9.1.15

Picasso. Le mille vite di un genio (Antonio Monda)

Intervista a John Richardson
NEW YORK.
L'uscita del terzo volume della monumentale biografia di Picasso ad opera di John Richardson è stato accolto negli Stati Uniti come un grande evento culturale: alla copertina del “New York Times Book Review”, a cui è stato dato il titolo The Colossus, ha fatto seguito un lungo saggio sul “New York Review of Books”, una serie di articoli su tutte le principali pubblicazioni americane, ed infine una recensione osannante a firma di un critico ostico come Michiko Kakutami sul “New York Times”.
Il nuovo testo, a cui farà seguito nei prossimi anni un volume conclusivo, è stato pubblicato da Knopf (pagg. 592, $ 40) ed ha per sottotitolo The Triumphant Years 1917-1932. Nel periodo in cui conviveva con il critico e collezionista Douglas Cooper, Richardson ha frequentato regolarmente Picasso, ed in questo nuovo capitolo della biografia utilizza al meglio il suo rapporto privilegiato: l'importanza del testo è nella perfetta miscela di un'erudizione autentica con il piacere dell'aneddoto e della testimonianza personale.
Richardson è uno scrittore di piacevolissima lettura, felice di essere uno degli ultimi depositari di una miniera di vicende passate alla storia... Mi accoglie nella sua sontuosa casa nella parte Sud della Quinta Avenue, dove, tra le molte opere di Picasso, c'è il ritratto dell'artista scelto per la copertina del libro. «È una foto scattata da Valentine Hugo», racconta mentre si aggira tra le opere d´arte nel suo studio tra le quali campeggia anche un suo ritratto a firma di Lucien Freud. «Era la nipote dello scrittore, che ebbe una relazione con Picasso e lo immortalò in questa immagine sulla quale lui ha aggiunto dei disegni simili a quelli di Guernica».

In una conversazione con Francoise Gilot, Picasso definì Dio come un artista, che ha creato animali bizzarri come la giraffa e l´elefante, senza un vero e proprio stile.
«È evidente che Picasso parli implicitamente di se stesso, aggiungendo, a proposito del Padreterno, che "continua a tentare cose diverse". Picasso era consapevole di essere un genio. Ed era un artista anche sentiva l´esigenza di cambiare e sperimentare continuamente. Si considerava in primo luogo uno sciamano ed un esorcista, e chi lo conosciuto di persona sa quanto fosse capace di atteggiamenti sorprendentemente contraddittori».

A cosa si riferisce?
«Ad esempio alla differenza di atteggiamento che aveva nei confronti delle donne e degli amici. Con le donne è stato ripetutamente crudele, mentre con gli amici si è distinto spesso per lealtà e generosità. Ma questo è un elemento da approfondire: nei quadri in cui dipingeva la prima moglie Olga voleva a mio avviso esorcizzarne la malattia mentale. Combatteva il male con il male, utilizzando immagini crudeli che sono rimaste sulla tela».

Nel suo libro racconta di numerosi gesti di arroganza e crudeltà anche nei confronti di Cocteau.
«Si tratta di un caso particolare: a mio avviso Cocteau aveva nei confronti di Picasso un rapporto che sfiorava il masochismo e sembrava che facesse di tutto per irritarlo e scatenare in lui reazioni violente. Me lo ha confermato anche Claude Arnaud, che su Cocteau ha scritto una splendida biografia. Ho assistito a scene terribili, ma il bello è che dopo pochi giorni i due tornavano ad essere amici come se nulla fosse».

Lei attribuisce al viaggio in Italia fatto dai due amici una fondamentale importanza per l´arte futura di Picasso.
«È il viaggio in cui Picasso rimane affascinato dalle grandiose figure classiche e si trova costretto a confrontarsi con il classicismo. È dopo il soggiorno a Roma e a Napoli che elabora un passaggio in avanti rispetto al cubismo, forma espressiva con la quale ha raggiunto risultati straordinari e nella quale tuttavia cominciava a sentirsi limitato in particolare per via delle dimensioni».

Uno dei capitoli più appassionanti è quello che riguarda il rapporto con Diaghilev e Massine all'epoca di Parade: ritiene che queste frequentazioni nel mondo del balletto abbiano avuto un'influenza sull'arte di Picasso?
«Non direi. Pensando a quel periodo mi viene in mente semmai la relazione artistica con Stravinskj. Entrambi cercavano di rivoluzionare nello stesso periodo il loro mezzo espressivo, riflettendo sul classicismo. Il periodo del matrimonio con Olga rappresenta anche il momento più borghese della vita di Picasso. Visse quegli anni, che definì "Il Periodo Duchessa" con sincerità, e, per un breve tempo, anche con un senso di appagamento. Esistono delle foto dell'epoca sorprendenti che lo ritraggono come un perfetto signore che esibiva un cappello elegante e perfino delle ghette. Picasso aveva conosciuto la povertà ed ora, improvvisamente, si trovava ad avere un castello con maggiordono, autista, cuoco. Ma durò poco: il richiamo della vita artistica e del fascino bohemienne riapparvero nello stesso periodo in cui si innamorò a 45 anni della diciassettenne Marie Therese Walter. Fu una passione dionisiaca che si oppose alla relazione più tradizionale ed apollinea che aveva con Olga».

Va aggiunto anche che in Picasso queste due anime rimasero vive sino alla fine, anche se nel suo studio di Parigi fece scrivere «Je ne suis pas un gentleman» e raccontò di preferire un pasto di fagioli allo champagne e al caviale.
«Si tratta di una delle sue tante contraddizioni, che a livello artistico diventarono una caratteristica del suo genio. Altri personaggi chiave della sua biografia sono Gerald and Sara Murphy. Si tratta dei due personaggi che ispirarono Scott Fitzgerald per Tenera è la notte. Insieme a loro Picasso convinse il proprietario dell'Hotel Du Cap a tenere l'albergo aperto anche d'estate consacrando la moda della Riviera. Nei Murphy Picasso vedeva degli spiriti liberi, ed un'affascinante impersonificazione del modernismo americano, così diverso dalla rigidità della classe intellettuale parigina. Era conquistato dal loro atteggiamento da bohemienne chic, e ritrasse Gerald nella Dance, ma nego che, come hanno raccontato in molti, fosse innamorato di Sara».

Dal suo libro risulta evidente che invece non amasse troppo Scott e Zelda Fitzgerald, né Hemingway.
«Il problema principale era quello alcoolico. La sua preferita era Zelda, ma al di là della stima che poteva avere per gli scrittori, non sopportava il fatto di trovarli sempre ubriachi, e vederli lasciarsi andare a scenate imbarazzanti».

La biografia affronta anche il rapporto con il surrealismo.
«Ritengo che Picasso inorridirebbe all'idea che sono state organizzate mostre sul suo periodo surrealista. Cercò sempre di resistere al tentativo di coinvolgimento da parte di Breton e visse quella breve esperienza come un modo per dare alle immagini un grado più elevato di realtà. Del surrealismo non digeriva il rapporto con il mondo onirico e con le teorie di Freud e Marx. In quel momento della sua vita Picasso era apolitico, e potrà sorprendere scoprire che nel 1934 partecipò ad un banchetto in suo onore organizzato dai Falangisti su invito di Jose Antonio Primo de Rivera. Scoprì quasi immediatamente che tentavano di strumentalizzarne la presenza, ma la sua attenzione ritornò unicamente alla libertà dell'arte».


“la Repubblica”, 31 dicembre 2007

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