“E’ un errore pensare che mafia e criminalità organizzata indichino la stessa cosa. Le mafie implicano ‘connivenze’ e ‘convivenze’ con poteri legali, politici ed economici, sono un sistema di potere” – così Tonio Dell’Olio, responsabile di Libera Internazionale e direttore della Cittadella in Assisi, ha esordito nell’incontro con Vandana Shiva svoltosi alla Sala dei Notari di Perugia il 9 novembre. Ha aggiunto: “Nel mondo è sempre più evidente il collegamento tra mafie capitaliste, capaci in tempo di crisi di accumulare e muovere ingenti ricchezze, e capitalismo mafioso, tipico delle grandi finanziarie e delle multinazionali”. La manifestazione, organizzata da “Perperugia e oltre” e da “Libera Umbria”, aveva un titolo a maglie larghe, Dalle colture alle culture, ma il taglio che i due hanno dato al racconto si connetteva alle loro esperienze e all’impegno attuale.
Vandana Shiva è una filosofa, economista, ambientalista indiana, il cui attivismo culturale e sociale gode da tempo di attenzione mondiale. E’ fondatrice della associazione Navdanya (“nove semi”), che – a partire dall’India – raccoglie e custodisce i semi delle colture tradizionali e aiuta le comunità contadine in varie parti del mondo a resistere agli Ogm e alla pressione dell’imperialismo agricolo. Dell’Olio è uno dei preti cattolici più noti per il suo impegno sociale in Italia (carcere, recupero dei drogati e dei giovani delinquenti) e fuori (“Pax Christi” e Libera). Un particolare rapporto lo lega al popolo palestinese e alle comunità contadine dell’America latina.
Dell’Olio racconta episodi emblematici di “terra violentata” e “depredata”: in Guatemala, ove leggi infami riconoscono il titolo di proprietà sui terreni ma non sul sottosuolo, permettendo la forzata sottrazione di terreni ai coltivatori per consentire l’estrazione di materie prime; in Colombia ove le fumigazioni che dovrebbero far “guerra alla droga” non distruggono solo piantagioni di coca, coltivazione ancestrale degli indigeni, ma avvelenano indiscriminatamente uomini, piante e animali, senza con ciò fermare la potenza dei narcos; in Honduras ove in territori amplissimi vige la monocoltura della palma nana e del biocombustibile. Il prete di “Libera” indica le forze, spesso coalizzate, che muovono contro i contadini (multinazionali e latifondisti, governi, magistrati e poliziotti corrotti, eserciti regolari e organizzazioni criminali), narra di dure resistenze e lotte vittoriose, di contadini e capi sindacali ammazzati dalle mafie per piegare le popolazioni e di esperienze di liberazione tra i Sem Terra del Brasile o nelle comunità colombiane.
Vandana Shiva parla di semi. Da una parte quelli brevettati da Monsanto, Syngenta ecc., che non si rigenerano: “Il mito che gli Ogm siano la panacea per la fame è pericoloso: essi non aumentano la resa agricola, sono più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, lavorano contro gli interessi dell'umanità”. Racconta dell’India:“L’unica coltura Gm ampiamente introdotta, finora, è il cotone Bt, diffuso attraverso una pubblicità fraudolenta. Ai contadini è stato fatto credere che si sarebbero arricchiti comprando i nuovi semi, che avrebbero incrementato le produzioni. Di 200 mila suicidi di agricoltori in India la maggior parte sono concentrati nei settori del cotone Bt: si indebitano per comprare i semi dalle multinazionali e non riescono a pagare”. “Navdanya – aggiunge - ha creato banche del seme: aiutiamo gli agricoltori a coltivare il cotone biologico e a trovare mercati. Gli agricoltori biologici guadagnano assai più degli agricoltori Ogm: fino a dieci volte”. La studiosa indiana non teme solo la scomparsa della biodiversità e della “sovranità alimentare”, ma anche una contaminazione genetica capace di aggredire le colture biologiche e l’abuso di sostanze chimiche tossiche legate all’aumento di parassiti.
Sul ruolo delle mafie la celebre attivista “no global” è più prudente di Dell’Olio, pur non negandone un peso nell’uccisione di contadini e attivisti, ma è drastica sulla “mafiosità” delle multinazionali, sulle loro capacità di corruzione (“anche della scienza”) e sullo stretto connubio con molti governi: “L’uso della forza è diventata la norma di fronte alle proteste. In una democrazia – che si suppone sia dal popolo, del popolo e per il popolo – le proteste e i movimenti sono manifestazione di ciò che la gente vuole o non vuole. Ascoltare è un dovere democratico. Ma i governi stanno diventando il governo delle corporation e questa mutazione trasforma la democrazia in fascismo. Uno Stato privatizzato aziendale comincia a vedere come una minaccia la lotta per il bene pubblico e la democrazia economica dei cittadini”.
Sono tesi non nuove, ma non sembrano aver perso attualità per le settecento e più persone che riempiono come un uovo la sala perugina, spesso dividendosi le cuffie per capire l’inglese (solo 350 quelle disponibili). Il successo dipende dalla qualità dell’incontro, garantita dal prestigio delle associazioni organizzatrici, ma ancor più dal fatto che questa “iniziativa culturale” contiene assai più politica di quanto non riescano ad esprimerne partiti e simili. E per questo sulle poltrone, sugli scranni laterali, seduta per terra, appiedata in fondo c’è tanta sinistra perugina.
Restano i dubbi sull’approccio “no global”. E’ certo che le politiche agricole mondiali ripercorrono la via dell’imperialismo, è forse vero (lo sostenne uno dei fondatori del “manifesto”, il compagno scienziato Cini, di recente scomparso) che diversità è il nome nuovo dell’uguaglianza. Tuttavia, di fronte a poteri anche criminali sempre più concentrati oltre che ramificati, non convincono il “locale” e il molecolare, la mitologia delle “terre liberate” o l’esaltazione della varietà eterogenea dei movimenti contro la globalizzazione neoliberista e la crisi che ha prodotto. Con tutte le cautele del caso, prima o poi, a una strategia unificante, a una rivoluzione dell’uguaglianza e della diversità, alla fondazione di un nuovo potere democratico mondiale, bisogna tornare a pensare.
"micropolis", novembre 2012
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