Louis Antoine de
Bougainville (1729-1811) fu avvocato, matematico, ufficiale
nell'esercito, ammiraglio, ma soprattutto viaggiatore e scrittori di
viaggi. La sua circumnavigazione del globo, da Saint-Malo a
Saint-Malo, compiuta in quasi tre anni (dal 1766 al 1769), fu oggetto
del suo Viaggio intorno al mondo,
da cui è tratto il brano che segue, scelto nel 1989 dal “manifesto”
che ogni settimana selezionava una lettura, per suggerire un diverso
approccio al tema del “tempo”, in quel momento oggetto di
dibattito politico e culturale. (S.L.L.)
Fu nel 1580 che si videro
i Gesuiti ammessi per la prima volta in quelle fertili regioni, dove
essi poi fondarono, sotto il regno di Filippo III, le missioni
famose, alle quali si da in Europa il nome di Paraguay. (...) I
Gesuiti si misero all'opera col coraggio dei martiri e pazienza
veramente evangelica. L'una cosa e l'altra occorrevano per attirare,
vincolare, piegare all'obbedienza e al lavoro una gente selvaggia,
incostante, attaccata tanto alla propria pigrizia quanto alla propria
indipendenza. Gli ostacoli furono infiniti, le difficoltà sorgevano
ad ogni passo, ma lo zelo trionfò su tutto e la mitezza dei
missionari condusse alla fine ai loro piedi quei selvatici e rozzi
abitanti dei boschi. Essi infatti li raccolsero in abitazioni,
diedero loro delle leggi, introdussero le arti docili e piacevoli.
(...) Questi Indiani, sedotti dall'eloquenza persuasiva dei loro
apostoli, obbedivano di buon grado ad uomini che vedevano pronti a
sacrificarsi per la loro felicità.
Don Joaquìn de Viana mi
disse che, quand'ebbe ricevuto l'ordine di lasciare le missioni, una
gran parte degli Indiani, scontenti della vita che menavano, espresse
il desiderio di seguirlo. (...) Fui sorpreso di quanto Viana mi disse
a proposito del malcontento degli Indiani. Come accordarlo con tutto
ciò che avevo letto sul modo in cui erano governati? Ero convinto,
infatti, di poter citare le norme delle missioni come modello di
un'amministrazione capace di dare agli uomini felicità e saggezza. E
invero quando ci si immagina da lontano e in modo vago quel magico
governo, fondato sulle sole armi spirituali, privo di altri vincoli
che non siano le catene della persuasione, quale altra organizzazione
può pensarsi che maggiormente onori l'umanità? Si tratta di una
comunità che abita una terra fertile sotto un clima felice, i cui
membri sono tutti laboriosi e in cui nessuno lavora per sé; i frutti
della coltivazione comune è scrupolosamente ceduto ai magazzini
pubblici, attingendo ai quali si distribuisce a ciascuno quanto gli è
necessario per il suo sostentamento, per il vestiario e per il
mantenimento del suo nucleo familiare. (...). Ma in materia di
governo un immenso intervallo divide la teoria dalla pratica
amministrazione.
Il paese era diviso in
parrocchie, ciascuna retta da due Ge-suiti, il curato e il suo
vicario. II curato si alzava alle cinque del mattino, dedicava un'ora
alla meditazione, diceva la messa alle sei e mezzo; venivano a
baciargli la mano alle sette e si faceva allora la distribuzione
pubblica di un'oncia di mate per famiglia. Dopo la messa, il curato
faceva colazione, diceva il breviario, lavorava coi corregidores
(…), pranzava alle undici solo col suo vicario; rimaneva a
conversare fino a mezzogiorno e faceva la siesta fino alle due; si
chiudeva quindi nel suo domicilio privato fino al rosario, dopo il
quale si conversava ancora fino alle sette di sera, poi il curato
cenava; alle otto si riteneva fosse già andato a letto.
Il popolo invece alle
otto di mattino già attendeva ai vari lavori sia della terra sia
delle officine, e i corrigidores vigilavano sul più severo
impiego del tempo. (...) Alle cinque e mezza di sera si riunivano
tutti per recitare il rosario e baciare ancora la mano del curato
(...). La domenica non si lavorava, l'ufficio divino prendeva maggior
tempo; tutti potevano poi dedicarsi a qualche gioco, triste quanto il
resto della loro vita.
Si vede da questo esatto
ragguaglio che gli Indiani erano soggetti a un alternarsi uniforme e
tremendamente noioso di lavoro e di riposo. Tale noia, che con
ragione vien detta mortale, basta a spiegare ciò che ci hanno
riferito: che gli Indiani, cioè, lasciavano la vita senza
rimpiangerla e morivano senza essere vissuti. Se cadevano ammalati,
era raro che guarissero e quindi si domandava loro se morire li
affliggesse, rispondevano di no, col tono di chi lo pensa davvero.
Dal Viaggio intorno al
mondo, trad. di I.ionello Sozzi, il Saggiatore, 1983.
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