Tre anni fa, grosso modo al tempo della nascita di questo blog antologico ove vo raccogliendo disordinatamente ritagli e frattaglie e, insieme, rincorro fantasmi, Gilda Policastro pubblicò su un quotidiano comunista un articolo di ricognizione sui blog letterari, cercando di definirne le tipologie e di esplorarne le potenzialità. Un pezzo di spessore, specie nella rilevazione di tendenze e nella denuncia di scostumatezze. (S.L.L.)
Gilda Policastro |
Francesco Orlando qualche lustro fa scriveva un libro, diventato un capo d'opera negli studi di critica tematica, dedicato agli «oggetti desueti» in letteratura. Non sfuggirebbe oggi a Orlando che la figura del critico in sé andrebbe riannessa a quello stesso repertorio di oggetti vetusti, o di scarto, accostato com'è ormai sempre, il critico, all'esemplare di una razza destinata a scomparire, tanto quanto i luoghi che ne costituiscono l'habitat primordiale: a partire da quelle biblioteche che un loro incolpevole impiegato ebbe a definire, sotto gli occhi esterrefatti dell'utente che ha tramandato l'aneddoto, non luoghi di consultazione ma di conservazione. È tempo dunque di abbandonare queste chiese sconsacrate del culto librario e pensionarne gli spettri cigolanti del Canone, della Tradizione, della Letteratura, per immergersi nel fluttuante universo dei libri che si scrivono sempre più numerosi e che si pubblicano con allarmante gratuità, col favore di internet. Il critico dunque, schiacciato o almeno miniaturizzato dalla supremazia della rete. E chi lo dice? Soprattutto loro, quelli dei blog.
Li chiamano leoni da tastiera, anche se somigliano più a dei tori imbizzarriti: fanno parte di una comunità, in Italia ma anche altrove, non tanto sparuta e decisamente agguerrita, che gestisce, o fruisce, o visita periodicamente o consulta quotidianamente i cosiddetti blog: le «gazzette», avrebbe detto Leopardi, dell'era di internet. Tra questi, negli ultimi dieci anni, svettano sorprendentemente i blog letterari: in Italia nessuno legge, ma tutti parlano di letteratura (anche se spesso le discussioni in rete sul tal libro si aprono con la sintomatica dichiarazione di programma: «io il libro non l'ho letto, però volevo dirne che...»). I blog sono i luoghi più aperti e democratici (perlomeno in potenza) di discussione che si diano al momento: se negli anni Sessanta per parlare di romanzo bisognava andare a Palermo e farsi ospitare da un convegno di musicisti (accadde ai prodromi della neoavanguardia), oggi basta un clic e si può discutere in rete di romanzo, andando cursoriamente, con gli scrittori Wu Ming e Giuseppe Genna, col critico Andrea Cortellessa (che non ha un suo blog, ma ne frequenta alcuni) o con Romano Luperini, professore universitario che ha aperto da un paio d'anni un forum nel sito del suo editore.
Già, perché esistono diverse tipologie, molto differenti in realtà, sotto l'onnicomprensiva etichetta di blog: vi è il sito letterario tradizionale, che è una vera e propria rivista con una redazione organizzata, ma con l'ovvio vantaggio, rispetto a una rivista cartacea, di poter operare in un'area molto allargata, raggiungendo un pubblico pressoché indifferenziato in tempi infinitamente più rapidi, che non passino per l'editing, la stampa, la distribuzione. Tanto che le riviste tradizionali si dotano sempre più spesso di un sito, o di link (cioè di richiami ad esempio del sommario o degli articoli pubblicati) in siti già esistenti. Riviste online sono ad esempio “Carmilla” (www.carmillaonline.com ) di Giuseppe Genna o “Il primo amore” (www.ilprimoamore.com ) di Carla Benedetti e Tiziano Scarpa: nata, quest'ultima, da una secessione consumatasi all'interno di Nazione indiana (www.nazioneindiana.com ) rivista pioniera del genere, e che però di quel primo esperimento interattivo muta decisamente lo spirito, avendo Scarpa e Benedetti deciso di sbarrare lo spazio ai commenti. Il secondo tipo è quello che più propriamente si definisce blog: ossia uno spazio gestito da un unico responsabile, che pubblica (il termine nel gergo è postare) un articolo, una recensione, dando la stura ai commenti. Esempi di questo tipo sono vibrisse (www.vibrisse.wordpress.com ) di Giulio Mozzi - dal cui diario è scaturito il divertente spaccato di bêtise tutta italiana Sono l'ultimo a scendere e altre storie credibili, appena edito da Mondadori - e Lipperatura (www.loredanalipperini.blog.kataweb.it ) di Loredana Lipperini.
Nazione indiana 2.0, nata dalle ceneri della versione precedente, è invece un ibrido tra i due tipi, una sorta di blog collettivo, in cui ciascun redattore è responsabile di ciò che si pubblica, pur essendo per l'appunto la redazione un'entità multipla, costituita da una serie di redattori, più o meno giovani, alcuni dei quali molto seri e motivati a farne uno spazio di confronto reale sui temi di loro competenza, come Franco Buffoni (che prosegue nel blog la sua nota battaglia per i diritti civili) o Andrea Inglese (poeta e critico di poesia).
Polemiche civili e tori scatenati
Dunque, il primo discrimine tra le diverse tipologie è la discussione, aperta o meno. La discussione, ecco. Tutti abbiamo letto sull'argomento trattati e libelli, dai classici ai moderni, apprendendo - a partire dalla Civil conversazione di Guazzo - come, attraverso l'educazione, si possa entrare a far parte di una comunità unita da un interesse particolare, acquisendo tecniche e modi della parola proferita in pubblico. Tali modi variano a seconda del genere: in un convegno o una tavola rotonda si dibatte con argomenti organizzati in un discorso (con maggior rigore formale nel primo caso, con le marche inevitabili dell'oralità nel secondo); l'arguzia e la boutade sono consentite, a patto però che siano il sale, non la pietanza. Le più proficue discussioni nascono, ad ogni modo, a distanza, dalla meditazione di un tema, e dalla replica ex post: «Io non dubito, caro Pasolini», scriveva Sanguineti su «Officina», nel '56: all'apertura conversevole seguiva la polemica ferma, agguerrita eppure civile, a sostegno delle ragioni dell'avanguardia e contro la taccia pasoliniana di «epigonismo».
La discussione in rete ha tutt'altre modalità, a partire dalla compressione temporale in un arco ristretto (Francesca Matteoni di “Nazione indiana” spiega che ogni redattore ha la possibilità di postare un nuovo pezzo rispettando la distanza minima temporale di due ore e la distanza quantitativa massima di cinque pezzi al giorno: che paiono comunque tanti, se il pezzo postato non è di puro servizio). Il dibattito online si fa subito acceso, ma dura pochi giorni al massimo. Se si pubblica, poniamo, un post alle 11.30, alle 11.32 è già partito il flusso dei commenti: se il post è di una firma esterna al circuito (ci tornerò fra un momento) lo spazio di discussione si trasforma immediatamente in un'arena, in cui i tori sono sugli spalti, e a volto scoperto, solitario e inutilmente bardato, magari, dell'incongrua armatura della Formazione Scolastica e Universitaria, c'è il Gran Nemico, che di solito è il critico tout court.
A stretto contatto con la tastiera
I tori sono non solo deliberatamente aggressivi ma sempre pronti, incollati allo schermo (come i personaggi dei romanzi, che non hanno i passaggi obbligati della vita materiale: il giorno, la notte, la veglia, il sonno), sono tori, appunto, e dunque per lo più incornano, solitamente garantiti dall'anonimato (loro): si chiamano «A», «F», «SB», sono non più di venti, rimbalzanti da un blog all'altro, ma danno l'impressione dell'assedio, dell'accerchiamento, alcuni sono incontenibilmente imbizzarriti, e, come pare siano soliti fare i tori più selvaggi, sollevano qualunque cosa capiti loro a tiro, anche ben oltre la loro stazza, per scaraventarla via, lontano, fuori. Ma prima di voler provare ad ammansirli, converrebbe acquisire qualche altro dato preliminare.
I siti letterari si diffondono in Italia ormai quasi vent'anni fa, e proliferano in modo incontrollato nell'ultimo quinquennio, con contatti che si aggirano attorno ai trecentomila al mese, come si apprende dai rilevamenti di BlogBabel, il sito deputato a questo genere di conteggi. E chi sono e cosa fanno, fuori dalla rete, i blogger? Accanto (o intorno, o sotto, o da lato, come direbbe Zanzotto), ai siti vi sono i frequentatori abituali, ovvero i redattori del sito stesso, oppure i responsabili di altri blog, per lo più scrittori o aspiranti tali, traduttori, professionisti di vari settori che vivono per le più diverse ragioni a stretto contatto con la tastiera e dunque, tra un'occupazione e l'altra, commentano un post (o viceversa, magari). A chi voglia frequentare tali spazi in assoluta inconsapevolezza vanno quindi offerti questi due dati preliminari (che ricavo da una conversazione con Giuseppe Genna, antesignano, in Italia, insieme a Giulio Mozzi, del medium): il tempo di permanenza stimato per una pagina è pari, in media, a 19 secondi: la lettura forzatamente distratta riservata al web si presta dunque meglio alla scorsa di commenti estemporanei che al post di partenza. Donde la lapidaria gratuità di molti commenti, genere peraltro in dismissione, a giudizio dei detrattori (tra cui Genna stesso), a fronte di altre possibilità di interazione meno dirette e meglio moderate. Viceversa, l'aspetto rassicurante, ed è il secondo elemento da considerare, è che quei venti commentatori assidui (ossessivi, feroci, ostili) non rappresentano, evidentemente, la totalità dei lettori, se è vero che questa si aggira attorno ai duecentomila contatti, mediamente. È altrettanto vero che quei venti su duecentomila agiscono da disturbatori programmatici: la discussione spesso si incarta su se stessa, i venti si parlano tra di loro, soffocando qualunque intervento serio e qualificato sull'argomento del dibattito in corso.
Cito a mo' di esempio una discussione prodottasi su “Nazione indiana”, tra i siti più visitati (nella classifica di Blogbabel è sesto-settimo, dove il secondo posto, per dire, va al blog di Beppe Grillo). Il tale DR pubblica un pezzo che riguarda, tra l'altro, proprio il blog, e i commenti vi si configurano subito come una discussione trasversale tra due nick.
Ecco un passaggio esplicativo, sostituendo i nick originali con «A» e «B»:
A: «Ma io non tiro acqua a nessun mulino! Mi sto solo chiedendo cosa cerchi qui, dato che non sono né sarò mai un critico».
B: «Per trappolina intendevo il fatto che leggi quello che vuoi leggere tu nei commenti altrui (non ho mai scritto che potevo fare qualcosa di meglio) tanto per fare polemica, trucco che usi spesso».
A: «Ma è quello che ho detto: tu non puoi, assolutamente, fare nulla di meglio».
Potenzialità inespresse
E via così, con una serie di commenti del tutto interni alla discussione e ai proponenti (tanto che uno di loro a un certo punto denuncia di non aver mai visto prima, da quelle parti, il tal «B»). Infine il cosiddetto moderatore si dice costretto a chiudere quella discussione, dopo «l'aspro intervento di DR, che ha causato violenti attacchi ad personam». Se il lettore avesse ancora la pazienza di andarsi a cercare l'intervento di DR, per misurarne l'entità polemica, non lo troverebbe. Ma chi è DR? Guardando nella rete si apprende che DR è noto nel web con il nome di «A». Si ripercorra allora, sia pur entro i famosi 19 secondi necessari e sufficienti, la discussione: è «A» stesso a commentare DR, così che la polemica nel blog sul blog è avviata da un blogger, che poi si commenta da solo. Nessuno si è mai spinto così avanti nell'avvitamento serpentesco, nemmeno Malerba.
La situazione migliora varcando i confini nazionali, dove i blog annessi ai principali quotidiani inglesi o americani, ad esempio, assolvono a una funzione informativa, con minor spazio alle polemiche sterili o autoeferenziali o di parrocchia e di consorteria (ne ha scritto di recente il blogger che si firma SulRomanzo, www.sulromanzo.blogspot.com ). Ma l'impressione è che sia ancora inesplorata la possibilità del medium, relativamente nuovo, e dunque inevitabilmente perfettibile. Se alcuni vi intravedono l'unica o la miglior via per riattivare una funzione critica che non si esaurisca nella vetrina promozionale offerta al singolo libro dai quotidiani o, peggio, nel lavoro in solitaria di costruzione del canone di domani dalle cattedre universitarie, permane nella maggior parte dei lettori di blog una legittima diffidenza rispetto alla capacità di tenere i tori buoni nell'arena lasciando spazio a un agonismo sano, più cerebrale e meno muscolare.
Un frastuono da disciplinare
Sia lecito derogare al divieto autobiografico, deroga che, come nel Convivio dantesco, può darsi in condizioni di particolare urgenza, o in condizioni avvertite come tali. Da qualche tempo pubblico in rete, nei blog letterari, e l'impressione che ne ricavo, malgrado gli incidenti di percorso, è che la circolazione delle idee, quando riescano a emergere dal chiasso dei disturbatori, sia incomparabilmente maggiore a quella di qualunque altro mezzo. Solo, occorrerebbe disciplinare diversamente quel chiasso, attenuarne il disturbo, isolandone alcune frequenze, azzerandone altre.
Ricordo MV, che sbraitava senza risparmio di gentilezze durante una discussione sulla narrativa aperta da un mio post. La incontro a un festival letterario, mi viene incontro melliflua: «piacere di conoscerti». Non mi sento di ricambiare e lei si schermisce con un «beh, ma sai com'è, lì nei blog». Viene da pensare che forse è questo il problema: ripartire da capo, chiedendo ai blogger una costante assunzione di responsabilità, com'è ovvio e persino banale per tutti coloro che scrivono e si esprimono pubblicamente, in un regime di civiltà del dialogo, specie del più libero e democratico, come il blog rivendica a se stesso: «no», le rispondo allora, rovesciando la logica dell'estraneità: «dimmelo tu: com'è?».
il manifesto 25 ottobre 2009
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