Intervista a John Richardson
NEW YORK.
L'uscita del terzo volume
della monumentale biografia di Picasso ad opera di John Richardson è
stato accolto negli Stati Uniti come un grande evento culturale: alla
copertina del “New York Times Book Review”, a cui è stato dato
il titolo The Colossus, ha fatto seguito un lungo saggio sul
“New York Review of Books”, una serie di articoli su tutte le
principali pubblicazioni americane, ed infine una recensione
osannante a firma di un critico ostico come Michiko Kakutami sul “New
York Times”.
Il nuovo testo, a cui
farà seguito nei prossimi anni un volume conclusivo, è stato
pubblicato da Knopf (pagg. 592, $ 40) ed ha per sottotitolo The
Triumphant Years 1917-1932. Nel periodo in cui conviveva con il
critico e collezionista Douglas Cooper, Richardson ha frequentato
regolarmente Picasso, ed in questo nuovo capitolo della biografia
utilizza al meglio il suo rapporto privilegiato: l'importanza del
testo è nella perfetta miscela di un'erudizione autentica con il
piacere dell'aneddoto e della testimonianza personale.
Richardson è uno
scrittore di piacevolissima lettura, felice di essere uno degli
ultimi depositari di una miniera di vicende passate alla storia... Mi
accoglie nella sua sontuosa casa nella parte Sud della Quinta Avenue,
dove, tra le molte opere di Picasso, c'è il ritratto dell'artista
scelto per la copertina del libro. «È una foto scattata da
Valentine Hugo», racconta mentre si aggira tra le opere d´arte nel
suo studio tra le quali campeggia anche un suo ritratto a firma di
Lucien Freud. «Era la nipote dello scrittore, che ebbe una relazione
con Picasso e lo immortalò in questa immagine sulla quale lui ha
aggiunto dei disegni simili a quelli di Guernica».
In una conversazione
con Francoise Gilot, Picasso definì Dio come un artista, che ha
creato animali bizzarri come la giraffa e l´elefante, senza un vero
e proprio stile.
«È evidente che Picasso
parli implicitamente di se stesso, aggiungendo, a proposito del
Padreterno, che "continua a tentare cose diverse". Picasso
era consapevole di essere un genio. Ed era un artista anche sentiva
l´esigenza di cambiare e sperimentare continuamente. Si considerava
in primo luogo uno sciamano ed un esorcista, e chi lo conosciuto di
persona sa quanto fosse capace di atteggiamenti sorprendentemente
contraddittori».
A cosa si riferisce?
«Ad esempio alla
differenza di atteggiamento che aveva nei confronti delle donne e
degli amici. Con le donne è stato ripetutamente crudele, mentre con
gli amici si è distinto spesso per lealtà e generosità. Ma questo
è un elemento da approfondire: nei quadri in cui dipingeva la prima
moglie Olga voleva a mio avviso esorcizzarne la malattia mentale.
Combatteva il male con il male, utilizzando immagini crudeli che sono
rimaste sulla tela».
Nel suo libro racconta
di numerosi gesti di arroganza e crudeltà anche nei confronti di
Cocteau.
«Si tratta di un caso
particolare: a mio avviso Cocteau aveva nei confronti di Picasso un
rapporto che sfiorava il masochismo e sembrava che facesse di tutto
per irritarlo e scatenare in lui reazioni violente. Me lo ha
confermato anche Claude Arnaud, che su Cocteau ha scritto una
splendida biografia. Ho assistito a scene terribili, ma il bello è
che dopo pochi giorni i due tornavano ad essere amici come se nulla
fosse».
Lei attribuisce al
viaggio in Italia fatto dai due amici una fondamentale importanza per
l´arte futura di Picasso.
«È il viaggio in cui
Picasso rimane affascinato dalle grandiose figure classiche e si
trova costretto a confrontarsi con il classicismo. È dopo il
soggiorno a Roma e a Napoli che elabora un passaggio in avanti
rispetto al cubismo, forma espressiva con la quale ha raggiunto
risultati straordinari e nella quale tuttavia cominciava a sentirsi
limitato in particolare per via delle dimensioni».
Uno dei capitoli più
appassionanti è quello che riguarda il rapporto con Diaghilev e
Massine all'epoca di Parade: ritiene che queste frequentazioni nel
mondo del balletto abbiano avuto un'influenza sull'arte di Picasso?
«Non direi. Pensando a
quel periodo mi viene in mente semmai la relazione artistica con
Stravinskj. Entrambi cercavano di rivoluzionare nello stesso periodo
il loro mezzo espressivo, riflettendo sul classicismo. Il periodo del
matrimonio con Olga rappresenta anche il momento più borghese della
vita di Picasso. Visse quegli anni, che definì "Il Periodo
Duchessa" con sincerità, e, per un breve tempo, anche con un
senso di appagamento. Esistono delle foto dell'epoca sorprendenti che
lo ritraggono come un perfetto signore che esibiva un cappello
elegante e perfino delle ghette. Picasso aveva conosciuto la povertà
ed ora, improvvisamente, si trovava ad avere un castello con
maggiordono, autista, cuoco. Ma durò poco: il richiamo della vita
artistica e del fascino bohemienne riapparvero nello stesso periodo
in cui si innamorò a 45 anni della diciassettenne Marie Therese
Walter. Fu una passione dionisiaca che si oppose alla relazione più
tradizionale ed apollinea che aveva con Olga».
Va aggiunto anche che
in Picasso queste due anime rimasero vive sino alla fine, anche se
nel suo studio di Parigi fece scrivere «Je ne suis pas un gentleman»
e raccontò di preferire un pasto di fagioli allo champagne e al
caviale.
«Si tratta di una delle
sue tante contraddizioni, che a livello artistico diventarono una
caratteristica del suo genio. Altri personaggi chiave della sua
biografia sono Gerald and Sara Murphy. Si tratta dei due personaggi
che ispirarono Scott Fitzgerald per Tenera è la notte.
Insieme a loro Picasso convinse il proprietario dell'Hotel Du Cap a
tenere l'albergo aperto anche d'estate consacrando la moda della
Riviera. Nei Murphy Picasso vedeva degli spiriti liberi, ed
un'affascinante impersonificazione del modernismo americano, così
diverso dalla rigidità della classe intellettuale parigina. Era
conquistato dal loro atteggiamento da bohemienne chic, e ritrasse
Gerald nella Dance, ma nego che, come hanno raccontato in
molti, fosse innamorato di Sara».
Dal suo libro risulta
evidente che invece non amasse troppo Scott e Zelda Fitzgerald, né
Hemingway.
«Il problema principale
era quello alcoolico. La sua preferita era Zelda, ma al di là della
stima che poteva avere per gli scrittori, non sopportava il fatto di
trovarli sempre ubriachi, e vederli lasciarsi andare a scenate
imbarazzanti».
La biografia affronta
anche il rapporto con il surrealismo.
«Ritengo che Picasso
inorridirebbe all'idea che sono state organizzate mostre sul suo
periodo surrealista. Cercò sempre di resistere al tentativo di
coinvolgimento da parte di Breton e visse quella breve esperienza
come un modo per dare alle immagini un grado più elevato di realtà.
Del surrealismo non digeriva il rapporto con il mondo onirico e con
le teorie di Freud e Marx. In quel momento della sua vita Picasso era
apolitico, e potrà sorprendere scoprire che nel 1934 partecipò ad
un banchetto in suo onore organizzato dai Falangisti su invito di
Jose Antonio Primo de Rivera. Scoprì quasi immediatamente che
tentavano di strumentalizzarne la presenza, ma la sua attenzione
ritornò unicamente alla libertà dell'arte».
“la Repubblica”, 31
dicembre 2007
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