15.1.15

1977. Ernesto Balducci sul Concordato. Intervista a cura di Rosellina Balbi

ROMA — Padre Balducci, dal Concordato la Chiesa ha tratto più vantaggi o più danni?
La risposta di padre Ernesto Balducci — uno dei maggiori protagonisti del mondo cattolico progressista — è rapida, secca, decisa. «Certamente più danni che vantaggi. Da una parte, la Chiesa ha ritenuto che gli strumenti del privilegio e della partecipazione al potere fossero idonei alle sue attività pastorali; e questo ha comportato una sua compromissione profonda con l'ideologia dominante. Dall'altra parte, nella coscienza comune è nato il sospetto che alla Chiesa stia a cuore solamente il potere. E' questo il vizio di fondo del Concordato: che, peraltro, meriterebbe un lungo discorso a parte».

Che cosa pensa del progetto di revisione illustrato in Parlamento dal Presidente del Consiglio?
«Penso che la bozza Andreotti sia niente più che l'occasione per aprire, senza spirito di rissa, un dibattito nel paese. Il paese è ormai maturo per affrontare lo scioglimento di certi nodi ereditati dal passato. Fino a qualche anno fa, io mi trovavo vicino alla tesi di Jemolo sulle "foglie secche". Ma oggi sono convinto che la coscienza comune sia in grado di intervenire con la decisione e la saggezza del potatore. L'importante è non lasciarsi prendere da im-providi massimalismi».

Utopia e storia

Dunque lei non è per l'abrogazione pura e semplice dei Patti?
«No, io sono per una revisione qualitativa — altri direbbe "profonda" —, che riesca a modificare non solo i contenuti, ma la natura stessa del Concordato; che cioè lo liberi il più possibile dalle coperture costituzionali e lo inserisca nel vivo del processo storico, in vista del suo definitivo superamento».

Ma questa posizione non contraddice la linea di rinnovamento radicale che lei va seguendo da tanto tempo?
«Non mi sembra. Il mio punto di vista attuale l'ho elaborato a lungo, insieme al gruppo redazionale della rivista “Testimonianze” che nel numero che sta per uscire lo esprime con ricchezza di argomenti e di documentazione. Certo, la lotta che da vent'anni ormai andiamo conducendo in nome di una Chiesa più conforme all'ispirazione evangelica, e in nome della laicità delle istituzioni, mi porta ad abbracciare, come ipotesi ottimale, quella della pura e semplice abrogazione del Concordato. Se ripiego sull'ipotesi della revisione qualitativa, è per una più realistica consapevolezza delle difficoltà che si oppongono alla soluzione ottima, ed anche per la convinzione - maturata soprattutto in questi ultimi anni - del valore prioritario che hanno, nel gioco delle contraddizioni sociali, i problemi di struttura: come, ad esempio, i rapporti tra le classi. Quello che conta è togliere gli ostacdi e dare incremento a modi nuovi della coscienza civile e religiosa, ancora minoritari, ma che hanno dalla propria parte il futuro. Forse prossimo».

Vuol chiarire meglio questo punto?
«Un fatto nuovo, che non va sottovalutato, è la transizione rapida e massiccia della coscienza dei credenti (non solo dell'area del cosiddetto dissenso, ma anche delle sfere dominate dall'istituzione, come ha dimostrato il convegno della Chiesa italiana dello scorso novembre) da una fede di impostazione integristica ad una fede che, proprio in ragione delle sue urgenze interiori, postula per un verso la riduzione dell'istuzione dentro i limiti e le garanzie del diritto comune e, per l'altro verso, la competenza delle comunità cristiane locali a rappresentare sè stesse, senza indebite espropriazioni».

Ma non crede che questa transizione sarebbe favorita, appunto, dall'abrogazione del Concordato?
«Mentre continuo a perseguire la fine dello Stato come strumento del regno di Dio, non posso chiedergli di diventare strumento di profezia! Le riforme dello Stato vanno misurate sulle forze politiche reali, sui livelli di maturazione storicamente raggiunti dalla coscienza comune. Molti miei amici, più radicali di me, scambiano le loro legittime posizioni con quelle reali della Chiesa e della società. Io conosco bene quanto sia faticosa la mediazione tra profezia — voi direste utopia — e storia».

Se ben capisco, lei auspica un Concordato che faciliti questa mediazione.
« Appunto. Nella revisione del Concordato sono ipotizzabili norme materialmente nuove, ma contrastanti con il moto di maturazione civile e religioso di cui ho detto; e sono ipotizzabili norme di loro natura aperte al mutamento, capaci cioè di sorreggere il trapasso verso il superamento del regime concordatario. L'importante è stabilire i criteri di discernimento tra le une e le altre. Ad esempio, il criterio della laicità dello Stato, e di conseguenza il rifiuto di ogni trattamento privilegiato alla Chiesa cattolica, sono ormai da considerare largamente acquisiti.

Partecipazione democratica

Ancora: mentre il Concordato esprime una visione dello Stato e della Chiesa come istituzioni tra loro simmetriche, idonee a risolvere i loro rapporti in accordi di vertice, si sta ormai verificando nella nostra realtà sociopolitica, come pure in quella ecclesiale, un largo e molteplice decentramento di potere. La pace tra società civile e società religiosa (che era, poi, l'obiettivo del vecchio Concordato) sarà meglio garantita, in futuro, attraverso i modi della partecipazione democratica, nei quali il pluralismo ideologico e religioso non pregiudichi il perseguimento del bene comune, all'interno di strutture pubbliche. I distretti scolastici, i Consigli di zona, le unità sanitarie, i consultori matrimoniali — tanto per indicare alcuni spazi di democrazia partecipativa — mal sopportano l'ipotesi di lottizzazione tra Stato e Chiesa, mentre prefigurano possibilità di libero confronto, che non abbisognano di tutele concordatarie. Per concludere, in me c'è il sospetto che, allargando in questo modo il dibattito, si possa arrivare a verificare l'opportunità dello stesso superamento del rapporto concordatario».

la Repubblica, 11 febbraio 1977


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