Era "la"
canzone italiana. Anzi era l'Italia. Non quella che oggi segue
pigramente la noia delle gigantografie sanremesi. Ma l'Italia che
ieri assisteva con entusiasmo compiaciuto, divertito, alle spesso
clamorose impennate dell'uomo che aveva incoronato "reuccio".
Con un diminutivo che stava a significare che la fiducia, così
largamente accordata, era comunque limitata: alla prima che mi fai...
Era questo che aveva
trascinato l'uomo Villa alla lotta, perennemente ingaggiata -
donchisciottescamente - contro invisibili mulini al vento: la sfida
contro chiunque avesse potuto mettere in dubbio la sua straordinaria
supremazia nel mondo della canzone. Un'aggressività che in realtà
aveva ereditato, si era coltivato, in ambiente famigliare - lo ha
raccontato lui stesso nell'autobiografia Una vita stupenda
pubblicata in questi giorni da Mondadori - sin dal giorno in cui i
suoi genitori furono invitati a lasciare la fabbrica perché
"sovversivi" e dunque "indesiderati" (era il 1926
scrive Villa "il fascismo era ancora in fasce, ma aveva già
fatto molte vittime fra quegli italiani che non intendevano piegarsi
ai suoi voleri") e che lo aveva portato da una parte alla
militanza comunista, dall'altra a svolgere un ruolo sempre
provocatore all' interno del "sistema" dei discografici,
degli organizzatori dei festival, della Rai, ecc.
A 61 anni, Villa mantiene
intatto il suo smalto internazionale e la sua vis polemica. Al
contrario dei suoi rivali degli anni d'oro, come Oscar Carboni,
Luciano Tajoli ha avuto la fortuna di una voce scintillante fino
all'altro ieri, cosa che gli ha permesso di andare in tournèe
in tutto il mondo fino all'ultimo. In patria invece la sua immagine
si va offuscando negli ultimi anni, anche grazie ad alcune uscite o
"associazioni" non troppo fortunate. E lui continua a
lamentarsi, a veder ovunque congiure ai suoi danni, una vera
ossessione, sempre una nuova battaglia.
L'Italia del dopoguerra,
per un giovane che ne ha già viste di tutti i colori, che ha già
avuto la sua palestra di vita (finisce pure in galera) premia la sua
passione caparbia, la voglia di "sfondare". Dopo anni di
fame, nel 1951 Villa è già l'usignolo d'Italia, alla radio riesce a
farsi strada fra Pippo Barzizza e il maestro Fragna, Silvana Foresi e
Dea Garbaccio, Otello Boccaccini e Alberto Rabagliati. La sua voce
stentorea si afferma rapidamente su quella dei ben più sdolcinati
colleghi, le sue canzoni melodrammatiche fanno piangere gli italiani
di calde lacrime. "Luna rossa", "Serenata
celeste", "Borgo antico", "Bocca
desiderata", "Letterina del soldato",
creano una folla di fans entusiasti, le donne sognano, gli uomini
meno, sono sempre lì pronti allo scivolone di quel piccolo
arrogante. Lui a volte perde la testa. Giunge a pronunciare - novello
Mussolini - quello che viene definito il "discorso del
piedistallo": "Giunto alle più alte sfere della
popolarità, ho provato a piegarmi dall'alto del piedistallo su cui
mi hanno fatto assidere...".
Ma di pari passo con il
successo, aumentano le congiure, le ossessioni. Come quella che si
svolge sotto i suoi occhi - è ancora Villa a raccontarlo
nell'autobiografia - ordita ai suoi danni da Miranda Bonansea, la
moglie con la quale non andò mai d'accordo, e il suo pianista, "il
lurido ciociaro", lo definisce lui stesso nel libro, che avevano
una relazione con la compiacenza del suo impresario, "il lurido
fiorentino".
L'ascesa, comunque, è
rapida. Villa, come un autentico guerriero, piazza i suoi brani
dovunque, spara a zero sulla critica che lo tratta con sufficienza,
prende le distanze dai più giovani che incalzano. Un'altra delle
ossessioni infatti, sembra essere costituita dal fatto che le nuove
generazioni possono contrastargli il passo. Non ammette che si possa
nemmeno lontanamente pensarlo. Il regno è suo e basta. Si compra la
bicicletta, poi decide che la motocicletta è il mezzo che gli dà
l'immagine più giovanile. Alla prestanza fisica, abbina il
prestigio: ha conosciuto Frank Sinatra, ha cantato con lui. Le foto
che abbondantemente corredano la sua autobiografia lo ritraggono
accanto a Benny Goodman, i Platters, Edith Piaf, Perry Como, Luciano
Pavarotti, "Ormai era chiaro che la mia popolarità era tale"
scrive Villa "che avrei ottenuto successo con qualsiasi tipo di
orchestra e qualsiasi tipo di canzone. Tutto ciò da un lato mi
conferiva enorme prestigio, ma dall'altro, come potete facilmente
capire, mi attirava invidie e antipatie a non finire".
"Buongiorno
tristezza", "Il torrente", "Incantatella",
"Ondamarina", "Binario", "Granada",
"Non pensare a me"... Non sta mai fermo. Quando non
partecipa a festival o a trasmissioni televisive è in viaggio: in
Argentina, negli Usa, in Spagna, in Giappone, in Russia. E dovunque
riscuote un grande successo. Il presenzialismo e l'aggressività si
moltiplicano, Villa comincia a difendersi da tutti i possibili
aspiranti al titolo: di Modugno diventa amico, di Morandi non perdona
il tentativo, alla Canzonissima 66 (che vince con Granada) di
speculare sul fatto che proprio in quelle ore Laura Efrikian ha dato
alla luce una bambina che però è spirata poco dopo. Lo staff di
Morandi - sostiene Villa - non ebbe il tempo materiale di divulgare
la notizia.
Girando l'Italia (Villa
non ha mai smesso di fare le sue "piazze") nel '66 capita
ad Arezzo, dove Licio Gelli - conosciuto per caso in un ristorante di
Parma o Piacenza - lo va a trovare in camerino con il figlio Raffaele
e lo invita a casa sua. (Una lettera di Gelli viene esibita fra i
materiali della sua autobiografia). Che significa? Villa
probabilmente da sempre militante comunista, anche da quella parte
non si è sentito sufficientemente protetto, garantito. E i comunisti
inoltre non hanno mai fatto granché per cambiare le regole che hanno
sempre dominato il mondo della canzone italiana. Logico che il
cantante sia stato attratto da chiunque gli abbia dato un minimo di
quella fiducia che non ottenne mai pienamente.
Un fatto è certo: Villa
- a parte forse gli ultimi tempi - non ha mai fatto nulla per restare
simpatico a qualcuno, per accattivarsi la simpatia della gente, degli
impresari, dei discografici. Non ha mai smesso di creare difficoltà,
non ha mai smesso di litigare con chiunque. Ed è sempre stato se
stesso, con i suoi atteggiamenti arroganti, bulleschi, a volte
proprio antipatici. E, nello squallido mondo di compromessi della
canzone italiana, resta uno dei pochi che hanno cercato di farsi
apprezzare per le proprie capacità e basta. Con coraggio, grinta,
forza, lavoro. Un esempio - messe da parte certe intemperanze - per
chi invece pensa oggi che il successo possa cadere dalla nuvole. Come
si è visto ieri a Sanremo, la patria di Claudio Villa.
“la Repubblica”, 8
febbraio 1987
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