Mi capita di dire che i
partitini e gli esponenti della sinistra nella seconda repubblica,
specie quelli che, tra Parlamento e Regioni, partecipavano
all'abbuffata dei rimborsi e dei vitalizi mentre si colpivano
duramente il reddito e i diritti dei lavoratori, sono un grave
ostacolo alla rinascita di una sinistra decente. I loro esponenti
reagiscono male, specie quelli con un grande avvenire alle proprie
spalle. Del resto i più tra loro non ammettono colpe gravi, pensano:
"ho sempre difeso il lavoro e, quanto a indennità e vitalizi,
ho fatto quello che si è sempre fatto (compreso il finanziamento del
partito)". “Non c'è più sordo di chi non vuol sentire” -
recita un proverbio appropriato.
Lo rispiego, comunque,
per esteso e fino alla noia. Quando per il popolo lavoratore crescono
redditi, diritti, poteri, sulla spinta di un movimento politico e
sindacale, i privilegi dei dirigenti e dei rappresentanti sono
sopportati come un prezzo da pagare, specie se non esagerati; ma essi
diventano insopportabili nel tempo della sconfitta. Non solo i casi
più aberranti (l'auto blu conservata da Bertinotti non rieletto, per
esempio) suscitano indignazione, ma anche agi e vantaggi meno
sostanziosi gettano il discredito su chi ne gode. Accade così che
lavoratori e persone con valori e sentimenti di sinistra rifiutino
perfino di ascoltare chi non ritengono credibile. "Amara a cu è
mortu nni lu cori di l'autri" e costoro sono morti nel cuore di
tanti lavoratori e di tante persone che si riconoscevano o si
riconoscerebbero nei valori della sinistra.
Alcuni compagni, anche
carissimi e stimati, a questo punto mi bloccano: "Io non ci
credo alla storia del tappo". Neanch'io. La metafora del tappo
non funziona in nessuno dei sensi. Non c'è nessun tappo che
impedisca a una sinistra sociale in salute, a movimenti di massa
combattivi di trovare una espressione politica, anche perché questa
sinistra sociale non c'è. Non ci sono in campo movimenti, solo
sacche di resistenza, poca cosa. E non c'è nessun tappo che
impedisca a chi vuole di entrare nei soggetti politici esistenti, in
Rifondazione, in Sel, nel Pdci; ma non c'è bisogno alcuno di tappo
in questo caso, non sono luoghi attraenti per giovani impegnati e
combattivi, non solo per via di quei dirigenti ed ex dirigenti
piuttosto sputtanati che tra gli altri li abitano, ma anche per
l'impressione di angustia e la puzza di muffa che da essi promana.
La metafora giusta non è
il tappo dunque, mi sembrano più adeguate le macerie. Partitini e
ceto politico della sinistra morente con la loro presenza impediscono
di gettare semi per il futuro. Si potrebbe seminare in due modi: in
primo luogo tenendo il punto e approfondendo l'analisi contro le
ideologie neoliberiste oggi dominanti, mercatismo, competitività,
flessibilità del lavoro eccetera, mostrando la distruttività
sociale e ambientale delle pratiche che ne derivano e l'impossibilità
di bloccare il dominio della finanza nell'attuale struttura del
capitalismo globalizzato; in secondo luogo lavorando al
reinsediamento di queste idee tra le classi subalterne, specie nel mondo
del lavoro, tenendo presente la scomposizione e frammentazione di
quella che fu la “classe operaia” (costruzione eminentemente
politica) e promuovendo lotte di nuovo tipo, per ricostruire l'unità
del lavoro subordinato e sfruttato.
La dico a modo mio: ci
vogliono apostoli, comunicatori e capipopolo consapevoli e poveri e
ci vuole un contenitore completamente nuovo. Non sarà difficile che
se ne trovino e si ritrovino: ci sono persone che crescono e vivono
nella “passione dell'uguaglianza”; se si crea il clima giusto,
sapranno accettarsi l'uno con l'altro anche nelle differenze. Saranno
soprattutto giovani, ma sapranno accettare anche i vecchi, almeno
quanti avranno l'umiltà di ascoltare e dire senza pretendere di
dettare la linea. In ogni caso le nuove avanguardie saranno credibili
solo se l'uguaglianza non sarà solo agitata, ma agìta, se diverrà
- come per i socialisti e i comunisti delle origini - pratica di
vita, condivisione.
I tempi corrono in fretta ed io sono tornato ottimista. Non occorreranno forse i molti decenni che temevo per riavere nella politica, nella comunicazione, nella cultura, nella socialità una sinistra anticapitalistica forte, consapevole, organizzata, ragionevole, tendenzialmente maggioritaria. Forse basteranno alcuni lustri, quattro o cinque, per tornare a vincere, specie se si darà la giusta importanza alla battaglia delle idee. Ma intanto occorre sgombrare il campo dalle macerie: chi, più o meno colpevolmente, è stato all'avanguardia del disastro non deve più stare tra i piedi e in primis dovranno togliersi di mezzo i percettori di vitalizi. I meno colpevoli, i più affezionati al “sogno della cosa”, all'idea di un radicale rinnovamento egualitario della società lo faranno da sé, con rammarico certo, ma di propria iniziativa.
I tempi corrono in fretta ed io sono tornato ottimista. Non occorreranno forse i molti decenni che temevo per riavere nella politica, nella comunicazione, nella cultura, nella socialità una sinistra anticapitalistica forte, consapevole, organizzata, ragionevole, tendenzialmente maggioritaria. Forse basteranno alcuni lustri, quattro o cinque, per tornare a vincere, specie se si darà la giusta importanza alla battaglia delle idee. Ma intanto occorre sgombrare il campo dalle macerie: chi, più o meno colpevolmente, è stato all'avanguardia del disastro non deve più stare tra i piedi e in primis dovranno togliersi di mezzo i percettori di vitalizi. I meno colpevoli, i più affezionati al “sogno della cosa”, all'idea di un radicale rinnovamento egualitario della società lo faranno da sé, con rammarico certo, ma di propria iniziativa.
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