Jim Gerritsen |
Un piccolo agricoltore
americano contro il gigante Monsanto. E’ Jim Gerritsen, che coltiva
una piccola proprietà a Bridgewater, località rurale del Maine,
negli Stati uniti.Gerritsen è anche il presidente della organic
Seeds Growers and Trade Association, Associazione dei coltivatori di
sementi biologiche. E secondo la rivista “Utne Reader’s” è
anche uno dei «utopisti che stanno cambiando il nostro mondo».
Questo perché l’associazione che presiede, con il sostegno legale
della public Patent Foundation (Fondazione per i brevetti pubblici)
in marzo ha avviato una causa legale contro Monsanto, uno dei più
possenti gruppi industriali dell’agrochimica e biotecnologie al
mondo.
Alla causa lanciata
dall’Associazione dei produttori di sementi biologiche si sono
aggiunte in seguito altri 82 soggetti tra produttori e commercianti
di sementi e piccoli agricoltori: i querelanti ora rappresentano
oltre 270mile persone. La loro azione legale contesta la validità
dei brevetti di Monsanto sui semi geneticamente modificati; inoltre
vogliono cautelarsi da possibili azioni legali del gruppo industriale
nel caso che i loro raccolti risultino contaminati dalle varietà
transgeniche.
E’ una vecchia
questione: Monsanto ha più volte fatto causa ad agricoltori che
accusa di coltivare le sue varietà geneticamente modificate (e
coperte da brevetto), senza pagare le dovute royalties.Ma in molti
casi i coltivatori in questione non hanno affatto usato sementi
Monsanto. Anzi, magari non volevano affatto usarle: il fatto è che i
pollini volano, da una pianta transgenica vanno a fecondare una
vicina pianta della corrispondente specie «non modificata»: è
detta «impollinazione incrociata».
«Il punto di vista di
Monsanto è che in questo caso noi abbiamo la loro tecnologia –
anche se non la vogliamo e ha valore zero sul mercato del biologico»,
spiega Gerritsen al giornale “The Portland Press Herald”, del
Maine: «Noi pensiamo invece che [Monsanto] deve trattenere il
proprio inquinamento dal proprio lato della staccionata».
Per un coltivatore
biologico, trovare nei propri campi specie transgeniche è un danno e
una beffa. Infatti per definire «biologica» una coltivazione, oltre
a evitare una lunga lista di pesticidi e input chimici, bisogna che
non contenga organismi geneticamente modificati. Se non sarà
certificato «biologico», il loro prodotto non può essere smerciato
in quel mercato. Insomma: perdono il loro mercato, e per di più
devono affrontare le ritorsioni legali del colosso agro-chimico.
I portavoce Monsanto
ribattono che l’azienda non ha «mai fatto causa, e si è impegnata
a non fare causa, ai coltivatori in caso di presenza inavvertita di
tratti biotecnologici nei loro campi», quando questi tratti
biotecologici si trovino nei loro campi «in conseguenza di atti non
intenzionali». Di cause invece Monsanto ne ha intentate molte (una,
quella contro il coltivatore di colza Percy Schmeiser, è rimasta
famosa): tutto sta nelle parole «inavvertito», «non intenzionale»,
perché provare in tribunale che uno non intendeva coltivare sementi
Monsanto richiede tempo e soldi per avvocati. Nel 2005 il Center for
Food Safety, gruppo statunitense di sostegno all’agricoltura
biologica e sostenibile, aveva contato ben 90 azioni legali mosse da
Monsanto contro coltivatori americani. Così ora l’Associazione dei
coltivatori biologici reagisce, e sfida i brevetti Monsanto in
tribunale.
Dicono: quando rifiutano
di etichettare i cibi transgenici, i produttori di piante
geneticamente modificate dicono che sono «sostanzialmente
equivalenti» a quelle tradizionali; ma quando chiedono il brevetto,
dicono che i geni modificati creano una varietà nuova e unica.
«Allora cos’è, uguale o diversa?». Gerritsen aggiunge: i
produttori di sementi modificate pretendono di controllare il
mercato, una concentrazione di potere e «avidità delle
corporations» come quella contro cui si batte il movimento Occupy
Wall Street - in cui spera molto.
“il manifesto”, 12
novembre 2011 – rubrica terra terra
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