Accra (Ghana) - Il monumento a Kwame Nkrumah nel mausoleo a lui dedicato |
Nel 1999 “il manifesto”
commissionò e pubblicò in serie articoli di bilancio su vari
aspetti e passaggi del Novecento, il cosiddetto “secolo breve”.
Questo di Calchi Novati sull'Africa è centrato sulle figure
contrapposte di due capi di stato africani: Nkrumah e
Houphouet-Boigny. Alla fine entrambi perdenti. Da allora lo scenario
è cambiato. Il sottosviluppo continua, ma una nuova potenza s'aggira
per il continente, la Cina comunista e turbocapitalista. Le sue
politiche non sono del tutto riconducibili ai vecchi schemi
coloniali. Ma non sarà un neo-neocolonialismo? (S.L.L.)
Il presidente ivoriano Félix Houphouet-Boigny in una foto degli anni 80 del 900 |
Lo scenario è l'Africa
alle soglie dell'emancipazione dal colonialismo. Un'Africa che si
sarebbe tentati di definire intonsa, allo stato puro: davanti a sé
la prospettiva di una politica tutta da inventare, che aveva il
vantaggio di poter mettere a frutto quel poco o tanto di entusiasmo
che aveva accompagnato la lotta di liberazione. Naturalmente quella
libertà era in gran parte illusoria. I condizionamenti che pesavano
sull'Africa non erano meno coercitivi per il fatto che con la
proclamazione dell'indipendenza le potenze coloniali lasciavano il
posto a governi espressi dalle popolazioni o meglio dalle élites
nere. E chissà se fra i due protagonisti della storica scommessa, il
più cosciente di quanto nella realtà fosse stretta la via per gli
stati africani era il visionario, idealista e radicaleggiante Kwame
Nkrumah, leader del nuovo Ghana, o il più empirico Félix
Houphouet-Boigny, medico, sindacalista piantatore e capo
tradizionale, che aveva sperimentato con successo l'arte del
compromesso nella sua Costa d'Avorio e persino nel governo
metropolitano a Parigi.
Quella sfida - fu il
presidente avoriano Houphouet-Boigny a lanciarla, quasi per sottrarsi
alla riprovazione degli ambienti nazionalisti per il suo programma di
collaborazione con la Francia anche dopo l'indipendenza, nell'ambito
dell'opzione che poi sarebbe stata bollata come «neocoloniale» -
derivava dal carattere nettamente alternativo delle due politiche. Il
Ghana, ex-possedimento inglese della Costa d'Oro (Gold Coast), aveva
ottenuto l'indipendenza per primo, nel 1957, guadagnandosela metro
per metro, e si era subito schierato nel campo del «socialismo
africano». La Costa d'Avorio, e lo dimostrava anche la prosecuzione
di quel nome inconfondibilmente coloniale oltre l'indipendenza, era
aliena da qualsiasi rottura: beneficiaria dell'ondata di indipendenze
collettive dell'«anno dell'Africa», il 1960, accettava lo status
quo, rapporti prioritari con la Francia e preponderanza dei capitali
francesi compresi.
Solo che Houphouet-Boigny
ebbe l'ardire di giocare al rialzo e di convocare Nkrumah, niente
meno che l'Osagyefo, il «messia» di un'Africa libera e unita, a un
appuntamento concreto o virtuale di lì a dieci anni per mettere a
confronto i rispettivi risultati. E' inutile dire che lui, il
«vecchio», come era chiamato già allora anche se aveva poco più
di 50 anni, era convinto che avrebbero avuto la meglio il capitalismo
e il liberalismo. Dal canto suo, Nkrumah confidava nella spinta
rivoluzionaria racchiusa nella decolonizzazione, non necessariamente
in Ghana, ma più generalmente in Africa, e nella progressiva
dislocazione dei poteri forti dell'imperialismo sul piano mondiale
per effetto di svolte come Dien Bien Phu, Suez, l'Algeria. Nel conto
entrava sicuramente da parte di Nkrumah una sopravvalutazione del
ruolo, a fianco dei popoli ex-coloniali, dell'Urss e del comunismo
internazionale: come per un segno del destino quando nel 1961 il
Ghana fu scosso da una gravissima crisi, scatenata da uno sciopero
dei portuali, non acquisiti evidentemente alla politica «socialista»
di Nkrumah, lo stesso Nkrumah fu costretto a rientrare
precipitosamente in patria dall'Europa orientale dov'era in visita, e
il colpo di stato militare del 1966 che doveva estrometterlo dal
potere avvenne mentre Nkrumah era in viaggio fra il Vietnam del Nord
e la Cina.
Al di là delle speranze
degli uni o delle prudenze degli altri, l'indipendenza dell'Africa
era oggetto di valutazioni discordanti anche a livello di
specialisti. L'Africa veniva dal boom degli anni '50 grazie
all'aumento dei prezzi delle materie prime, in parte a seguito della
guerra di Corea. Il trend positivo dell'economia e del commercio
mondiale sembrava promettente. Sull'ottimismo diffuso cadde come una
doccia fredda il pamphlet scritto da Rene Dumont. e pubblicato
da Seuil, un editore simpatetico per l'Africa e il terzomondismo:
l'Africa nera è partita male. Molte delle accuse di Dumont, un
agronomo di vaglia, erano tecniche e riguardavano le scelte in
materia di politica rurale. Il libro denunciava però anche la
mancanza di democrazia e la corruzione dei gruppi dirigenti («un
colonialismo di classe»), e metteva in discussione le colture
d'esportazione e il modello industrializzante a cui si ispiravano con
poche differenze conservatori alla Houphouet e riformatori alla
Nkrumah. Qualche anno più tardi, Dumont ammise che alcuni passaggi
della sua analisi si erano rivelati affrettati, ma intanto il
disastro dello «sviluppo», anche nei paesi che si erano affidati al
dirigismo statalistico e alla pianificazione centralizzata, aveva
portato l'Africa nel vicolo cieco della soggezione coloniale e
neocoloniale.
Non avrebbe molto senso
chiedersi chi fra Houphouet-Boigny e Nkrumah ha vinto la scommessa.
Nella stagnazione che prevale in Africa la Costa d'Avorio - per
stabilità apparente e tassi di crescita - fa la figura d'una
eccezione. In termini di mera politica, mentre Nkrumah alla data
della verifica non era neppure più al potere, Houphouet-Boigny ha
battuto via via tutti i primati di longevità facendosi rieleggere
capo dello stato per sei volte ogni 5 anni, senza rivali fino alla
consultazione del 1990, e morì da presidente, pianto dal suo popolo
e dai grandi del mondo, nel dicembre 1993 all'età presunta di 88
anni. Kwame Nkrumah aveva vissuto in esilio gli ultimi anni alla
corte di Sékou Touré (la Guinea aveva dato fiducia a Nkrumah e alla
sua strategia quando nel 1958 votò «no» al referendum gollista,
quest'ultimo perfettamente in linea invece con la politica
minimalistica più ancora che gradualistica di Houphouet-Boigny) ed
era morto nel 1972 in un ospedale di Bucarest (ancora l'Est).
I modi d'accumulo
adottati dal Ghana, in un sistema che perseguiva l'eguaglianza, non
avevano potuto competere con il dinamismo di un'economia aperta agli
investimenti senza curarsi dei divari sociali e sfruttando la
forza-lavoro degli immigranti dai più poveri paesi vicini (con poco
potere contrattuale e nessun potere politico-sociale perché
stranieri).
Probabilmente il clou
dello scontro Houphouet-Nkrumah si era consumato nel 1965 al vertice
dell'Oua che si tenne ad Accra, capitale del Ghana. Forte del suo
carisma e della presidenza di turno dell'organizzazione pana-fricana,
Nkrumah tentò di coinvolgere tutta l'Africa nel suo impegno
proponendo la costituzione di una specie di «esecutivo» entro
l'Oua, nucleo di un futuro governo africano, di cui sarebbe stato
verosimilmente l'animatore. Nkrumah non faceva mistero che libertà e
unità significavano rivoluzione, antimperialismo e così via.
Capendo molto bene quali potevano essere le implicazioni di una
misura di per sé innocua, e che favoriva un processo unitario
dell'Africa che a parole nessuno osava contrastare, Houphouet-Boigny
non esitò a boicottare la Conferenza di Accra trascinando con sé i
suoi fedelissimi. Nkrumah non si sarebbe più ripreso da quello
smacco e qualche mese dopo sarebbe stato rovesciato da una congiura
dei militari nella sostanziale indifferenza, se non con il consenso,
del suo popolo (troppa inefficienza, autoritarismo sfrenato e nessuna
radice del socialismo nella società).
Alla lunga la Costa
d'Avorio ha avuto performances molto superiori a quelle del Ghana,
evitandosi fra l'altro l'instabilità che ha moltiplicato in Ghana i
colpi di stato e la numerazione delle repubbliche. Ha persine
«sorpassato» il Ghana come primo produttore di cacao in Africa e
nel mondo. E poco importa se lo sviluppo ha baciato soprattutto
alcune migliaia di grandi coltivatori e la borghesia urbana, i due
pilastri del governo di Houphouet, e se il paese è pesantemente
indebitato. Come ricorda Samir Amin, il Ghana, al pari della Nigeria,
che non si è mai lasciata tentare dal socialismo, ha scontato, a
differenza della Costa d'Avorio, il grado più avanzato (anche come
valorizzazione) della politica coloniale. Quando il Ghana ha
raggiunto a sua volta la stabilità e lo sviluppo - con il regime del
giovane e irruento capitano J. J. Rawlings, passato senza colpo
ferire dall'estremismo giacobino a beniamino della Banca mondiale - è
stato per una conversione alle ricette liberal-capitalistiche che il
«vecchio» aveva patrocinato 20-25 anni prima abbandonando ogni
velleità populistica.
Ma anche Nkrumah aveva a
suo modo avuto ragione. E non solo perché nel frattempo le spoglie
dell'Osagyefo sono state riportate in Ghana con tutti gli onori. Alla
base della politica di Nkrumah, che si atteggiava infatti a Lenin
d'Africa, c'era la certezza che non ci sarebbe stato il socialismo in
un solo paese (africano). Se aveva dovuto soccombere, era stato
perché contro di lui si erano coalizzate forze soverchianti, le
stesse che hanno di fatto impedito il progresso e la democrazia
dell'Africa, di tutta l'Africa, minacciando la sua stessa identità.
A perdere non è stato solo Nkrumah, ma l'idea che la
decolonizzazione - uno dei grandi eventi del secolo - avrebbe
restituito l'Africa alla sua storia insieme al controllo delle sue
risorse materiali e umane.
“il manifesto”, 11
agosto 1999
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