8.11.12

Palermitani di mare e di terra (di Roberto Duiz)

Su “La Stampa” alla vigilia dei solenni festeggiamenti di Santa Rosalia, l’itinerario curato da Slow Food per le pagine dedicate al bello e al buono è dedicato alla capitale della Trinacria. E’ una paginetta ben scritta e piena di suggestioni che in me rinnova nostalgiche memorie. La consiglio a tutti gli amanti della città: poco si apprende di nuovo, ma molto si rammenta e, forse, si rivive. (S.L.L.)  

La cripta di Santa Rosalia  nel santuario del monte Pellegrino (foto Giubit, particolare)
La bellezza che non sfiorisce
di una città ricca di tradizioni
tra la processione di Santa Rosalia
e una spiaggia da sogno.

Tra Palermo città e Mondello, la spiaggia dei palermitani, si allunga e s’innalza il Monte Pellegrino, corpaccione di roccia irsuto di piante che Goethe, nel suo Viaggio in Italia , non esitò a definire «il più bel promontorio del mondo». Alle pendici, da un lato il Parco della Favorita, di origini aristocratiche, un tempo territorio di caccia e di esperimenti agricoli e oggi Riserva Naturale. Dall’altro una delle spiagge più paradisiache d’Italia (e non solo), che da giugno a settembre si trasforma in un inferno di capanne-cabine appiccicate una all’altra e cataste di corpi arrostenti al sole nei pochi interstizi della baraccopoli balneare liberi da pedaggio. Visto dalla piazzetta di quello che fu un borgo di pescatori, via via espanso con eleganti ville liberty poi inframmezzate da disarmonici esemplari di edilizia Anni 60/70, il Monte sembra un grosso cane galleggiante, sdraiato col muso spalmato sul mare e lo sguardo languido vagante sull’orizzonte. Sotto la pancia gli scorrono Villa Igea, gli scogli dell’Acquasanta, l’Arenella e l’Addaura, con le sue grotte evocanti presenze preistoriche.
Dunque, il Golfo di Mondello, distesa di sabbia fina lunga un chilometro e mezzo che si protende per andare ad appoggiarsi sulla massa rocciosa della Riserva Naturale di Capo Gallo, sorta di Colonne d’Ercole. Nella prefazione al libro di Benvenuto Caminiti, Racconti di Palermo, Daniele Billitteri precisa: «Lungo questo panorama eccessivo nel bene e nel male (grande vista e grande feto) si affacciano borgate altrettanto eccessive, borgate dove stanno i palermitani del mare, ben diversi dai palermitani della terra, quelli “metropolitani” che vivono nel cuore pulsante dei quattro mandamenti spaccati dall’incrocio tra il Cassaro e la via Maqueda».
L’idea rivoluzionaria di promuovere Mondello al rango di prestigiosa (ma non esclusiva) stazione balneare fu dell’imprenditore milanese Luigi Scaglia, a cavallo tra ‘800 e ‘900, subito dopo la bonifica della zona diventata paludosa e malarica. Un progetto grandioso, il suo, che il Consiglio comunale approvò. Come successe, poi, che la realizzazione del progetto stesso venisse affidata all’Anonima Società ItaloBelga, è uno dei tanti misteri siciliani. Certo è che lo Scaglia non la prese affatto bene. Sfrattato dal suo sogno, minacciò energiche azioni legali per rivendicare la sua primogenitura. Tutto si risolse in fretta, con un volo da una finestra dell’Hotel Excelsior di Roma, e ogni querelle evaporò sull’asfalto. Sulla volontarietà di quel tuffo scellerato, subito archiviato sotto la voce «suicidio», pochi avrebbero messo la mano sul fuoco. Ma tant’è. E la Mondello balneare nacque sulla base delle idee di chi l’immaginò, ma via via sfrondandole del senso originario, con gli occhi puntati solo agli affari. Simbolica, in questo senso, la scelta di Mondello come location per Il Gattopardo di Visconti, versione cinematografica del romanzo di Tomasi di Lampedusa il cui motto è «tutto cambia perché nulla cambi». E lo sfruttamento della spiaggia da parte chi ce l’ha ancora in concessione, trasformandola in baraccopoli per quattro mesi l’anno e rendendola umanamente frequentabile solo nel fuori-stagione continua implacabile, sordo ad ogni rimostranza, protesta e pietà ambientale.
Così d’estate è il caso di ritirarsi sul Monte, inerpicandosi tra le pinete che procurano refrigerio al caldo infuocato, per sentieri ombrosi che conducono sempre più in alto. Lassù si rifugiò, nove secoli fa, Rosalia Sinibaldi, pia nipote di Guglielmo II che ai rituali di corte preferì l’eremitaggio per conservare la sua verginità. Santa Rosalia divenne patrona di Palermo cinque secoli dopo, quando, secondo la leggenda, apparve in sogno a un cacciatore indicandogli il luogo dove giacevano le sue reliquie. Queste furono recuperate e portate in processione: e di fronte a loro la peste, che stava affliggendo la città, si dileguò. Da allora il rito, chiamato «U fistinu», si replica ogni anno, dal 13 al 15 luglio, dagli spettacoli in città alla solenne processione delle reliquie. Tre giorni di festa in cui si consumano pietanze della tradizione palermitana: pasta con le sarde, lumache, pannocchie e polpi bolliti, spincione e simenza. L’umida grotta in cui dimorò, diventata Santuario e tripudio del kitsch, si affolla ancor più di visitatori. Riprodotta tutta dorata e rinchiusa in una teca di vetro, Rosalia sta, con espressione imperscrutabile da Gioconda, attorniata da omaggi di cui non avrebbe saputo che farsene anche in vita. Quando il sole si nasconde dietro Capo Gallo si accendono le luci delle case abusive che l’hanno aggredito e Pizzo Sella diventa un albero di Natale, fuori contesto come le bancherelle di paccottiglie che braccano l’eremo di Rosalia. Stridori struggenti che riaffratellano i palermitani del mare con quelli della terra.

"La Stampa", 12 luglio 2012

1 commento:

Bibione Hotels ha detto...

il passato storico è così ricco e interessante

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