Dal sito dell'ateneo
padovano un altro articolo che invoglia alla speranza e alla
riflessione. Ci servono entrambe con i tempi che corrono. (S.L.L.)
Uno scrittore entra in
aula per condividere il proprio libro preferito con gli studenti.
Eneide di Virgilio, Il deserto dei Tartari di Buzzati e
Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen alle superiori. Il
vecchio e il mare di Hemingway, Lezioni americane e
Marcovaldo di Calvino per le secondarie inferiori. Il piccolo
principe di Antoine de Saint-Exupéry e Le avventure di
Pinocchio di Collodi alle primarie. È una invasione pacifica di
storie e avventure quella proposta dai Piccoli maestri, la
scuola (gratuita) di lettura per ragazzi nata nell’estate del 2011
da un’idea della scrittrice e giornalista Elena Stancanelli e di un
gruppo di autori intenzionati a mettere un po’ del proprio tempo e
della propria passione per i libri al servizio delle scuole italiane.
Il progetto si ispira a
modelli eccellenti: all’esperienza americana dello scrittore Dave
Eggers che a San Francisco, nel 2001, ha fondato 826 Valencia
– un writing center allestito come un galeone di pirati dove
ragazzi dai 6 ai 18 anni, con poche possibilità economiche e molta
voglia di imparare a scrivere, vengono coinvolti in vere e proprie
iniziative editoriali (la Student writing gallery, presente
nel sito della scuola, ospita i loro racconti) – e al progetto
inglese di Nick Hornby, Ministry of stories, con sede a
Londra.
Piccoli maestri si
concentra sul valore della lettura condivisa, intesa come primo e
fondamentale approccio alla narrazione, alla buona comunicazione e,
di conseguenza, alla scrittura. L’idea è semplice: “Gli autori
intervengono in classe proponendo incursioni di lettura – spiega
Stancanelli – Il lavoro non segue uno schema rigido: lo scrittore
sceglie un libro, quello che ha amato di più o quello che ritiene
più giusto (non propone il proprio libro ma quello di un altro
autore, quasi sempre un bel classico, ndr). E se ne fa carico.
Raccontandolo e facendolo leggere ai ragazzi. Per un solo incontro, o
di più se lo ritiene necessario”. Ad oggi, sono una cinquantina
gli scrittori coinvolti, un’ottantina le scuole visitate in tutta
Italia. E il progetto di incontri gratuiti e a “chilometro zero”,
con nuclei operativi locali, sta crescendo ed è già attivo a Roma,
Milano, Torino, Benevento e Venezia, dove il gruppo, guidato dallo
scrittore Tiziano Scarpa, ha deciso di realizzare un blog
indipendente. A Palermo la casa editrice Sellerio si sta impegnando
per riunire un buon numero di autori e dar vita così a un nucleo
siciliano. Ma Piccoli maestri non è il solo progetto a
muoversi in questo senso: esiste anche Scuola Twain, per
giovani di età compresa tra gli 11 e i 19 anni, ideata dal
professore e scrittore padovano Matteo Righetto e dedicata alla
creazione di storie e di una nuova generazione di lettori e
narratori.
Leggere, prima di tutto,
per imparare poi a scrivere (bene). Progetti come questi stimolano
anche una riflessione “romantica” sulla bellezza di un libro e,
ancora prima, di un manoscritto. Cose d’altri tempi? C’è da
chiedersi cosa sia diventata la scrittura ai tempi della tecnologia.
Quanto viene utilizzata oggi la penna? L’argomento è caldo. Mentre
in Finlandia ci si organizza per passare definitivamente dalla
scrittura a mano a quella su tastiera, a partire dal 2016, la
questione viene trattata anche nelle pagine di “The Guardian”. In
un articolo dal titolo Handwriting vs typing: is the pencil
mightier than the keyboard?, pubblicato nel dicembre scorso, la
giornalista Anne Chemin si interroga e interpella il lettore: “Negli
ultimi giorni avrete forse scarabocchiato la lista della spesa sul
retro di una busta o attaccato un post-it sulla scrivania. Avrete
scritto alcune note veloci durante una riunione, ma quando è stata
l’ultima volta che avete redatto un lungo testo a mano? Quanto
tempo fa avete scritto l’ultima lettera utilizzando una penna e un
foglio di carta? […] Una cosa è certa: con la tecnologia le
informazioni possono essere scritte così velocemente che la copia
manoscritta sta scomparendo”. Ma tra scrivere a mano e utilizzare
la tastiera di un pc c’è una grande differenza. “Per gli esperti
di scrittura, penne e tastiera implicano processi cognitivi molto
diversi”, continua Chemin che, nel suo articolo, cita Edouard
Gentaz, docente di psicologia dello sviluppo all’università di
Ginevra, secondo cui “la scrittura a mano è un’attività
complessa che richiede più abilità: percepire la penna e la carta,
muovere lo strumento di scrittura e coordinare il movimento
attraverso il pensiero”. Senza margini e modelli predefiniti, ma
con libertà grafica e una memoria del lavoro svolto fatto di
appunti, note e correzioni che favoriscono quel dinamismo di idee che
sta all’origine di una storia, di una narrazione. Agli ultimi
romantici non resta, dunque, che aggrapparsi al piacere di una
lettura lenta e a una penna stilografica da nascondere nel taschino,
nella consapevolezza che a salvare le belle parole non saranno certo
i pochi caratteri di un sms o una email scritta in tutta fretta, ma
le buone intenzioni e le pazienti letture di appassionati “piccoli
maestri” che ancora ricordano come si scrive in corsivo.
In “Il Bo”, il
Giornale dell'Università di Padova on line, 12 gennaio 2014
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