Ho rintracciato il racconto che segue, in formato PDF, nell’Archivio di Franca Rame (http://www.archivio.francarame.it/home.html ). Nella titolazione (che porta scritto “due grifone” e non “due grifoni”, probabilmente per un errore di battitura) sono indicati come autori Dario Fo e Franca Rame, anche se – in coda – il testo è firmato dal solo Fo. Non ne conoscevo l’esistenza, ma apprendo dalla rete che questa “ascensione al cielo”, del 1998, è stata pubblicata in volume da Sinnos nel “001 con le illustrazioni di Rachele Lo Piano.
Il racconto è parodia dell’encomiastica “apoteosi”, con cui talora i poeti di corte raccontavano l’ascensione al cielo dell’imperatore appena morto e subito divinizzato. Si inserisce in questa tradizione la conclusione con l’ascensione al cielo di Gesù delle storie evangeliche cristiane. L’Alessandro di questo racconto sale in cielo (nella luna precisamente), ma non vi resta. Tipico del premio Nobel è il ri-raccontare la storia del “grandi” attraverso l’immaginazione e il linguaggio “bassi” della tradizione plebea, contadina soprattutto. Da questa modalità “carnevalesca” che trova pochi modelli letterari e molta materia nell’oralità era già nato Mistero buffo, da molti ritenuto il capolavoro di scrittura drammaturgica di Dario Fo, oltre ad essere il suo spettacolo più rappresentato.
La paginetta che qui riprendo non è certamente la più bella della coppia Fo-Rame, tuttavia alcuni momenti sono memorabili: l’accoppiamento dell’aquila e del leone, il dialogo in cielo tra Alessandro e i suoi trasportatori, la squallida fine del grande imperatore. (S.L.L.).
Alessandro Magno, Bronzetto equestre, Museo Archeologico di Napoli |
DARIO FO E FRANCA RAME 17 aprile 1998
"L'ascensione di Alessandro Magno portato in cielo da due grifone"
(dal romanzo greco dello pseudo-Callistene vissuto ad Alessandria d'Egitto nel IV sec.d.C.)
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Alessandro Magno era un imperatore molto potente. La sua passione era scoprire il mondo, ma non faceva del normale turismo che gli desse la possibilità di conoscere i paesi nuovi, la gente nuova. Il suo turismo era molto particolare; voleva scoprire tutto per conquistare, possedere a costo di distruggere. Per lui la conoscenza significava potere, significava imporre sottomissione. E laddove ne fosse ostacolato risolveva con un massacro, una strage.
In verità non gli importava più di tanto gestire, governare un regno – gli bastava poter dichiarare "Lo posseggo!", anzi, "L'ho posseduto, è stato mio!". Tant'è che spesso dopo averli rapinati per bene, abbandonava quei luoghi per buttarsi a nuove conquiste; quindi dalla Persia - suo regno principale - conquistò l'Egitto e scese fino all'India.
Sulla carta possedeva il più grande impero che uomo al mondo avesse mai conquistato. Ma per gestire e governare un impero del genere Alessandro avrebbe dovuto risiedere a lungo su ogni territorio: conoscerne i problemi, organizzare un'amministrazione, le vie di comunicazione, i mercati; occuparsi dei terreni agricoli, quindi delle acque, dell'irrigazione e dei fiumi navigabili; per non dire dell'emanare leggi e farle rispettare. Ma Alessandro Magno non aveva tempo, doveva sempre proseguire, andare altrove, alla conquista d'altre terre; sottomettere altri popoli, abbattere mura e torri, soggiogare.
Ancora giovane e avendo collezionato un immenso impero, seppur aleatorio, si dedicò alla raccolta e selezione di animali di ogni tipo e razza. Si dilettava a incrociare animali di specie diversa, ottenendone strane creature, spesso eleganti e curiose, talvolta chimere e mostri. Possedeva un serraglio smisurato. Il suo sogno era di riuscire a far accoppiare i due animali considerati più potenti: il leone e l'aquila. Provò con mille espedienti, ma era difficile riuscire a fargli fare l'amore: quei due animali non provavano nessuna attrazione sessuale tra di loro. Infine, li ubriacò di cibi e bevande altamente afrodisiache, quindi ordinò ad una troupe di danzatori maschi e femmine, specializzati in figurazioni d'amplessi al limite dell'osceno, di esibirsi per quelle due bestie, coinvolgendole entrambe nel gioco di accoppiamenti contorti ed acrobatici. E qui la cosa cominciò a funzionare: la leonessa si dimenava all'impiedi come un'odalisca; l'aquila svolazzava intorno sbattendo le ali come mantelli e avviluppando la leonessa che sputacchiava penne ad ogni amplesso.
"Ci ho addosso una voglia bestia! - starnazzava roco il re degli uccelli - Mi rotolerei come una scrofa addosso a te bella zozzona... ma perdio!, tu puzzi come una fogna!"
"E' bella la tua di puzza... A parte che quelle tue piume che mi sventoli addosso riescono solo a farmi vomitare".
Ma dagli e dagli, i due animali, alla fine, si accoppiarono, con ruggiti e ululati di piacere. Da quel folle amplesso, nacquero due "grifoni", i mitici esseri con il corpo di leone e la testa e le ali d'aquila. Ognuno sfoderava quattro splendenti ali. I due esemplari, ancora cuccioli, erano già abbastanza imponenti e terrificanti.
Alessandro aveva un programma: crescerli in fretta e poi servirsene per farsi trasportare in volo più in alto possibile nel cielo. La madre leonessa li allattava, ma il nutrimento che quei due cuccioli riuscivano a poppare dalle sue sei zinne non era sufficiente a soddisfare il loro appetito. Alessandro diede ordine che venissero allattati anche da donne; ogni giorno, due a due, diecine di giovani nutrici offrivano le loro poppe ai due mostri-cuccioli... Le più svenivano durante la poppata.
Dopo un anno i grifoni erano cresciuti e possenti, ognuno sbatteva le sue quattro ali e si alzava in volo con grande facilità. Alessandro impose un largo giogo al collo dei due grifoni accostati, quindi vi appese al centro una grande cesta, nella quale si sistemò comodo. Si era procurato una canna molto lunga, sulla cui cima aveva infilzato un fegato di cavallo, che era cibo assai appetito dai grifoni, e da dentro il cesto la issò in alto, sopra le teste delle bestie, che allungarono golosi il collo verso il malloppo di fegato, sbattendo le ali, per raggiungerlo. Così i due mostri volanti trasportarono su, sempre più su nel cielo, lo scaltro Alessandro.
Ormai lo strano carriaggio aveva superato le cime dei monti più alti... Alessandro Magno scrutava l'orizzonte e ammirava le terre a lui ancora sconosciute... Fra sé commentava: "Splendide davvero, ma ne ho abbastanza di regni, territori, guerre e conquiste..".
"Certo... che vantaggio ne hai tratto, poi?!"- gli fece eco una voce imponente.
"Chi è che mi parla?". Alessandro si guardava intorno ma non vedeva nessuno.
La misteriosa voce continuava: "Ti capisco. E chi non si scoccerebbe di far massacrare il proprio esercito, solo per riuscire ad annientarne due o tre altri dei nemici".
"Si può sapere chi mi parla? - urlava quasi isterico Alessandro.
"Noi!"- risposero all'unisono i due grifoni.
"Voi? Da chi avete appreso a parlare con voce e linguaggio da uomini?".
"Le nostre nutrici, da loro, col latte abbiamo succhiato anche le parole... Ad ogni modo... Ti stavamo dicendo, caro imperatore... Visto che ti sei scocciato ormai di conquistare terre, dopo averle insozzate di sangue, adesso t'è preso lo sfizio di conquistarti il cielo?! ".
"No, veramente io ero solo curioso di vedere... osservare dall'alto il mondo... "
"Taci, impostore" - lo insultano sempre all'unisono i due grifoni - e tanto per incominciare tira giù quella canna con quella schifezza di fegato che ci hai appeso!".
"Che schifezza? Non è il vostro cibo più appetito?".
"Macché, te l'abbiamo fatto credere... Il nostro cibo più appetito sono gli uomini".
"Come?"-"Sì! Noi ci abbuffiamo solo della carne degli umani. E il prossimo pasto ce lo faremo con te! Ti spiace?".
Alessandro sbiancò in viso per lo
spavento e, forse per la prima volta in vita sua, si sentì tremare: "Voi volete mangiarmi... divorare me che vi ho creato?!".
"Hai ragione - risposero i grifoni - prima ci pare giusto che ti si permetta di terminare il tuo viaggio. Ti porteremo fin sulla luna!".
Detto, fatto, sbattendo le ali ad un ritmo forsennato, i grifoni raggiunsero la luna e planarono su una gran distesa di polvere. Venne subito loro incontro una processione vociante di strani esseri. Erano uomini e donne che assomigliavano a statue mutilare, alcuni erano senza testa, altri senza braccia... altri ancora col corpo divelto, squarciato, eppure si muovevano quasi senza impaccio.
"Ma chi sono? Chi li ha ridotti a 'sto modo?" domandò sconvolto Alessandro.
"Non li riconosci? In gran parte è opera tua e di altri magnifici conquistatori al par tuo. Forse ti sei scordato di quante teste hai fatto mozzare? E donne squartare coi loro ragazzini?".
I tronconi d'uomini, quasi danzando, si fecero intorno al tre e, chi possedeva ancora una testa sputò in faccia ad Alessandro. Altri gli orinarono addosso, altri ancora, dinfrà le natiche, sparacchiarono smerdazzi orrendi. Alessandro si trovò concio e impanato d'ogni zozzeria. Ma la processione non era finita. Si videro venire avanti mostri orrendi, bestie con teste umane, uomini con capocce d'animali e strane creature con due teste, tronchi di caprone con seni di donna e faccia di maiale. Bestie che strisciavano sul ventre come serpenti ma mostravano volti da scimmia e, sul dorso, gobbe da cammello.
"Ma questa non è solo opera mia!" cercò di difendersi Alessandro.
"Infatti non sei il solo al mondo che si diletta a crear mostri. Ma osserva tu con i tuoi compari pazzi fanatici, che avete combinato!".
Quindi, sghignazzando, i due grifi sollevano Alessandro e lo scaraventano giù dalla luna. L'imperatore rotola nel vuoto, scomparendo ogni tanto fra le nuvole. Era talmente terrorizzato che non gli riusciva nemmeno di far sortire un gemito. La terra gli veniva incontro a velocità incredibile... stava già per schiantarsi al suolo... quando i due grifoni lo raggiunsero e lo abbrancarono, evitando che si riducesse a una marmellata. Ma per tanto spavento ormai Alessandro era del tutto impazzito: gli occhi spalancati come di vetro, biascicava parole senza senso apparente, si muoveva a scatti, con fatica. Era ormai ridotto ad un vecchio canuto. Dov'era finito l'incedere possente e il magico sguardo del divino imperatore? A parte qualche suo fedele ufficiale, nessuno ormai riconosceva in quel relitto il grande Alessandro. Lo nascosero in una grotta dove visse come animale in gabbia fino alla fine dei suoi giorni.
Affinché l'Impero non crollasse e non fosse invaso dai tanti nemici che Alessandro Magno si era creato con le sue guerre ed invasioni, si dovette mentire e dire che egli era in piena salute. Si trovò un contadino che vagamente gli somigliava, non certo colto, ma furbo e abilissimo a recitare gesti e atteggiamenti dell'imperatore. Lo si mise in sella al cavallo regale e lo si fece sfilare per le città per mostrare che l'impero di Persia aveva ancora il suo capo. Ma il vero capo in realtà si era autodistrutto per le sue brame di dominio. Da quell'antro, osservava quello che era stato il suo regno e nei pochi sprazzi di lucidità che gli restavano, meditava sul tragico errore d'aver confuso la conoscenza con il potere.
Dario Fo
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