con un capillare, certosino e
ovviamente ostacolato lavoro di inchiesta.
Rappresentano
l’alternativa parallela al carcere, senza sbarre né secondini,
dove “sono trattenuti i presunti responsabili di reati avvenuti in
territorio italiano ma che non vengono denunciati alla giustizia
civile dai loro superiori”. Perché saranno anche colpevoli di
atroci reati, ma sono prima di tutto peccatori. In realtà queste
Case sono esse stesse solo “la punta di un iceberg”, poiché una
intera rete di sostegno a clerici “in difficoltà” è presente da
anni su tutto il territorio con la massima segretezza. Comunità
religiose, famiglie laiche, diocesi e parrocchie pronte ad accogliere
in ritiro spirituale i presunti pedofili, spacciatori, truffatori di
cui sopra. Non solo presunti, anche condannati a dir la verità.
Perché in questi centri finiscono anche coloro i quali hanno
ottenuto dalla legge italiana la possibilità di usufruire di pene
alternative alla detenzione.
Quanti sono questi
sacerdoti in difficoltà non è dato sapere; quando però nel 2007 su
mandato dello stesso Bagnasco viene fondata l’associazione
“Ministri della misericordia” per il loro spiritual sollievo lo
stesso comunicato parla di circa il 10% dei consacrati. Il che
farebbe almeno tremila persone affette da forme di dipendenza,
disturbi di personalità, depressione o crisi vocazionale. Tutti a
piede libero, incoraggiante.
Menzione a parte, nonché
un corposo dibattito, meriterebbero poi le interviste che gli autori
sono riusciti a ottenere non solo dai “peccatori” quanto dai loro
terapeuti. Psichiatri e psicologi ovviamente cattolici che fortemente
sostengono la specificità del sacerdote rispetto ai comuni pazienti,
come fosse possessore di una piena identità aggiuntiva, arrivando a
dire che alcuni aspetti di questa identità solo “nel modo esterno”
(quello terreno o quello non cattolico tout court non è chiaro) sono
considerati patologici.
Se per questi centri pare
esserci una lunga fila d’attesa al maschile per il trattamento
residenziale, la vita in comunità insomma, pare che nessuna
struttura simile invece funzioni per le suore. Sostanzialmente, loro
già ci vivono in comunità, e tendono quindi a risolvere i problemi
delle consorelle al loro interno. Problemi non da poco comunque.
Obesità, anoressia, depressione, dipendenze affettive esasperate,
insostenibilità della vita di comunità. Peccato però che, come
ammettono gli stessi psicoterapeuti, quando si giunge al punto di
rottura sia ormai impossibile intervenire.
Anche perché non esiste
nemmeno il ricovero volontario, così come è estremamente difficile
che, tra segreto della confessione e senso di colpa, sia il sacerdote
ad autodenunciarsi, meno che mai alle autorità civili, alle quali
nulla è dovuto. Non reato, ma peccato: è sempre il superiore
ecclesiastico a indirizzare il clerico presso qualche casa o centro
specializzato: il che avviene solo quando, direbbero i maliziosi con
le carte alla mano, sta per scoppiare o è appena scoppiato lo
scandalo di turno.
Dove, va detto, anche la
giustizia terrena è spesso complice nel proteggere, con un misto di
devozione, deferenza e semplice tornaconto anche personale, la cosa
nostra in tonaca.
Quel che è certo è che
i panni del reato-peccato si sciacquano bene in casa, ma ancora
meglio nei resort a cinque stelle.
Micromega blog, 3 giugno
2019
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