Guido Reni, Erodiade con la testa del Battista - Roma, Galleria Corsini |
Il giudizio comune sul
«femminile» contiene un'intrinseca contraddizione, ascrivibile
tanto alla naturale ambiguità della donna, tanto a una difesa messa
in atto dall'esterno al fine di neutralizzarne la ben nota astuzia.
Perché ognuna di esse è sì «angelo del focolare», capace cioè
di scaldare il cuore con un abbraccio; ma anche – in particolari
circostanze – creatura fortemente determinata in spietatezza e
crudeltà. Non potendo vantare un «diritto innato» al comando, o
ricorrere direttamente alla violenza per imporre i suoi diritti, o
ancora – come avveniva in passato – aspirare in prima persona a
cariche di prestigio, molte donne sono riuscite e riescono tutt'oggi
a gestire con la sola arma dell'inganno un potere analogo a quello
degli uomini. La necessità di «non esporsi» per non suscitare la
reazione altrui ha contribuito, dunque, ad affinare l'ingegno e la
destrezza nel non commettere distrazioni ed errori.
Ma la «seduzione», da
sempre irresistibile arma femminile, non è l'unica qualità messa in
campo nel processo di autoaffermazione. Tenacia, determinazione,
ferma volontà, buon senso, sono armi ugualmente efficaci per vincere
il pregiudizio che da sempre ha circondato qualsiasi impresa
femminile, dalla più banale alla più illustre, capace di modificare
il corso della storia.
Tuttavia, laddove il
potere della donna si è realizzato, la storiografia è intervenuta a
modificare il significato degli eventi con la sua penna
mistificatrice, svilendo di proposito la portata dell'impegno e della
capacità femminile. Quando la storia è fatta da donne, infatti, le
fonti antiche sono spesso intrise di giudizi negativi, gravati da una
pesante misoginia che, resistendo attraverso i secoli, ignora
puntualmente le scoperte della moderna storiografia. Leggendo di
imprese al «femminile» è importante, quindi, cercare di reperire
tra le righe quegli aspetti di verità celati, che costituiscono
spesso la parte fondamentale e più intrigante delle vicende. Al fine
di restituire adeguata dignità alle imprese femminili che hanno
«fatto storia», anche attraverso l'esercizio dell'astuzia o della
malvagità, Valeria Palumbo, giornalista e autrice di numerosi
scritti a sfondo storico-politico sulla donna, nel suo ultimo lavoro
dal titolo La perfidia delle donne (Sonzogno, 2006) si fa
interprete di una narrazione il più possibile «fedele» ai fatti
accaduti. La scrittrice cerca di svestire le donne narrate da
pregiudizi e stereotipi comuni, mettendo in primo piano le condizioni
storiche e sociali in cui esse hanno agito. A fronte di tante donne
giudicate a torto «cattive», la storia ce ne fa vedere diverse che
perfide lo sono state davvero. La loro vicenda, ritratto psicologico
del male al femminile, è testimonianza di quanto la necessità di
schivare pericoli, aggirare le leggi, mentire e usare inganni e
sotterfugi abbia plasmato, attraverso le generazioni, una forma di
intelligenza femminile infida e inarrestabile.
Nell'originale e
intrigante galleria di ritratti di donne la Palumbo parte dall'epoca
biblica e, attraverso l'età antica approda al Medioevo e al
Rinascimento, periodo storico più denso di «famose perfide»
giungendo fino all'era moderna e contemporanea. Inaugura la fitta
rassegna di «cattive» Erodiade la decapitatrice, madre della
giovane e bella Salomè, descritta nel Vangelo secondo San Matteo
come una conturbante danzatrice. La giovane piacque tanto a Erode da
prometterle tutto ciò che gli avesse chiesto. Salomè, istigata
dalla madre, pretese e ottenne la testa di Giovanni il Battista.
Altro ritratto femminile complesso ma per certi aspetti «attuale» è
quello di Fulvia, terza moglie di Marco Antonio. Plutarco la descrive
come una vera «dominatrice», molto abile nell'arte del comando.
Ella oltre a filare la lana e occuparsi della casa esercitava un
forte potere sul marito, dimostrandosi capace di «governare un
governante», un uomo che comandava gli eserciti. Cleopatra le fu
sempre riconoscente per averle consegnato un uomo avvezzo a subire
del tutto la signoria di una donna.
Nell'età imperiale
spiccano, invece, le figure di Agrippina minore e Giulia Maesa, la
prima artefice dell'ascesa al trono del figlio Nerone, la seconda
mandante dell'omicidio del nipote Eliogobalo. Prima di essere uccisa
da Nerone Agrippina ne fu complice e guida. Donna coraggiosa,
volitiva e spietata, non ha mai avuto dalla storia un momento di
riscatto, e la sua stessa vicenda dimostra quanto l'ingratitudine
possa essere talvolta enorme, arrivando persino a colpire a morte chi
del successo altrui è il principale artefice.
Tuttavia l'emblema delle
donne spietate può essere considerata Lady Macbeth, immortalata da
Shakespeare, che l'ha descritta come persona indenne da emozioni e
animata da crudeltà pura e fredda. Esasperando l'aspetto malefico
delle sue qualità, il drammaturgo la rese un personaggio
indimenticabile.
Arrivando a tempi più
recenti, tanti e diversi sono i volti della cattiveria femminile; tra
cui Elisabeth Nietzsche, la «arianificatrice», fondatrice di una
colonia per la purezza della razza. Per non parlare delle nefaste
mogli dei dittatori Franco e Mao Tze-tung. La seconda fu
soprannominata dai cinesi «il demone dalle bianche ossa», perché
ricordava in crudeltà un personaggio della mitologia che cambiava
continuamente forma e sesso per attirare vittime da divorare nella
sua grotta.
Il testo di Valeria
Palumbo scritto in uno stile ricco e coinvolgente raggiunge
l'obiettivo prefissato dall'autrice, andando oltre il tratteggiamento
storiografico, per toccare la psicologia più autentica dei
personaggi, e il suo evolversi attraverso le vicende della società
che fa da sfondo. Le varie personalità di donna che emergono da
fatti narrati, tuttavia, nella loro perfidia mostrano anche un tratto
di pura fragilità, come base motivazionale da cui partono le loro
azioni. C'è sempre una necessità di riscatto che le induce tutte ad
aguzzare l'ingegno fino ad approdare all'unica scelta possibile: la
cattiveria, come strumento di sopravvivenza. Con un possibile slogan
caratterizzante, che l'autrice opportunamente rintraccia nei dialoghi
di un vecchio film. Non sono un angelo, in cui Mae West afferma:
«Quando sono buona sono fantastica. Ma quando sono cattiva, sono
meglio».
La Gazzetta del Sud, 21
giugno 2006
Nessun commento:
Posta un commento