Si è concluso nei giorni
scorsi, con la Giornata mondiale della gioventù, alias Giubileo dei
giovani, il viaggio del papa cattolico in Polonia. L'attenzione
prevalente dei media è stata diretta alle parole di Bergoglio sui
timori di “guerra di religione” collegate al diffondersi di un
terrorismo che si proclama islamico, ma le stesse coreografie
“ibride” delle grandi manifestazioni segnalavano un qualche
attrito tra il riformismo di Bergoglio e la Chiesa cattolica polacca,
assai conservatrice, come lo sono in genere quelle dell'Est europeo.
L'articolo che segue è uscito prima dell'evento, ma le informazioni
che diffonde servono a comprendere anche il dopo. (S.L.L.)
La comunione per i
divorziati risposati, il respiro ecologista dell’enciclica Laudato
si’ e la critica ai privilegi materiali degli ecclesiastici.
L’agenda di rottura propugnata da papa Francesco non entusiasma la
chiesa polacca, che sull’eucarestia, per esempio, ha espresso una
posizione conservatrice. E rispetto all’impegno per l’ambiente
sembra piuttosto scettica. Addirittura «per molti preti le questioni
ecologiche sono sinonimo di comportamenti anti-cristiani, guidati dai
cosiddetti “eco-terroristi”, persone che sostengono l’aborto e
l’eutanasia», ha scritto lo scorso dicembre il giornalista Michał
Olszewski sul sito dell’ufficio polacco della
Heinrich-Böll-Stiftung, rispettata fondazione tedesca. Quanto al
terzo punto, quello dei privilegi materiali, uno dei rimproveri mossi
più di frequente all’episcopato polacco è l’essersi dedicato in
modo compulsivo, dopo il 1989, a pretendere dallo Stato trasferimenti
finanziari, spostando in secondo piano quell’attenzione per il
sociale che fu centrale durante l’epoca travagliata del comunismo.
L’appello di Francesco
per una chiesa meno complessata dal denaro e più vicina agli ultimi
genera dunque tra i vertici religiosi della Polonia un po’ di
imbarazzo. Così scrive la stampa liberale di Varsavia.
Ecco perché la presenza
del papa a Cracovia per la Giornata mondiale della gioventù (26-30
luglio) non potrà tradursi in un semplice momento di fede. Ma
attenzione. A Cracovia non si consumerà lo strappo tra Bergoglio e
la chiesa polacca. Tutt’altro. È nell’interesse di entrambi
stabilire una meno traballante superficie di contatto.
Il pontefice ha bisogno
della Polonia. Benché con il passare degli anni sia sceso
sensibilmente il numero dei seminaristi (dagli 8.122 del 1990 si è
passati ai 3.571 del 2015) e di conseguenza anche quello delle
ordinazioni sacerdotali (dalle 768 del 1992 alle 481 del 2011), la
Polonia rimane il Paese più cattolico d’Europa, con il più alto
numero di sacerdoti. Molti dei quali servono all’estero. Da loro,
spesso, dipende la sopravvivenza di tante, piccole parrocchie nel
vecchio continente. Nemmeno la chiesa polacca, da parte sua, può
permettersi lo scontro frontale con Francesco. E anzi, l’arrivo del
pontefice e di centinaia di migliaia di giovani a Cracovia sono sulla
carta un’occasione unica per avviare un’operazione di cosmesi, ha
spiegato in una recente riflessione John L. Allen Jr., direttore di
The Crux, periodico cattolico legato fino a poco tempo fa al “Boston
Globe”. Bergoglio non è di certo il papa che la chiesa polacca
vorrebbe, ha ragionato il giornalista, ma è quello che può esserle
più d’aiuto per riqualificare un’immagine screditata da un
atteggiamento intransigente verso la modernità e dalla fame di
potere, economico e politico. Ma per scrollarsi di dosso questa
brutta etichetta è necessario che si apra a Francesco e al suo
messaggio di novità. In fondo, secondo John L. Allen Jr, questo papa
ha molto del primo Wojtyla. È un «cane sciolto» e «un pontefice
venuto da lontano». La differenza è che la chiesa polacca, rispetto
a quei tempi, ha una natura molto diversa.
La Polonia è semper
fidelis, ma soffre la secolarizzazione. Nel 1980 si recava a
messa, la domenica, il 51% dei cattolici (che rappresentano oltre il
90% della popolazione). Nel 1995 la percentuale era pari al 46,8%.
Nel 2014 è calata ulteriormente, fino al 39,1%, si apprende dal sito
pope2016.com, creato per la Giornata mondiale della gioventù.
Televisione, consumi, frenesia dei ritmi e degli stili di vita
moderni. Anche in Polonia questi cambiamenti, benché giunti in
ritardo, solo dopo il crollo del muro di Berlino, sono all’origine
del processo di distacco dalla religione. Per diversi osservatori,
tuttavia, incide anche la mutazione dell’agire della chiesa. E
anche in questo caso il 1989 fa da spartiacque. Prima di quella data
la chiesa aveva contribuito a tenere in vita l’orgoglio e lo
spirito di una nazione oppressa dal comunismo. E s’era schierata a
fianco degli operai, ancor prima della nascita di Solidarnosc, tutte
le volte che s’erano sollevati per denunciare lo sfruttamento
imposto dal regime.
L’89 ha ribaltato il
piano. La chiesa polacca è passata dall’antagonismo alla
collaborazione con il potere statale. Ma così facendo «si è
avvicinata troppo allo Stato, vi si è unita, ne è diventata
dipendente», ha detto all’Huffington Post il sociologo Michal
Luczewski, ex direttore del Centro per il pensiero di Giovanni Paolo
II di Varsavia. Parallelamente, lo Stato e l’intero sistema
partitico si sono vincolati alla chiesa. In Polonia vincere
un’elezione senza l’appoggio degli apparati cattolici è
impensabile. Da qui si è strutturato un rapporto specifico, fondato
su uno scambio: la chiesa ha fornito consenso alla politica, la
politica ha girato denaro nelle casse della chiesa. E questo ha
indispettito molti fedeli. Tra loro s’è fatta strada l’idea che
la chiesa abbia dimenticato gli ultimi per concentrarsi quasi
esclusivamente sulla propria sussistenza materiale, negoziata con
accordi di palazzo.
Tra i simboli di questa
mutua dipendenza c’è il Fundusz Koscielny, il Fondo per la chiesa.
È lo strumento con cui lo Stato copre ogni anno una larga fetta del
costo del sostentamento del clero, più qualche altra attività
ecclesiastica. Fu istituito dal regime comunista nel 1950 per
compensare la chiesa dalla requisizione di beni e terreni. Dopo il
1989 è stato confermato, e i vescovi hanno lavorato con successo
affinché la dotazione del Fondo crescesse ogni anno. Nel 2008-2009
ha lambito la quota di cento milioni di zloty, circa 25
milioni di euro. Il flusso si è leggermente ridotto negli anni
successivi, anche per via del rallentamento economico dovuto alla
crisi, per poi risalire e raggiungere il record di 118 milioni nel
2015. Dal 2014 il Fondo avrebbe dovuto essere sostituito da uno
schema fondato sulle donazioni volontarie dei contribuenti, nella
misura dello 0,5% del reddito dichiarato. La riforma, messa in
cantiere dal precedente governo liberale, cercava di intercettare il
consenso dell’elettorato progressista, ma anche di non penalizzare
la chiesa, che secondo le stime avrebbe ricevuto in questo modo
persino più soldi.
Ma tutto si è arenato.
Il governo non se l’è sentita di approvare una svolta del genere,
vista la contrarietà manifestata dalla chiesa e il possibile prezzo
da pagare alle urne, apertesi nell’ottobre 2015. Il voto ha
comunque determinato un cambio della guardia. Al potere è tornato
Diritto e Giustizia, il partito populista di Jaroslaw Kaczynski. Il
più vicino alle posizioni e alle esigenze della chiesa. E sono
fioccati subito bei favori. Tra cui l’aumento dei trasferimenti
statali alla chiesa. Il governo ha inoltre annunciato la revoca della
legge sulla fecondazione in vitro, e potrebbe appoggiare il divieto
totale di aborto. E, per tornare alle questioni di soldi, ha previsto
un ricco finanziamento per l’ateneo privato di padre Tadeusz
Rydzyk, a capo di un cartello di media cattolici capaci di spostare
molti voti. L’ammiraglia è Radio Maryja, che con il suo linguaggio
ultra-conservatore, euroscettico e a tratti tacciato persino di
antisemitismo, è un ingrediente importante del consenso di
Kaczynski.
Padre Rydzyk è ritenuto
da molti osservatori la voce e il volto di una chiesa conservatrice,
ricca, politicizzata. E maggioritaria. Più volte sono uscite
indiscrezioni su strani giri di denaro da lui gestiti, e qualcuno –
intellettuali come il filosofo Jan Hartma, ma anche qualche religioso
come il redentorista Jerzy Galinski – ha chiesto al Vaticano di
fare luce. Anche di recente, nell’era del pontificato di Francesco.
Come nelle precedenti occasioni, gli appelli sono caduti nel vuoto.
Bergoglio ha bisogno della Polonia, e di questa chiesa. Vale anche il
discordo opposto. Resta da capire in che misura il Papa e i vescovi
di Varsavia sapranno trovare una chimica, anche se minima. C’è
come l’impressione che il primo, per i secondi, venga davvero
troppo da lontano.
Pagina 99, 16 luglio 2016
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