Lo ricordo ancora pochi
anni fa nella sua casa di Anghiari canticchiando l’inno nazionale
cinese che aveva imparato da inviato dell’Unità a Pechino nel
primo anniversario della Rivoluzione maoista: «Seduto in tribuna -
raccontava -, due file sotto il timoniere Mao Tse Tung», che lui
pronunciava ancora seconda la vecchia dizione.
Saverio Tutino,
giornalista, scrittore, inventore dell’Archivio diaristico
nazionale di Pieve Santo Stefano è morto ieri a Roma dopo 88 anni
vissuti intensamente. Era nato a Milano il 7 luglio 1923 dove,
studente di giurisprudenza, lo colse l’8 settembre e la chiamata
alle armi dei repubblichini. Riparò allora in un campo di rifugiati
del Canton Ticino dove legò con gli ambienti anti-fascisti e si
iscrisse al Pci; fino a rientrare in Val d’Aosta come partigiano
(nome di battaglia Nerio) divenendo capitano e commissario politico
della settantaseiesima Brigata Garibaldi prima e della settima
Divisione Garibaldi «Aosta» poi (sul periodo da partigiano scriverà
nel 1975 La Ragazza scalza. Racconti della Resistenza. Dopo la
liberazione entrò nella redazione de “Il Politecnico” di
Vittorini, e, successivamente, al settimanale comunista “Vie
Nuove”. Fino a passare a “l’Unità”, per la quale fu inviato
in Cina e corrispondente a Parigi (mentre era in corso la guerra di
liberazione in Algeria).
Ma è la sua lunga
permanenza a L’Avana, a raccontare della rivoluzione cubana in
tempo reale, che caratterizza la vicenda giornalistico-politica di
Saverio Tutino (fu lui, in qualche misura, a creare il mito di Cuba e
di Fidel, ciò di cui poi anni dopo si dispiacque) e che lo fa
entrare in certo contrasto, dalla metà degli anni sessanta, con il
suo giornale e con il partito (in particolare con Giancarlo Pajetta)
per il suo convincimento della fertile nascita di un terzo
schieramento sulla scena internazionale, quello dei «non allineati»
del sud del mondo, quasi a sfidare la rigida logica della guerra
fredda tra le due superpotenze.
I suoi testi La
Rivoluzione cubana (1966) e soprattutto L’Ottobre cubano
(1968) e Gli anni di Cuba (1973) furono fra i primi a
«spiegare» in Italia quell’evento che tante passioni suscitò in
quegli anni turbolenti e, per quanto inevitabilmente datati
(d’altronde è il loro merito), furono e restano testimonianza e
fonte autorevole per la comprensione della storia del castrismo. Così
come preziosi per capire la figura di Ernesto Guevara sono: Il Che
in Bolivia e Guevara al tempo di Guevara (1996).
Nel 1975 Tutino è nel
gruppo fondatore di “la Repubblica” per la quale lavorerà
(occupandosi soprattutto di America latina) per un decennio. Anche
qui come a “l’Unità” il rapporto si fa conflittuale. Tutino ha
una forte personalità e difende angolature e ragionamenti che
mettono in discussione visioni secondo lui ancora troppo
convenzionali; nella costante ricerca intellettuale di trame e
connessioni (a costo di essere accusato di «dietrologia») che
spiegassero gli eventi che si consumavano via via nel mondo e in
Italia (compresa la stagione della lotta armata delle Br). Ma spesso
aveva ragione o comunque ti aveva insinuato un fondato dubbio.
Anche su Cuba rivede e
denuncia sempre più polemicamente l’obsolescenza del lider maximo
Fidel Castro. Perché in realtà, come racconta in Cicloneros
(1994) e nella sua autobiografia, L’occhio del barracuda
(1995), neanche nei suoi ultimi anni a Cuba fu particolarmente amato;
sempre per l’impertinenza di voler raccontare tutto quello che
vedeva; ed esprimere liberamente ciò che pensava.
Per tutta la sua vita
Saverio Tutino ha tenuto un diario, da cui ha tratto poi lo spunto
per i suoi saggi e racconti successivi: dove ha riportato fatti ed
eventi del tempo reale; per poi rivisitare osservazioni
e sensazioni di quel
vissuto alla luce degli eventi successivi e di riflessioni a
posteriori. Ed è proprio l’invenzione di «raccogliere diari di
persone» la sua opera maestra, che segna la terza parte della vita
di un Tutino via via sempre più dolce, quanto fulminante ed
essenziale nelle intuizioni. Con quell’impellente necessità di
voler preservare e mettere a disposizione di tutti le testimonianze
di vite vissute da gente comune altrimenti perdute; e che hanno fatto
e fanno la storia non «ufficiale».
Saverio ha fondato così
nel 1984 a Pieve Santo Stefano, nella Valtiberina toscana, l’Archivio
diaristico nazionale che raccoglie ormai quasi diecimila diari di
persone; e che ogni anno (la seconda domenica di settembre) promuove
il (non) Premio Pieve. Archivio diaristico che Tutino ha dotato da
tempo anche di una rivista che non poteva che chiamarsi
“Primapersona”. Mentre nel vicino borgo medioevale di Anghiari,
dove era solito passare le estati insieme alla sua compagna Gloria
Argeles, affermata scultrice argentina, Saverio ha fondato nel 1998,
con il professor Duccio Demetrio, la «Libera università
dell’autobiografia», realizzando il sogno di fare della amata
valle del Tevere una vera e
propria «valle della memoria».
E proprio a Anghiari, che
lo ha fatto suo cittadino onorario, Tutino sarà sepolto.
“il manifesto, martedì,
29 novembre 2011
Nessun commento:
Posta un commento