Da un “elzeviro” de “la Stampa”, legato all’occasione di un convegno frascatano, recupero la parte meno occasionale (S.L.L.)
Carlo Emilio Gadda |
Nel luglio del 1957, dodici anni dopo l'uscita dei primi capitoli sulla rivista “Letteratura” (e dopo un interminabile braccio di ferro con Livio Garzanti e i suoi editor d'eccezione, Attilio Bertolucci e Pietro Citati), finalmente viene pubblicato Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. E' l'inopinato momento della consacrazione, di critica e pubblico, per un Gadda da tempo disilluso e in disarmo. Opera o anti-opera magmatica babelica labirintica e, insieme, accorato «monumento alla plebe romana» (a più d'un secolo dall'originale del Belli); giallo metafisico, romanzo-poema-grand Opéra, ridda di voci, preziosismi e dialetti, gran «cagnara» insomma: il Pasticciaccio è tutto questo. Nonché la più straordinaria immagine che di Roma e del suo circondario abbia saputo offrire il Novecento… Il territorio «reale» e quello reinventato da Gadda si specchiano come su una scena teatrale...
Straordinario affresco di una storia espressionisticamente disvelata - quella del fascismo ideale ed eterno che traspare sotto quello reale e storico - il Pasticciaccio è anche incredibile fantasmagoria «geografica» che dipinge a tinte vividissime un territorio dall'estensione quanto mai vasta e dalla profondità vertiginosa: dai ruderi romani di Santo Stefano del Cacco alla «gran fiera magnara» di Piazza Vittorio, dalla periferia riarsa di Casal Bruciato all'inestricabile dedalo extraurbano dei Castelli: fino all'inventata e verissima Tor di Gheppio (come immaginario, inesistente nella geografia «reale», è il civico 219 di Via Merulana dov'è ambientato il doppio delitto del «giallo»). Proprio la spazialità, metaforizzandola, dà vita all'ineguagliabile magnitudine del romanzo. Contravveleno eloquente, oggi, in tempi d'imbarazzante inedia linguistica e stilistica: nella nostra narrativa e non solo.
"La Stampa", 3 ottobre 2007
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