“L’Europeo” dell’8 dicembre 1984 pubblicò come anteprima l’introduzione al libro su Leo Longanesi di Indro Montanelli e Marcello Staglieno. E’ da lì che ho recuperato questo brano aneddotico. (S.L.L.)
Leo Longanesi nel 37 con Paolo Balbo e con il di lui padre, l'alto gerarca, aviatore ed ex quadrumviro fascista Italo. |
A differenza di tanta gente che ignora quello che sa, Leo era fra i pochissimi, forse l'unico, a sapere anche quello che ignorava. «Bello, bello!», disse una volta a Moravia che gli portava un racconto per Omnibus. «Come fai a dirlo», fece Moravia, «se non l'hai ancora letto?». «Infatti, se l'avessi letto, non lo direi». E, appena l'autore se ne uscì, gettò il manoscritto sul tavolo di un redattore e ingiunse: «Porta in testa il capoverso di coda. Moravia è come le stoffe inglesi: il rovescio è meglio del diritto».
(...)
Uno sguardo, una parola, un gesto gli bastavano a ricostruire una persona e a pronunciare su di essa giudizi spietati e irrevocabili. Un giorno raccontò d'essere diventato antifascista, in tram, guardando il didietro di un console della milizia in piedi davanti a lui. La rappezzata borghesia italiana lo mandava in bestia, ma la vista di un operaio ciondoloni gli faceva invocare spietate repressioni capitaliste.
Quando scoppiò la guerra disse a un amico: «Che catastrofe! Pensa a quanti reduci avremo, quando sarà finita». Questi famosi detti di Longanesi - ci sarebbe da compilarne volumi - facevano immediatamente il giro degli amici (e nemici), creandogli intorno un'aureola ingannatrice di uomo sarcastico e paradossale, imprevedile.
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