Una messa in scena spagnola del "Miles gloriosus" (Lugo di Galizia, 2012) |
Millantatore, bugiardo,
attaccabrighe, credulone, borioso, egocentrico, gradasso, impostore,
altezzoso, goffo, pelandrone, vanesio. E quanti altri deteriori
aggettivi si potrebbero trovare per definire Pirgopolinice, il
soldato spaccone, donnaiolo, fiero delle sue eccezionali e presunte
qualità di conquistatore e sciupafemmine. L'essenza sta nel nome
stesso, che è composto in greco da tre sostantivi: «espugnatore di
torri e di città» da pyrgos «torre», polis «città»
e nike «vittoria». Tronfio delle proprie doti, non conosce
umiltà e modestia, virtù ed eroismo il Miles gloriosus di
Plauto, personaggio principale di una delle più celebri opere
teatrali della letteratura latina.
Scritta probabilmente nel
205 a. C., data a cui è possibile risalire tramite l'accenno alla
prigionia del drammaturgo Gneo Nevio, la commedia Il soldato
fanfarone è la più lunga opera plautina, con i suoi 1437 versi.
Venne composta in uno dei periodi in cui Roma era ammirata per le
vittoriose imprese sui campi di battaglia. Proprio quando tutto il
popolo aveva negli occhi la ricchezza dei bottini e i trionfi dei
generali, tanto che il valore in guerra veniva apprezzato dal comune
sentimento di un diffuso militarismo. Tuttavia, una costante di
Plauto fu quella di evitare sempre ogni possibile riferimento al
contesto politico a lui coevo. Per non correre rischi censori o
accuse in tribunale.
Eppure, mentre le sue
opere venivano allestite, Roma viveva il dramma della seconda guerra
punica e, in seguito, le campagne d'Oriente di notevole successo:
commercianti, ricchi usurai, affaristi di tutti i tipi testimoniano
lo sviluppo capitalistico della società borghese e fanno presagire
il passaggio alla tirannide e la conseguente nascita dell'impero.
Tutto questo grazie alla forza dell'esercito romano. Perché allora
mettere alla berlina un soldato descritto nei suoi tratti peggiori?
Perché destinarlo a divenire in breve una maschera della risata,
alla pari del lenone, del vecchio avaro, del servo e della meretrice?
Abilmente Plauto scrisse
in funzione del pubblico a cui si rivolgeva e svolse satira sociale,
nascondendola sotto la forma di un'allegra parodia. Decise di mettere
al centro dell'azione comica un soldato, appunto per intrattenere
anche il pubblico dei militari, sapientemente attingendo a battute e
ad allusioni scherzose, a volte pesanti, che mettevano in ridicolo la
vita del guerriero. I suoi modelli furono gli autori della commedia
attica, da Menandro a Difilo, a Filemone, mentre nel testo è Plauto
stesso a dire di essersi ispirato ad un'opera greca chiamata Alazón,
ossia Lo smargiasso, di autore ignoto. D'altronde, come
tradizione e convenzione imponevano, l'ambiente della commedia era
greco, privo perciò di realismo.
In ogni caso
Pirgopolinice, l'armigero millantatore e amorale, ha un ruolo del
tutto passivo, la sua presenza è semplicemente utile per variare
l'intreccio rispetto alle altre commedie. L'autentico protagonista,
tipologia immortale di questo genere, rimane il servo astuto,
Palestrione, il «regista» di tutta l'azione. La trama si fonda
sulla lotta d'amore, che vede Pirgopolinice e Pleusìcle, tra le case
di Efeso, contendersi le grazie di Filocomàsia, e sulla irridente
trovata del servo furbo, che alla fine riesce a consegnare l'amata al
giovane Pleusìcle, mentre il povero soldato gradasso finisce per
prendersi una lunga scarica di bastonate, per di più è costretto a
giurare di essersi ravveduto, mezzo nudo e piangente, mentre un
manipolo di servi minaccia di evirarlo.
Accanto all'inganno più
evidente, Plauto inserisce un'altra beffa ideata sempre da
Palestrione, il quale fa credere che Filocomàsia abbia una sorella
gemella: quello del doppio rimane un tema davvero caro all'autore.
Pirgopolinice viene trattato da Plauto come un burattino, la maschera
capostipite degli «eroi» spacconi, dalla Commedia dell'Arte a
figure quali Rodomonte, Capitan Fracassa, Don Giovanni. Lo spettatore
si ritrova nel cuore di una farsa dai toni volutamente esagerati.
Dominato da insulsa vanità, Pirgopolinice si crede fratello
d'Achille, superiore a Marte, ineguagliabile sui campi di battaglia
grazie alla prestanza fisica e al coraggio, inarrivabile per bellezza
e irresistibile conquistatore di femmine, nipote di Venere e pertanto
vittima della propria avvenenza, conteso da tutte le donne che lo
incontrano e poi lo assediano con bramosia.
Corriere della Sera,
30.8.2012
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