ROMA — Padre
Balducci, dal Concordato la Chiesa ha tratto più vantaggi o più
danni?
La risposta di padre
Ernesto Balducci — uno dei maggiori protagonisti del mondo
cattolico progressista — è rapida, secca, decisa. «Certamente più
danni che vantaggi. Da una parte, la Chiesa ha ritenuto che gli
strumenti del privilegio e della partecipazione al potere fossero
idonei alle sue attività pastorali; e questo ha comportato una sua
compromissione profonda con l'ideologia dominante. Dall'altra parte,
nella coscienza comune è nato il sospetto che alla Chiesa stia a
cuore solamente il potere. E' questo il vizio di fondo del
Concordato: che, peraltro, meriterebbe un lungo discorso a parte».
Che cosa pensa del
progetto di revisione illustrato in Parlamento dal Presidente del
Consiglio?
«Penso che la bozza
Andreotti sia niente più che l'occasione per aprire, senza spirito
di rissa, un dibattito nel paese. Il paese è ormai maturo per
affrontare lo scioglimento di certi nodi ereditati dal passato. Fino
a qualche anno fa, io mi trovavo vicino alla tesi di Jemolo sulle
"foglie secche". Ma oggi sono convinto che la coscienza
comune sia in grado di intervenire con la decisione e la saggezza del
potatore. L'importante è non lasciarsi prendere da im-providi
massimalismi».
Utopia e storia
Dunque lei non è per
l'abrogazione pura e semplice dei Patti?
«No, io sono per una
revisione qualitativa — altri direbbe "profonda" —, che
riesca a modificare non solo i contenuti, ma la natura stessa del
Concordato; che cioè lo liberi il più possibile dalle coperture
costituzionali e lo inserisca nel vivo del processo storico, in vista
del suo definitivo superamento».
Ma questa posizione
non contraddice la linea di rinnovamento radicale che lei va seguendo
da tanto tempo?
«Non mi sembra. Il mio
punto di vista attuale l'ho elaborato a lungo, insieme al gruppo
redazionale della rivista “Testimonianze” che nel numero che sta
per uscire lo esprime con ricchezza di argomenti e di documentazione.
Certo, la lotta che da vent'anni ormai andiamo conducendo in nome di
una Chiesa più conforme all'ispirazione evangelica, e in nome della
laicità delle istituzioni, mi porta ad abbracciare, come ipotesi
ottimale, quella della pura e semplice abrogazione del Concordato. Se
ripiego sull'ipotesi della revisione qualitativa, è per una più
realistica consapevolezza delle difficoltà che si oppongono alla
soluzione ottima, ed anche per la convinzione - maturata soprattutto
in questi ultimi anni - del valore prioritario che hanno, nel gioco
delle contraddizioni sociali, i problemi di struttura: come, ad
esempio, i rapporti tra le classi. Quello che conta è togliere gli
ostacdi e dare incremento a modi nuovi della coscienza civile e
religiosa, ancora minoritari, ma che hanno dalla propria parte il
futuro. Forse prossimo».
Vuol chiarire meglio
questo punto?
«Un fatto nuovo, che non
va sottovalutato, è la transizione rapida e massiccia della
coscienza dei credenti (non solo dell'area del cosiddetto dissenso,
ma anche delle sfere dominate dall'istituzione, come ha dimostrato il
convegno della Chiesa italiana dello scorso novembre) da una fede di
impostazione integristica ad una fede che, proprio in ragione delle
sue urgenze interiori, postula per un verso la riduzione
dell'istuzione dentro i limiti e le garanzie del diritto comune e,
per l'altro verso, la competenza delle comunità cristiane locali a
rappresentare sè stesse, senza indebite espropriazioni».
Ma non crede che
questa transizione sarebbe favorita, appunto, dall'abrogazione del
Concordato?
«Mentre continuo a
perseguire la fine dello Stato come strumento del regno di Dio, non
posso chiedergli di diventare strumento di profezia! Le riforme dello
Stato vanno misurate sulle forze politiche reali, sui livelli di
maturazione storicamente raggiunti dalla coscienza comune. Molti miei
amici, più radicali di me, scambiano le loro legittime posizioni con
quelle reali della Chiesa e della società. Io conosco bene quanto
sia faticosa la mediazione tra profezia — voi direste utopia — e
storia».
Se ben capisco, lei
auspica un Concordato che faciliti questa mediazione.
« Appunto. Nella
revisione del Concordato sono ipotizzabili norme materialmente nuove,
ma contrastanti con il moto di maturazione civile e religioso di cui
ho detto; e sono ipotizzabili norme di loro natura aperte al
mutamento, capaci cioè di sorreggere il trapasso verso il
superamento del regime concordatario. L'importante è stabilire i
criteri di discernimento tra le une e le altre. Ad esempio, il
criterio della laicità dello Stato, e di conseguenza il rifiuto di
ogni trattamento privilegiato alla Chiesa cattolica, sono ormai da
considerare largamente acquisiti.
Partecipazione
democratica
Ancora: mentre il
Concordato esprime una visione dello Stato e della Chiesa come
istituzioni tra loro simmetriche, idonee a risolvere i loro rapporti
in accordi di vertice, si sta ormai verificando nella nostra realtà
sociopolitica, come pure in quella ecclesiale, un largo e molteplice
decentramento di potere. La pace tra società civile e società
religiosa (che era, poi, l'obiettivo del vecchio Concordato) sarà
meglio garantita, in futuro, attraverso i modi della partecipazione
democratica, nei quali il pluralismo ideologico e religioso non
pregiudichi il perseguimento del bene comune, all'interno di
strutture pubbliche. I distretti scolastici, i Consigli di zona, le
unità sanitarie, i consultori matrimoniali — tanto per indicare
alcuni spazi di democrazia partecipativa — mal sopportano l'ipotesi
di lottizzazione tra Stato e Chiesa, mentre prefigurano possibilità
di libero confronto, che non abbisognano di tutele concordatarie. Per
concludere, in me c'è il sospetto che, allargando in questo modo il
dibattito, si possa arrivare a verificare l'opportunità dello stesso
superamento del rapporto concordatario».
la Repubblica, 11 febbraio 1977
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