Lo faccio di rado, ormai,
per non soffrire troppo nel pensarci, ma oggi voglio scrivere un po'
di "politica politicante", per manifestare una paura. Tutti
conoscono il mio disamore per Giorgio Napolitano, di cui non ho
ascoltato il discorso di fine d'anno, pieno di potenziali rischi per
i miei nervi e per il mio cuore. Il disamore è antico, risale almeno
al tempo della sfida che lanciò a Berlinguer accusandolo di
"moralismo", quando il segretario del Pci denunciava il
carattere sistemico della corruzione e l'esistenza di una vera e
propria questione morale.
Temo tuttavia che, con le
sue imminenti dimissioni, le cose possano addirittura peggiorare.
Napolitano esprime una visione sempre più conservatrice e
autoritaria (il prestigio nazionale, il militarismo, la bandiera, le
élites dirigenti, le forze di polizia e tutto il repertorio
classico del moderatismo di destra) ed è subalterno alle potenti
burocrazie europee come alla grande finanza internazionale; e
tuttavia, come può, vuole e sa, di quando in quando manifesta una
qualche autonomia rispetto al governo, rappresenta un freno rispetto
alla deriva dell'"uomo solo al comando" circondato da
fedelissimi, con un Parlamento depotenziato e comprato con il
mantenimento di assurdi privilegi.
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