3.10.12

Italia Italia Italia (di Roberto Roversi)

Confesso, a mia vergogna, di aver letto pochissimo (e piuttosto distrattamente) di Roberto Roversi, il partigiano bolognese che volle essere partigiano anche come poeta: soprattutto versi d'occasione su "l'Unità" e "il manifesto". Rammento un poemetto sulla strage della stazione di Bologna che al tempo mi diede qualche emozione, ma di cui oggi non so ridire che il soggetto. Da quel poco che ho letto, anche in prosa, ho tratto la convinzione che si tratta di un compagno, di quelli che non hanno mollato; ma tanto non è bastato a spingermi a cercare i suoi versi o i suoi scritti nella rete o in libreria. Né mi ha colpito in modo speciale la sua morte, nel settembre appena trascorso.
Ora trovo un ricordo breve e incisivo di Roberto Roversi su "Giap", il blog di una "banda" di scrittori di sinistra, che si firma con il nome collettivo di Wu Ming, intitolato al compagno generale vietnamita che sconfisse l'armata coloniale francese a Dien Bien Phu. Si tratta di due frammenti delle Trenta miserie d’Italia, quarta parte di un poema (L’ Italia sepolta sotto la neve), che - a quanto leggo - ha avuto una stesura travagliata, fatta di più varianti ed è rimasto - finalmente - incompiuto. Riprendo qui il primo dei frammenti che pone il tema del "tradimento dei chierici" e vi aggiungo, a mo' di appendice, uno dei commenti, che è poi l'articolo di Roversi ripubblicato in mortem da "il manifesto", il 17 settembre scorso. E' sorprendente l'attualità di quel testo e anche la data della sua prima pubblicazione. (S.L.L.)

Roberto Roversi (foto di F. Sclocchini)
Italia Italia Italia.
Dice: il Che mi è caro e non è morto mai.
Dice: in tanti lo fischiano io continuo a cantarlo.
È il mio eroe di Alamo
e la vita è battaglia all’ultimo sangue
alle volte capita di dover fare
di potere rischiare e di dover cadere.
Hanno memorie rapide e leggere
i mandarini di casa nostra.


Appendice
La rivoluzione è sempre un punto di partenza, mai di arrivo
«C’è obiettivamente questo stato (e questo sentimento) di blocco e di sconfitta nei fatti e nelle cose – dunque, fuori e dentro la gente – come conseguenza di tutta una serie prolungata di errori e di ritardi; come conseguenza di una mancanza di agilità, di comprensione, di intelligenza politica e metodologica. Quindi che a sinistra la critica sia necessaria, urgente, indispensabile; e che sia indispensabile l’autocritica in atto dura e possibilmente aggiornata alle attuali necessità, mi pare non si possa contestare; se mai alimentare. D’altra parte, l’arroccamento a difesa è nient’altro che una risoluzione disperata e cretina; se è vero che il mondo cambia ad ogni ora. Ma l’autocritica (lavaggio mentale da compiersi sempre non solo per il politico ma anche per il privato) non deve significare il lancio della spugna; né dovrebbe convalidare l’interessato e frenetico gioco al massacro che da varie parti è messo in atto per contribuire allo spappolamento di tante utili e giuste speranze politiche, di tanti gruppi di opinione, di tanti militanti e per concludere alla precipitosa liquidazione di una generazione, di una stagione della nostra vita. L’autocritica non deve portare a partecipare alla distruzione progressiva degli atti e dei fatti recenti, a partire dal Sessantotto. Dato che è a partire da lì che comincia l’operazione di scalzamento messa in atto dai principi della penna di ogni risma; i quali dicono il Sessantotto progenitore di ogni violenza e dell’attuale violenza e cominciano a dire la classe operaia ricettacolo contaminato da tale lebbra eccetera. Parte da qui la torrentizia pubblicistica autodistruttiva di molti piccoli giovani di allora che sono diventati piccoli uomini di oggi. Con buona pace dei commentatori apocalittici ristabiliamo che l’ultimo decennio ha portato sì lacrime e sangue, ma ha prodotto – dentro un mondo che consumava il vecchio e partoriva il nuovo – straordinarie novità e progetti che portano difilato al nuovo millennio. Su quelle rive, fuori dal blabla lamentoso degli sconfitti della terza Caporetto, si conteranno i reduci e si faranno i conti sul nuovo modo occorrente per cominciare a ribaltare le cose. Se è vero che la rivoluzione è sempre un punto di partenza e mai un punto di arrivo, e se è vero che questa è la tremenda bellezza della vita». (Roberto Roversi, 29 aprile 1980)

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