La Filosofia del
diritto di Hegel colloca nella sfera dell’eticità la triade
dialettica famiglia, società civile, stato, inaugurando un dibattito
che - dalla Questione ebraica di Marx - pone la relazione tra
i due ultimi termini al centro delle dottrine politiche e
dell’organizzazione degli Stati moderni. La tendenza ad annullare
la società civile nello stato è uno dei tratti costitutivi del
concetto di totalitarismo novecentesco, coniato da Hannah Arendt per
descrivere l’annullamento della vita activa, ovvero della
capacità di azione politica dell’individuo-cittadino. L’analisi
ha però generalmente trascurato il terzo termine della triade
hegeliana, la famiglia. Considerandolo invece una chiave di lettura
innovativa della dinamica di quei regimi, Paul Ginsborg prova a
colmare il vuoto con un’opera singolare: Famiglia Novecento.
Vita familiare, rivoluzione e dittature (Einaudi, Torino 2013),
in cui con la consueta abilità di storico-sociologo traccia il
profilo di alcuni regimi del XX secolo dal punto di vista della
situazione e dell’evoluzione della famiglia: la Russia dal 1917 a
Stalin, la repubblica turca di Kemal, l‘Italia fascista, la Spagna
della guerra civile e poi di Franco, la Germania nazista.
Oltre alle consuete fonti
pubblicistiche e statistiche, Ginsborg si avvale di tre angolazioni
particolari. Prima di tutto l’aspetto biografico-personale: per
ogni nazione ci sono “testimoni di eccezione”, come Alessandra
Kollontaj, Inessa Armand, Halide Edib, Filippo Marinetti, Antonio
Gramsci, Margarita Nelsen, Joseph Goebbels, e si affronta il rapporto
- spesso difficile - dei dittatori
con la famiglia. In
secondo luogo si narrano le vicende di famiglie normali sconvolte
dalla storia: ebrei sotto Hitler, famiglie repubblicane o franchiste
che capitano dalla parte sbagliata nella guerra civile, famiglie
comuniste distrutte da Stalin. Infine, le politiche familiari
adottate dai diversi regimi vengono misurate secondo l’incidenza
sulle strutture socio-culturali preesistenti: dal dvor russo
ai braccianti spagnoli, dai mezzadri toscani agli operai sradicati
della Pietroburgo prerivoluzionaria. Seguendo queste piste l’analisi
comparativa di Ginsborg esamina le modificazioni del diritto di
famiglia, le proposte “alternative” di organizzazione familiare,
il dibattito teorico sul tema.
E’ nei primi anni
sovietici che si affacciano le ipotesi più rivoluzionarie di riforma
degli assetti della famiglia. Anche se l’idea di libertà sessuale
e di riorganizzazione su base comunitaria della Kollontaj non trovano
molti riscontri, la rivoluzione agisce a fondo nel campo del diritto
familiare e dell’emancipazione femminile. Le catastrofi sociali che
accompagnano la guerra civile non spiegano da sole il blocco
dell’evoluzione in questo senso: la contraddizione di fondo è tra
il progetto di liberazione e la pretesa di realizzarlo attraverso una
spasmodica mobilitazione sociale rigidamente guidata dall’alto. Lo
stalinismo porta questa tendenza al parossismo, ma anche nella
radicale distruzione della società civile, accompagnata dal recupero
di esplicite pratiche paternalistiche, la famiglia costruisce forme
di resistenza, mentre la tendenza all’emancipazione della donna
appare irreversibile.
Molto interessante è
l’esperimento turco. Per costruire uno stato moderno, dopo la lunga
guerra esterna e interna, Kemal Ataturk annette grande importanza
alla famiglia nella modernizzazione dall’alto del paese: la sua
idea di sostituire le strutture familiari arcaiche con il modello
nucleare occidentale raggiunge il culmine con l’adozione nel 1926
del diritto familiare in vigore in Svizzera. Esso prevede un
mantenimento esplicito del ruolo dominante del padre di famiglia, ma
consente opportunità prima inimmaginabili per moglie e figli.
I risultati sono
contraddittori, ma il tema è affrontato con decisione, cosa che non
si può certo dire per quanto riguarda la repubblica spagnola, dove a
parte l’insistenza di alcune pioniere del femminismo come Margarita
Nelsen, la tematica dell’emancipazione femminile e del diritto
familiare non è così sentita, neppure laddove in altri ambiti
prevalgono opzioni radicalmente palingenetiche: gli
anarcosindacalisti, così popolari tra le masse contadine, difendono
sempre a spada tratta la famiglia così com’è. Il ruolo sacrale e
sociale della famiglia patriarcale sarà poi eretto a sistema da
Francisco Franco, l’unico dei dittatori qui considerati ad avere
una vita familiare “normale”.
Nell’esperienza
contraddittoria di Marinetti, spregiatore prima e fedele sostenitore
poi della famiglia, si riscontrano tutte le contraddizioni del
fascismo, che come regime oscillerà tra modernizzazione e
passatismo. Sul piano della riflessione teorica, agli accenni di
Gentile circa la necessità, di “superare” la famiglia nello
Stato, si contrappone la riflessione peculiare di Gramsci che, prima
e durante il carcere, insiste nel considerare la famiglia come un
decisivo “organo di vita sociale”.
Pur partendo da premesse
simili e perseguendo obiettivi analoghi al fascismo, il regime
nazista è molto più coerente e determinato nel inserire la famiglia
nella comunità di popolo (Volksgemeinschaft). Da un lato
quindi il nazismo - dopo aver discriminato gli indesiderabili su base
razziale, fisica e politica - si appoggia sul modello prevalente di
famiglia, a forte impronta patriarcale (per Horkheimer base
essenziale del consenso al nazismo), sostenuta attraverso politiche
di welfare, dall’altro cerca di integrarne i membri nelle
organizzazioni di massa, cosa che comunque
non manca di creare
frizioni.
In termini generali,
sottoposta alla cartina di tornasole della famiglia, la categoria di
totalitarismo applicata estensivamente a molti regimi della prima
metà del novecento, non trova una piena conferma, e per diverse
ragioni. In primo luogo sul tema, essenziale per il fine della
penetrazione pervasiva nella società civile, sono carenti sia la
riflessione di carattere teorico che un quadro di riferimento
generale dell’azione; quasi solo in Urss, e in forma comunque
marginale, vi è qualche tentativo in questo senso. Certamente tutti
i regimi considerati tendono ad adottare un “doppio binario”,
reprimendo determinate categorie e sostenendone altre, secondo
criteri razziali, religiosi, o politici. Ma l’obiettivo comune del
controllo della società civile si esplica attraverso strumenti
giuridici, istituzioni e pratiche molto differenziati e non sempre
coerenti anche all’interno delle stesse nazioni. Emerge che mentre
nei casi dell’Urss e della Turchia l’effetto delle politiche
familiari è “oggettivamente” progressista, specie
nell’emancipazione femminile, fascismo, nazismo e franchismo si
muovono in una direzione opposta. Il nodo contro cui tutti i tipi di
regimi si dibattono è quello dell’autonomia della società civile,
negata a priori (a parte la breve stagione dei soviet) e
sostituita da una mobilitazione e tensione continua che confluisce
nella catastrofe distruttiva della guerra. Ma questa estrema
tensione, che raggiunge il parossismo forse nella Russia stalinista,
non riesce mai a diventare onnicomprensiva.
Ginsborg fa notare come
tutti i teorici del totalitarismo, a cominciare da Hannah Arendt,
abbiano trascurato i faticosi ma spesso efficaci strumenti di
resistenza messi in atto dalle famiglie contro l’eliminazione degli
spazi di autonomia, rivelandosi una realtà molto più vitale e forte
di quanto i teorici tanto rivoluzionari quanto reazionari si
sarebbero mai aspettati. E’ questa la conclusione più convincente
di un libro tanto ricco di spunti interessanti, quanto talvolta
dispersivo, perché i dati specifici, già di per sé eterogenei,
sono appesantiti da troppo dettagliate descrizioni di storia politica
generale. Sarebbe comunque interessante estendere la comparazione ai
regimi liberali coevi (e successivi); non è detto che le politiche
familiari, demografiche, di welfare, si muovessero (e si muovano) su
percorsi tanto dissimili da quelli prodotti dalle dittature esaminate
da Ginsborg. Lo storico inglese dice giustamente che nessun
totalitarismo ha raggiunto la pervasività distruttiva prevista da
Orwell in 1984; possiamo aggiungere che nessuna democrazia ha
fatto a meno di alcune delle forme di controllo sociale - palesi o
occulte – del grande fratello.
“micropolis”,
settembre 2014
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