25.1.15

Africa 900: decolonizzazione senza indipendenza (Giampaolo Calchi Novati)

Accra (Ghana) - Il monumento a Kwame Nkrumah nel mausoleo a lui dedicato
Nel 1999 “il manifesto” commissionò e pubblicò in serie articoli di bilancio su vari aspetti e passaggi del Novecento, il cosiddetto “secolo breve”. Questo di Calchi Novati sull'Africa è centrato sulle figure contrapposte di due capi di stato africani: Nkrumah e Houphouet-Boigny. Alla fine entrambi perdenti. Da allora lo scenario è cambiato. Il sottosviluppo continua, ma una nuova potenza s'aggira per il continente, la Cina comunista e turbocapitalista. Le sue politiche non sono del tutto riconducibili ai vecchi schemi coloniali. Ma non sarà un neo-neocolonialismo? (S.L.L.)
Il presidente ivoriano Félix Houphouet-Boigny in una foto degli anni 80 del 900
Lo scenario è l'Africa alle soglie dell'emancipazione dal colonialismo. Un'Africa che si sarebbe tentati di definire intonsa, allo stato puro: davanti a sé la prospettiva di una politica tutta da inventare, che aveva il vantaggio di poter mettere a frutto quel poco o tanto di entusiasmo che aveva accompagnato la lotta di liberazione. Naturalmente quella libertà era in gran parte illusoria. I condizionamenti che pesavano sull'Africa non erano meno coercitivi per il fatto che con la proclamazione dell'indipendenza le potenze coloniali lasciavano il posto a governi espressi dalle popolazioni o meglio dalle élites nere. E chissà se fra i due protagonisti della storica scommessa, il più cosciente di quanto nella realtà fosse stretta la via per gli stati africani era il visionario, idealista e radicaleggiante Kwame Nkrumah, leader del nuovo Ghana, o il più empirico Félix Houphouet-Boigny, medico, sindacalista piantatore e capo tradizionale, che aveva sperimentato con successo l'arte del compromesso nella sua Costa d'Avorio e persino nel governo metropolitano a Parigi.
Quella sfida - fu il presidente avoriano Houphouet-Boigny a lanciarla, quasi per sottrarsi alla riprovazione degli ambienti nazionalisti per il suo programma di collaborazione con la Francia anche dopo l'indipendenza, nell'ambito dell'opzione che poi sarebbe stata bollata come «neocoloniale» - derivava dal carattere nettamente alternativo delle due politiche. Il Ghana, ex-possedimento inglese della Costa d'Oro (Gold Coast), aveva ottenuto l'indipendenza per primo, nel 1957, guadagnandosela metro per metro, e si era subito schierato nel campo del «socialismo africano». La Costa d'Avorio, e lo dimostrava anche la prosecuzione di quel nome inconfondibilmente coloniale oltre l'indipendenza, era aliena da qualsiasi rottura: beneficiaria dell'ondata di indipendenze collettive dell'«anno dell'Africa», il 1960, accettava lo status quo, rapporti prioritari con la Francia e preponderanza dei capitali francesi compresi.
Solo che Houphouet-Boigny ebbe l'ardire di giocare al rialzo e di convocare Nkrumah, niente meno che l'Osagyefo, il «messia» di un'Africa libera e unita, a un appuntamento concreto o virtuale di lì a dieci anni per mettere a confronto i rispettivi risultati. E' inutile dire che lui, il «vecchio», come era chiamato già allora anche se aveva poco più di 50 anni, era convinto che avrebbero avuto la meglio il capitalismo e il liberalismo. Dal canto suo, Nkrumah confidava nella spinta rivoluzionaria racchiusa nella decolonizzazione, non necessariamente in Ghana, ma più generalmente in Africa, e nella progressiva dislocazione dei poteri forti dell'imperialismo sul piano mondiale per effetto di svolte come Dien Bien Phu, Suez, l'Algeria. Nel conto entrava sicuramente da parte di Nkrumah una sopravvalutazione del ruolo, a fianco dei popoli ex-coloniali, dell'Urss e del comunismo internazionale: come per un segno del destino quando nel 1961 il Ghana fu scosso da una gravissima crisi, scatenata da uno sciopero dei portuali, non acquisiti evidentemente alla politica «socialista» di Nkrumah, lo stesso Nkrumah fu costretto a rientrare precipitosamente in patria dall'Europa orientale dov'era in visita, e il colpo di stato militare del 1966 che doveva estrometterlo dal potere avvenne mentre Nkrumah era in viaggio fra il Vietnam del Nord e la Cina.
Al di là delle speranze degli uni o delle prudenze degli altri, l'indipendenza dell'Africa era oggetto di valutazioni discordanti anche a livello di specialisti. L'Africa veniva dal boom degli anni '50 grazie all'aumento dei prezzi delle materie prime, in parte a seguito della guerra di Corea. Il trend positivo dell'economia e del commercio mondiale sembrava promettente. Sull'ottimismo diffuso cadde come una doccia fredda il pamphlet scritto da Rene Dumont. e pubblicato da Seuil, un editore simpatetico per l'Africa e il terzomondismo: l'Africa nera è partita male. Molte delle accuse di Dumont, un agronomo di vaglia, erano tecniche e riguardavano le scelte in materia di politica rurale. Il libro denunciava però anche la mancanza di democrazia e la corruzione dei gruppi dirigenti («un colonialismo di classe»), e metteva in discussione le colture d'esportazione e il modello industrializzante a cui si ispiravano con poche differenze conservatori alla Houphouet e riformatori alla Nkrumah. Qualche anno più tardi, Dumont ammise che alcuni passaggi della sua analisi si erano rivelati affrettati, ma intanto il disastro dello «sviluppo», anche nei paesi che si erano affidati al dirigismo statalistico e alla pianificazione centralizzata, aveva portato l'Africa nel vicolo cieco della soggezione coloniale e neocoloniale.
Non avrebbe molto senso chiedersi chi fra Houphouet-Boigny e Nkrumah ha vinto la scommessa. Nella stagnazione che prevale in Africa la Costa d'Avorio - per stabilità apparente e tassi di crescita - fa la figura d'una eccezione. In termini di mera politica, mentre Nkrumah alla data della verifica non era neppure più al potere, Houphouet-Boigny ha battuto via via tutti i primati di longevità facendosi rieleggere capo dello stato per sei volte ogni 5 anni, senza rivali fino alla consultazione del 1990, e morì da presidente, pianto dal suo popolo e dai grandi del mondo, nel dicembre 1993 all'età presunta di 88 anni. Kwame Nkrumah aveva vissuto in esilio gli ultimi anni alla corte di Sékou Touré (la Guinea aveva dato fiducia a Nkrumah e alla sua strategia quando nel 1958 votò «no» al referendum gollista, quest'ultimo perfettamente in linea invece con la politica minimalistica più ancora che gradualistica di Houphouet-Boigny) ed era morto nel 1972 in un ospedale di Bucarest (ancora l'Est).
I modi d'accumulo adottati dal Ghana, in un sistema che perseguiva l'eguaglianza, non avevano potuto competere con il dinamismo di un'economia aperta agli investimenti senza curarsi dei divari sociali e sfruttando la forza-lavoro degli immigranti dai più poveri paesi vicini (con poco potere contrattuale e nessun potere politico-sociale perché stranieri).
Probabilmente il clou dello scontro Houphouet-Nkrumah si era consumato nel 1965 al vertice dell'Oua che si tenne ad Accra, capitale del Ghana. Forte del suo carisma e della presidenza di turno dell'organizzazione pana-fricana, Nkrumah tentò di coinvolgere tutta l'Africa nel suo impegno proponendo la costituzione di una specie di «esecutivo» entro l'Oua, nucleo di un futuro governo africano, di cui sarebbe stato verosimilmente l'animatore. Nkrumah non faceva mistero che libertà e unità significavano rivoluzione, antimperialismo e così via. Capendo molto bene quali potevano essere le implicazioni di una misura di per sé innocua, e che favoriva un processo unitario dell'Africa che a parole nessuno osava contrastare, Houphouet-Boigny non esitò a boicottare la Conferenza di Accra trascinando con sé i suoi fedelissimi. Nkrumah non si sarebbe più ripreso da quello smacco e qualche mese dopo sarebbe stato rovesciato da una congiura dei militari nella sostanziale indifferenza, se non con il consenso, del suo popolo (troppa inefficienza, autoritarismo sfrenato e nessuna radice del socialismo nella società).
Alla lunga la Costa d'Avorio ha avuto performances molto superiori a quelle del Ghana, evitandosi fra l'altro l'instabilità che ha moltiplicato in Ghana i colpi di stato e la numerazione delle repubbliche. Ha persine «sorpassato» il Ghana come primo produttore di cacao in Africa e nel mondo. E poco importa se lo sviluppo ha baciato soprattutto alcune migliaia di grandi coltivatori e la borghesia urbana, i due pilastri del governo di Houphouet, e se il paese è pesantemente indebitato. Come ricorda Samir Amin, il Ghana, al pari della Nigeria, che non si è mai lasciata tentare dal socialismo, ha scontato, a differenza della Costa d'Avorio, il grado più avanzato (anche come valorizzazione) della politica coloniale. Quando il Ghana ha raggiunto a sua volta la stabilità e lo sviluppo - con il regime del giovane e irruento capitano J. J. Rawlings, passato senza colpo ferire dall'estremismo giacobino a beniamino della Banca mondiale - è stato per una conversione alle ricette liberal-capitalistiche che il «vecchio» aveva patrocinato 20-25 anni prima abbandonando ogni velleità populistica.
Ma anche Nkrumah aveva a suo modo avuto ragione. E non solo perché nel frattempo le spoglie dell'Osagyefo sono state riportate in Ghana con tutti gli onori. Alla base della politica di Nkrumah, che si atteggiava infatti a Lenin d'Africa, c'era la certezza che non ci sarebbe stato il socialismo in un solo paese (africano). Se aveva dovuto soccombere, era stato perché contro di lui si erano coalizzate forze soverchianti, le stesse che hanno di fatto impedito il progresso e la democrazia dell'Africa, di tutta l'Africa, minacciando la sua stessa identità. A perdere non è stato solo Nkrumah, ma l'idea che la decolonizzazione - uno dei grandi eventi del secolo - avrebbe restituito l'Africa alla sua storia insieme al controllo delle sue risorse materiali e umane.


“il manifesto”, 11 agosto 1999

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