Quella che segue è la
conclusione dell'articolo che Pietro Ingrao scrisse per “il
manifesto”, all'indomani della morte di Lucio Magri. Qualche giorno
prima aveva fatto scalpore, nel corso di una crisi finanziaria ed
economica che continuava a scuotere l'Occidente capitalistico, un
movimento di lotta che, materialmente, occupava Wall Street, il
santuario dei fasti e delle bancarotte. (S.L.L.)
Oggi Lucio ci ha
lasciati, in giorni bui dominati da gelide dispute sulla Borsa e i
bilanci.
Un altro ricordo: era il
maggio del 1962, in un convegno dell’Istituto Gramsci sulle
tendenze del capitalismo. Si discusse animatamente, la nostra critica
alla relazione di Amendola fu uno dei primi segni visibili della
nostra ricerca di un nuovo sguardo sul mondo. In quell’occasione,
Lucio parlò del bisogno di una critica a quella che lui chiamò “la
società opulenta”: la pervasività del mito dell’opulenza in
ogni luogo della vita, a colpire l’autonomia dei bisogni umani.
In questo presente così
aspro e difficile, in cui la politica sembra aver ceduto le armi di
fronte ai luoghi della finanza, ho risentito l’eco di quelle
parole: non più solo nei miei ricordi, ma negli slogan di chi si
accampa davanti a Wall Street.
Caro Lucio, carissimo
compagno di tante lotte e di tante sconfitte: nessuna sconfitta è
definitiva, finché gli echi delle nostre passioni riescono a
rinascere in forme nuove, perfino di fronte al tempio del capitalismo
mondiale.
“il manifesto”, 30
novembre 2011
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