Ghiannis Ritsos |
Non amava affatto gli uccelli, i fiori,
gli alberi
diventati simboli di idee, utilizzati
allo stesso modo
da schieramenti opposti. Lui tentava
di riportarli al loro fondamento
naturale. Le colombe,
per esempio,
non emblema di un'infinità di
convegni, ma begli uccelli
erotici, dal passo lento, che
continuano a baciarsi
becco a becco nel mio cortile e mi
riempiono
le mattonelle
di escrementi e piume (mi piacciono
così); o, al massimo,
piccoli postini che portano al di sopra
delle pallottole
le lettere dei bambini poveri a Dio, in
cui gli chiedono
scarpe e quaderni e un po' di
caramelle. I gigli
non emblemi di purezza, ma piante
profumate
e sensuali, dai petali spalancati
che mostrano gli stami eretti con i
pollini d'oro. E l'ulivo,
non premio di vittoria o di pace ma
genitore fruttifero
che dà il buon olio per le nostre
pietanze e per la lucerna,
per gli arrossamenti del neonato e il
ginocchio ferito
del bambino irrequieto e disobbediente,
e ancora
per il modesto lume della Madonna. E io
– disse –
nient'affatto mito, eroe o dio, ma
semplice operaio
al pari di te, di te e dell'altro –
proletario dell'arte
innamorato sempre degli alberi, degli
uccelli, degli animali
e degli uomini,
innamorato soprattutto della bellezza
dei pensieri puliti
e della bellezza dei corpi giovanili –
un operaio
che scrive, scrive incessantemente su
tutti e tutto
e ha un nome breve e facile a
pronunciarsi: Ghiannis Ritsos.
Karlòvasi, 12.VIII.87
“Poesia” n. 284 Luglio/Agosto 2013
- Traduzione di Nicola Crocetti
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