«La mia superficie è
felice,
ma venga, venga a vedere
sotto la vernice».
Giovanni
Raboni definì la poesia di Vivian Lamarque di una ‘semplicità
quasi feroce’. Certo, la lingua poetica di Lamarque, i cui modelli
italiani dichiarati sono Umberto Saba, Giorgio Caproni e Sandro
Penna, è rivestita di una patina liscia, ritmata, con l’uso non
invadente della rima: ambienti, oggetti, animali e fiori appartengono
a un quotidiano familiare. Ma questa lingua “semplice”, poggia su
tecniche linguistiche e retoriche che le conferiscono una
sorprendente forza, come una spinta inattesa che butta chi legge giù
dalla poltrona proprio quando pensava di starci comoda. La passione
per la fiaba, la ninna-nanna e la filastrocca (oltre che poetessa
Lamarque è una prolifica scrittrice di fiabe e libri per bambini)
traluce nei versi poetici. La voce sembra cullare nel ritmo lieve e
rasserenante della sfera domestica, spesso infantile (mai puerile) e
poi i versi di chiusura arrivano, scrisse Vittorio Sereni, come ‘una
coltellata’: ‘Quest’operazione / che la costringete sempre a
fare / «ridimensionare» / non è come stringere un vestito / non è
indolore / si taglia la pelle del cuore’.
L’abbandono e gli
altri temi
L’ampio
corpus poetico di Lamarque esplora la vicenda autobiografica di
abbandono, adozione e ricerca delle origini nelle sezioni 'Conoscendo
la madre' in Teresino
(1981), 'Madri padri figli'
in Una quieta polvere
(1996) e ‘Madre l’altra’
in Madre d’inverno
(2016); il transfert psicanalitico ne Il signore d’oro
(1986), Poesie dando del Lei
(1989) e Il signore degli spaventati
(1992); il lutto nelle prime tre sezioni di Madre
d’inverno; la morte; relazioni
amorose; famiglia e amicizie; e ovunque acute riflessioni sul vivere,
compreso in Poesie per un gatto
(2007) e le poesie in dialetto milanese ne La gentilèssa
(2009).
Generi e
intertestualità
Lamarque
va dalla forma breve a componimenti più discorsivi di prosa poetica,
ai poemetti come ‘Questa quieta polvere’,
‘L’amore mio è buonissimo’,
‘L’albero’, che
giocano con la ciclicità e la ripetizione. La ripetizione è poi un
elemento caratteristico a unire i brevi componimenti, come l’attacco
“l’amore mio...” nella sezione ‘L’amore mio è
buonissimo’ (Teresino).
Importante anche il dialogo intertestuale. In ‘Questa
Quieta Polvere’, il cui titolo
è tratto da ‘This Quiet Dust was Ladies and Gentlemen’
di Emily Dickinson, sono inserite 53 citazioni evidenziate dal
corsivo provenienti da 16 fonti diverse (testi poetici, storici,
biblici, fiabeschi e cinema). Qui i versi di Dickinson (“Because
I could not stop for Death - / He kindly stopped for me”)
si intrecciano a quelli di Lamarque: “poiché non potevo fermarmi
per la morte / lei gentilmente si fermò per me // anche da morta mi
ricorderò i ricordi / mi ricorderò sempre di quando ero viva’.
Altrove le citazioni sono presenti in modo sporadico e mimetizzate,
come in ‘chiara era la notte e senza vento guarda / da una morta
era spuntata una margherita”, che riprende il noto incipit
leopardiano de La sera del dì di festa.
L’io e il tu
L’io
lirico presuppone in larga parte un tu di matrice autobiografica, al
quale si rivolge, ricorda momenti passati, pone interrogativi
(retorici e non), dà ordini perentori, evoca e invoca, irrorando i
versi leggeri di nostalgia, anelito, biasimo, disagio e dolore. Ad
esempio, in “Sempre più mi sembri una persona innamorata / e so
che con me questo non ha a che vedere / e so che con me questo non ha
a che vedere”. Oppure l’io pone domande per rassicurare il tu: “È
ora di dormire anima mia / perché non dormi? vengono i pensieri? /
Fa’ così con la mano che vanno via / fa’ presto fa’ presto
anima mia”. Si noti la ripetizione, un tratto che, insieme all’uso
frequente dei superlativi, agisce come artificio di intensificazione.
Ne
Il signore d’oro si
instaura quella forma di dialogismo in cui è l’io stesso a fungere
da interlocutore e a dare la risposta, come nei bambini quando
parlano con creature mute (bambole o gatti) per alleggerire la
propria solitudine. Così ne ‘Il signore e la bambina’
da Il signore d’oro,
che trasfigura in chiave poetico-fiabesca la terapia psicanalitica:
«Chinatosi qualcosa da
terra raccoglieva.
Che cosa?
Credo una foglia, oh no
era una microscopica bambina.
Bambina?
Sì, lunga come i
millimetri e tutta avvolta in una colorata vestina.
E dopo averla raccolta?
Dopo la cullò, come il
vento una fogliolina.»
Sono
qui presenti altri tratti caratteristici quali il ricorso ai
diminutivi, la dimensione infantile (retaggio del trauma
dell’abbandono che pervade il vivere adulto), la proiezione del sé
autobiografico alla terza persona.
Dialoghi
Tutto
imperniato su domanda e risposta è Poesie per un gatto,
composto di minidialoghi tra la poetessa e il gatto Ignazio. Se
alcune poesie scherzano con divertita ironia, come in “– Cos’è
questo odore infernale? / – È smalto per le unghie Ignazio. /
Quando vedo tutto nero coloro di rosa / le unghie come una vita... /
– Rimbambita” con effetto dissacrante della rima vita-rimbambita,
la terza sezione, ‘Il giardino dell’aldilà’
riflette con levità sulla morte, partendo dal lutto proiettato sul
gatto per la gattina Zarina: “– E poi sarà uguale alla nostra /
l’erba dell’aldilà? / – Lo vedremo Ignazio / lo vedremo quando
saremo là”.
Le
domande spesso (come nella vita) non hanno risposta. Non ne hanno se
l’interlocutore non c’è più e questo modulo pervade la raccolta
Madre d’inverno. In
‘Le posizioni del dolore’
non ci sono risposte e la domanda pare essere posta non a tu/madre ma
a un destino che consente che vi sia tanta sofferenza: “Perché non
trovarti mai le vene / macchiarti le tue braccia di neve così?”
Sì, perché?
Lettere e
destinatari
L’apostrofe
a un tu assente prende talvolta la forma di lettera con l’incipit
epistolare: “Caro babbo II (ma primo) / che ti chiamavi Dante / che
facevi il Campione d’Italia / di Sollevamento Pesi e il Vigile del
Fuoco / che salvavi le persone / che hai fatto in tempo a salvare
anche me / prima di morire / a 34 anni”: il che
anaforico crea un climax
fondato semanticamente sul bene e sulla vita, interrotto bruscamente
dalla congiunzione temporale che introduce la morte prematura del
padre. In “Cara sorella / oggi capisco / che ti eri spaventata /
quando ero nata / avevi tredici anni / e anche tu l’infanzia / un
po’ minata / ma credi non era colpa mia / se ero nata”, il
presente di oggi capisco viene ricalibrato dall’avversativo ma, a
bilanciare il peso di trascorse colpe e assoluzioni.
L’incipit
epistolare si estende anche oltre l’ambito familiare. Il
destinatario può essere l’amato: “Caro Dottore / basta distanza
/ varchiamo La prego / il confine della stanza”, o il Papa: “Caro
Papa ma non vedi / gli occhi disperati / degli animali santi /
dall’uomo martirizzati?”, concludendo con un richiamo al Cantico
delle Creature: “e San
Francesco è morto / cum tucte le sue creature”.
Un modo imperativo
Il
dialogo si costruisce spesso sull’imperativo, assumendo il tono
perentorio dell’ordine tanto più gridato quanto più sa di
rimanere inascoltato. In Poesie dando del Lei l’io-paziente,
apostrofa il Dottore-amato: “Basta villeggiatura UBBIDISCA!
RITORNI!”; o ancora più insistente: “mi tenga accanto a sé / MI
TENGA ACCANTO A SÉ HO DETTO! / ubbidisca! Le pare?”: l’enfasi
del maiuscoletto e dell’esclamativo che mima il grido si scioglie
poi nella domanda retorica Le pare?
quasi che l’io si fosse reso conto dell’inattuabilità delle
proprie pretese e ribaltasse con ironia l’impossibilità di
esaudire il proprio desiderio.
Licenza
grammaticale
Nella
lingua “semplice” di Lamarque si insinuano talvolta parole nuove,
risultato di univerbazione: qualchelungavolta, volereaffetto,
infanziamanina, caravoce, uomomamma, natalimpida, biancacarta, il
chiastico come casanuova / in una nuovavita. O nuovi avverbi:
domenicalmente, innamoratamente; insoliti superlativi baciabilissimo,
riempitissima di lontananza, talvolta a formare un poliptòto:
chiudendo la chiusissima porta. Tipica del linguaggio poetico è la
posizione anteposta al nome di taluni aggettivi (participi, di
colore): le addormentate acque, una fortificata casa, una bianca
gomma, che insinuano nella lingua quotidiana la dimensione aulica.
Ma
non è certo dagli aulicismi che la poesia di Lamarque trae il suo
vigore, bensì dagli accostamenti di immagini familiari di cui, nel
ripercorrere le tappe della vita, rivela il senso che sta sotto la
superficie, sotto la vernice.
dal
sito dell'Istituto della Enciclopedia Italiana 12 settembre 2018
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