5.11.12

Lombardo Radice, un matematico vispo come un capretto (Carlo Bernardini)

Nel numero  35  del gennaio 2003, a vent'anni dalla scomparsa del matematico comunista, con il titolo Il tipo Lombardo Radice, “la rivista del manifesto” pubblicò un testo del fisico Carlo Bernardini. Si trattava, in realtà della trascrizione dell'intervento pronunciato da Bernardini al convegno della Fondazione "Istituto Antonio Gramsci" su Lucio Lombardo Radice 'scienziato umanista', tenutosi il 28 novembre 2002 a Roma.

Cogliere la personalità di Lucio quand'era fra noi, vent'anni fa, era già difficile: come fare una fotografia a uno che non stava mai fermo. Adesso, con i tempi che corrono, è diventato quasi impossibile. Bisognerebbe dare corpo con esempi noti a un personaggio non semplicemente ricco di interessi culturali, bensì a un personaggio addirittura intellettualmente ingordo, sempre pronto a gettarsi nella mischia di uno scontro dialettico.
Dov'è, oggi, un personaggio così? Ci sono intellettuali violenti, opportunisti, sopraffattori ma nessuno unisce come univa Lucio, disponibilità e passione, riflessività e impulsi. Non si sarebbe lasciato scappare un problema come il più scaltro dei mercanti non si sarebbe lasciato scappare un affare, non avrebbe mancato di informarsi minuziosamente su una vicenda politica o di costume per poi offrire la sua opinione al pubblico. Era ben consapevole del suo particolarissimo 'presenzialismo' (mi pare che oggi si dica così): ne rideva di gusto, come quando diceva "Sono vanesio, ma non riesco a trovarci niente di male". Oppure, ancora più divertito: "Fabiola mi ha detto: ma è proprio necessario scrivere? Sai che forse ha ragione?". Gli dicevamo: 'onnigrafo' e lui ci era grato, perché 'tuttologo' gli sarebbe suonato insulto.
Non c'era angolo dello scibile di cui non desiderasse sapere. Dalla matematica al mondo cattolico, dalla scuola alla fantascienza, dai diritti umani ai giochi per bambini. Passare le ore con lui era come girare rapidamente un caleidoscopio. Si prestava a fare da 'macchina dei responsi' con i giovani, con le classi: "Fatemi domande" era il suo esordio con gli interlocutori. Come ha ricordato Mario Alighiero Manacorda, una volta Lucio andò in una scuola elementare, mi pare a Pelago, vicino Firenze, dove aveva chiesto ai bambini di 'immaginarselo' prima di incontrarlo: e quelli, giù con il ritratto di un ottantenne che parlava difficile e solenne, con la certezza di essere destinati a un incontro noioso. Ma poi, un bambino scrisse che "invece era vispo come un capretto" e di questo ritratto Lucio gli fu grato per sempre.
Non posso fare a meno di mescolare le mie impressioni e i miei pregiudizi al ricordo di 'Lucio com'era': mi lascio andare a queste divagazioni pensando che è quello che avrei fatto con lui, anche se oggi mi mancherà il suo feedback, la sua reazione sempre utile e istruttiva. Il ricordo di 'Lucio com'era' è oggi per me quasi penoso: da una parte, penso a come avrebbe sofferto per lo stato in cui questo paese si è ridotto, dall'altra, mi manca come avrebbe reagito. Non si può dimenticare che l'aggettivo più calzante, per Lucio, è 'ottimista': di lui, una volta ha scritto Emilio Garroni che "non aveva alcun assillante senso di morte"; ma è evidente che qui la parola 'morte' trascende il corpo e la sua fine biologica e va a toccare eventi inauditi come la cancellazione della memoria, la soffocazione di un'arte o di una scienza, la perdita di una libertà. Quando il matematico José Louis Massera subì le vessazioni di una dittatura sudamericana (Uruguay, circa 1975), Lucio mise in moto la macchina della solidarietà con una irruenza che non ammetteva indugi; e lo stesso fece per il matematico Anatolji Sharanski le cui opinioni venivano represse dai sovietici. I libri di Lucio analizzavano spesso questi casi di "possibile morte spirituale" a seguito di persecuzioni: se di matematici si trattava, eravamo noi colleghi a essere sollecitati per primi; se di altri esponenti della cultura, era all'opinione pubblica che rivolgeva i suoi libri. Analizzava senza perifrasi il comportamento del potere e ne faceva denuncia circostanziata. Ma non era mai disponibile a uscire dai sentieri della dialettica democratica, sicché i suoi interventi nelle aule dense di giovani arrabbiati come quelli degli anni '60 non erano mai condiscendenti verso l'estremismo e il terrorismo. Lucio aveva un preciso senso delle conquiste civili e non aveva certo timore di alienarsi le simpatie giovanili dichiarando incivile l'assassinio di Moro o i proclami dei terroristi di quell'epoca.
Oggi, mi guardo intorno e vedo una grande desolazione. Non mi fanno impressione le vicende delle borse dei valori monetizzabili, perché ormai sapevo che sarebbero andati a finire così. Ma è il tracollo della borsa dei valori 'immateriali' che mi sconvolge e mi fa sentire la mancanza di Lucio. Per esercizio, provo a chiedermi che cosa avrebbe fatto, anche se mi rendo conto di doverlo estrapolare a un contesto inimmaginabile appena vent'anni fa.
Già, che cosa avrebbe fatto Lucio? Certamente, la sua penna (non oso dire il suo computer) avrebbe galoppato come un cavallo infaticabile per pagine e pagine di considerazioni sulla perdita di identità di una tradizione culturale. Rivolte a chi? Infatti, questo è il punto. Ma Lucio avrebbe parlato soprattutto e prima di tutto ai suoi, da 'compagno scomodo' come si era autodefinito entrando nel comitato centrale del Pci. La sua scomodità consisteva poi nel sottolineare e mettere in luce debolezze e insufficienze della grande politica della sinistra: abbiamo fatto tutto ciò che si doveva perché il tema del pacifismo qualificasse tutta la politica della sinistra? Abbiamo fatto le cose giuste per la scuola pubblica? Abbiamo considerato con la dovuta attenzione e con proposte praticabili il problema del lavoro giovanile? E così via: posso solo dire che, se uno come me, insieme a molti altri, pensa che forse non tutto il possibile è stato fatto per rendere l'innovazione sociale apprezzabile e ben comprensibile, Lucio, al confronto sarebbe stato un fiume in piena di 'provocazioni', un flagello.
Purtroppo, il 'tipo Lucio Lombardo Radice' non c'è. Lucio è morto perché non si è risparmiato, come Enrico Berlinguer, come Luigi Petroselli: spiriti a lui abbastanza congeniali. Non c'è tra i Democratici di sinistra, non c'è ancora più a sinistra, non c'è nel sindacato, non c'è tra i liberali-socialisti illuminati, non c'è tra i cattolici che lui rispettava, non c'è tra i nuovi gruppi di intellettuali. Non c'è come tipo umano di questo mondo in cui i valori materiali sono crollati visibilmente in basso, anche prevedibilmente visto il loro carattere prevalentemente virtuale. Ma i valori 'immateriali' sembrano addirittura scomparsi, annebbiati da apparenze, da finzioni pubblicitarie, da negazioni spudorate della realtà etica, dalla cura del 'particulare', come Lucio amava chiamarlo. Perciò, permettetemi di suggerire - e so che a Lucio avrebbe fatto piacere - che dobbiamo fare in modo che ne nasca un altro, per poterlo spalleggiare nella sua critica disinteressata. Non porterà via posti e cariche a nessuno: se sarà proprio come Lucio, sarà solo una buona coscienza incarnata. E anche se questo potrà apparire un'esigenza antiquata e non tanto nello spirito (barbarico) dei tempi, non è poco.

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