8.11.12

Beni comuni e cittadinanza (di Stefano Rodotà)

Ho ritrovato, in un supplemento pubblicato dal “manifesto” alla vigilia dei referendum su acqua e nucleare della primavera 2011 (Gaia comune, 28 aprile 2012), una splendida sintesi della problematica giuridica e politica dei “beni comuni”, in rapporto al modificarsi della nozione di cittadinanza. E’ tratta dal testo preparato da Stefano Rodotà per la conferenza Responsabilità sociale condivisa, svoltasi a Bruxelles il primo marzo dell’anno scorso. L’articolo si distingue per la chiarezza di argomentazione e di esposizione. (S.L.L.)
Stefano Rodotà

Nel 2004 un noto studioso italiano, Franco Cassano, ha pubblicato un libro intitolato Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni (Dedalo). Perché la cittadinanza viene considerata direttamente collegata ai beni comuni? E perché ci si riferisce a questi beni attraverso un ossimoro, mettendo la follia accanto alla ragione? In effetti, dobbiamo renderci conto che sta emergendo una nuova razionalità e che dobbiamo tener conto di questi cambiamenti, con le nuove forme di razionalità sociale, economica, culturale e politica che ne derivano.
Negli ultimi anni siamo stati testimoni di un'importante riformulazione del concetto di cittadinanza: non significa più soltanto l'appartenenza a un paese dato, ma piuttosto descrive la condizione degli individui nel mondo. Ogni persona, cioè, è portatrice di un «insieme di diritti» che vengono esercitati in qualsiasi paese. Questa nuova e globale cittadinanza caratterizza e segue la persona dovunque essa sia. Di conseguenza, l'intero mondo diventa «un luogo comune». Nascono così nuovi problemi di eguaglianza di solidarietà. Diritti della persona e beni comuni diventano mutualmente collegati. Questa cittadinanza in prospettiva senza limiti solleva immediatamente due problemi. Il primo ha a che fare con la qualità reale della cittadinanza. Non è più un attributo formale - un insieme di diritti e doveri inseriti in una prospettiva statica. Piuttosto, si tratta di un insieme di poteri ed opportunità che ogni individuo deve poter realizzare - utilizzandoli per determinare i meccanismi di partecipazione nella politica e, più in generale, nella vita pubblica, che è precisamente la vita della polis (...).
Ma l'espansione della cittadinanza avanza contemporaneamente alla tendenza di mercato verso la privatizzazione di un numero crescente di beni. Lasciatemi fare un riferimento storico. Nell'ottobre 1847, poco prima della pubblicazione del Manifesto di Marx ed Engels, Alexis de Toqueville scrisse anticipando il futuro: «Presto la battaglia politica sarà tra chi ha e chi non ha; la proprietà sarà il grande campo di battaglia». Questa battaglia è continuata da allora senza interruzione, anche se oggi non ha più al centro solo la terra ma tutti i beni vitali, le cose immateriali, l'aria, l'acqua, la conoscenza. Il campo di battaglia si è ingrandito. Invade ormai tutto il mondo e include molti altri diritti, diritti che sono stati ridefiniti, riscritti, non più limitati ai singoli ma che vanno interpretati nel senso di diritti condivisi.
La questione dei beni comuni è essenziale. Nuove parole attraversano il mondo e interpretano il cambiamento d'epoca - open source, free software, no copyright, libero accesso all'acqua, al cibo, alle medicine, alla conoscenza, a Internet, considerati come diritti fondamentali di ogni persona. Il conflitto tra gli interessi della proprietà privata e quelli collettivi non riguarda solo le risorse scarse, come l'acqua, la cui scarsità rischia di diventare drammatica in futuro. A livello mondiale stiamo sperimentando la costante creazione di nuovi beni, prima di tutto di conoscenza, la cui scarsità non dipende dalla natura ma da scelte politiche e dall'uso improprio di strumenti legali, come i brevetti e il copyright. C'è il rischio di un ripetersi del movimento che ebbe luogo nel XVII secolo in Inghilterra, con le enclosures delle terre comuni che in precedenza erano di libero accesso. Questa scarsità creata artificialmente, imposta, minaccia di privare milioni di persone delle straordinarie possibilità di crescita individuale e collettiva e della partecipazione politica. Il destino dei vecchi e nuovi beni comuni è il punto chiave di un gioco che ha come oggetto la libertà e la democrazia.
La consapevolezza dei beni comuni sta diventando una delle principali caratteristiche della nostra era? La crescente identificazione da parte di molte persone con molti beni percepiti come comuni può aprire la strada verso valori condivisi, verso una comunità di valori? Ci si concentra sempre più su ciò che è stato chiamato l'«opposto della proprietà», su ciò che va al di là della dicotomia/opposizione tra proprietà privata e pubblica. Un'altra forma di proprietà è di fronte a noi. Considerare l'acqua e l'aria come beni comuni è più di un prerequisito per assicurare la protezione ambientale; ha a che fare con la protezione della salute e la salvaguardia della pace - che è sfidata dalle «guerre dell'acqua» che hanno luogo in diverse parti della terra (...).
Prendiamo come esempi di beni comuni l'acqua e la conoscenza. Nel luglio 2010, L'Assemblea generale dell'Onu ha dichiarato che l'accesso all'acqua pulita è un diritto umano essenziale. L'Unione europea e il Consiglio d'Europa hanno considerato allo stesso modo l'accesso a Internet e molti paesi, dalla Finlandia alla Grecia, dall'Estonia all'Ecuador, l'hanno dichiarato un diritto fondamentale di ogni essere umano. Il diritto di accesso sta diventando un concetto chiave. Ma accesso a cosa e come? Anche se accettiamo l'idea che stiamo passando dall'età della proprietà all'età dell'accesso, come ha messo in luce Jeremy Rifkin, l'accesso resta uno strumento che, per la sua piena realizzazione, implica una ridefinizione dello status legale dei beni accessibili. In altri termini, se l'accesso è mediato da un approccio basato principalmente sul mercato, può essere vanificato per milioni di persone, come una chiave che apra una stanza vuota. Questi beni riflettono interessi collettivi, sono finalizzati alla realizzazione di bisogni collettivi, devono rendere possibile il rispetto effettivo dei diritti fondamentali. Sono caratterizzati da una proprietà diffusa, sono di tutti e di nessuno. Riflettono la dimensione del futuro, per cui devono essere gestiti anche negli interessi delle generazioni future, rendendo effettiva la solidarietà intergenerazionale. In questo senso, sono una vera e propria «eredità dell'umanità» (...).
Torniamo all'acqua. Ho sottolineato che ci sono due tipi di scarsità: naturale e artificiale. Il movimento per dichiarare l'acqua un bene comune esiste ormai dappertutto nel mondo. Ricordo il caso di alcuni comuni (Parigi e Berlino, per esempio) e quello che sta succedendo in Italia, con il referendum per l'acqua pubblica. Al tempo stesso dobbiamo considerare il fatto che in questo preciso momento 900 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile e che la crescente mancanza di acqua rende sempre più critica la situazione agricola in varie regioni del mondo. È stato previsto, per esempio, che nel 2050 il 90% della popolazione del Maghreb avrà seri problemi di accesso all'acqua.
L'orizzonte dei beni comuni include anche altri beni, prima di tutto la salute e l'alimentazione (...). Per la salute, siamo all'incrocio tra conoscenza e il diritto fondamentale alla salute. La questione dei brevetti dei medicinali è stata ed è ancora un vero e proprio campo di battaglia (...). La questione cruciale è se, quando, dove, come la conoscenza che sta dietro la produzione di medicinali, che dipende dai meccanismi della proprietà privata, sarà o potrà essere oggetto di una metamorfosi, totale o parziale, e diventare un vero bene comune.

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