Galileo Galilei |
Le sfide da affrontare
per tutelare la scienza. Congresso dell’Associazione Coscioni, a
Torino.
“Ci sono paesi nei
quali si studia come sostituire un gene difettoso in un embrione per
evitare che un bambino nasca malato, e altri dove si usano ogni
giorno le staminali embrionali per capire come trasformarle in
terapia. Ci sono paesi dove è già in vendita salmone geneticamente
modificato per crescere il doppio del normale, e altri dove un
autentico zoo di animali modificati per gli scopi più diversi
attende le ultime autorizzazioni. Ci sono paesi dove si studia come
rispondere alla mancanza di cibo modificando l’espressione di
alcuni geni vegetali, per ottenere piante che rendano di più e
consumino di meno. Ci sono infine paesi dove si può scegliere come
procreare e come morire. L’Italia non è tra questi paesi, e ciò
spiega perché, nella classifica della libertà di ricerca e per
l’autodeterminazione coordinata da Andrea Boggio, docente di
scienza del diritto della Bryant University di Smithfield (Rhode
Island), e basata su leggi e norme introdotte dal 2009 a oggi in
merito a fecondazione medicalmente assistita, aborto e
contraccezione, decisioni di fine vita e ricerca su embrioni, il
paese occupi un deprimente trentesimo posto su 46, dietro a stati
quali Singapore, Sud Africa, Vietnam, India e Israele. Anche se, come
sottolinea lo stesso Boggio a “Repubblica”: “Basterebbe
introdurre normative che regolino la cosiddetta eutanasia passiva e
altre che consentono di studiare le cellule embrionali per balzare a
livello di paesi quali la Gran Bretagna. Per il momento siamo molto
lontani”.
Se ne parla pochissimo, e
quasi mai in sedi proprie e senza l’onda emotiva di qualche fatto
che occupa i social e i media per poche ore. Per affrontare questi
temi e rispondere a molte domande in materia si è aperto a Torino il
XIV Congresso dell’associazione Luca Coscioni, che si occupa di
promuovere e difendere le libertà civili.
Soprattutto per quanto
riguarda la ricerca, ha ancora senso erigere dei muri nel mondo di
oggi, con la velocità e la facilità con la quale viaggiano dati,
informazioni, ricercatori? Tutto ciò serve a indirizzare gli studi o
soltanto a complicarli e a renderli più costosi? E deve esistere
qualcuno che pone veti a ricerche che possono essere molto delicate o
si deve lasciare che la ricerca faccia il suo corso e poi,
eventualmente intervenire sulle loro applicazioni? Nel caso debba
esistere un ente che controlla, chi decide chi ne deve far parte?
Per iniziare almeno a
discutere di questi temi, l’Associazione Luca Coscioni, oltre ad
aver promosso la compilazione della classifica di Boggio, ha dedicato
il suo XIV congresso, in programma al Molecular Biotechnology Center
dell’Università di Torino da oggi e domani a margine dell’incontro
dei G7 a Scienza e non violenza, disobbedienza civile e ricerca
per nuove libertà. Gli interventi che si alterneranno nelle due
giornate di discussioni saranno tenuti da esponenti del mondo della
ricerca italiana come Chiara Tonelli ed Elena Cattaneo, ma anche da
cervelli in fuga come Giulio Cossu, che per lavorare sulle cellule
embrionali è dovuto andare in Gran Bretagna, da costituzionalisti e
giuristi come Amedeo Santosuosso e Vladimiro Zagrebelsky, da esperti
di bioetica come il valdese Luca Savarino, nonché da personalità
internazionali quali Mikel Mancisidor, vice-Presidente del Comitato
Onu sui diritti economici, sociali e culturali. Oltre ai temi
inerenti alla libertà di ricerca, sono previste sessioni sulla
disabilità, sull’eutanasia e sul testamento biologico, atto che si
potrà compilare nella stessa sede del congresso, e ulteriori
iniziative come la prescrizione di cannabis terapeutica.
Il congresso è stato
preceduto, ieri, da un’intera giornata di relazioni e discussioni
su un caso di scuola, quanto a libertà di ricerca: quello delle
sostanze stupefacenti e psicotrope, cui hanno preso parte molti
relatori italiani e internazionali esperti di ricerca e di politica
degli stupefacenti.
Come hanno sottolineato
alcuni degli autori degli studi più importanti degli ultimi anni
come David Erritzoe dell’Imperial College di Londra, o Natalie
Ginsberg della Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies
(Maps: http://www.maps.org/ ), associazione americana no profit che
da oltre trent’anni sostiene la ricerca in questo ambito, negli
ultimi anni è emersa in misura via via sempre più chiara la
possibilità che alcune sostanze considerate d’abuso come LSD,
psilocibina, MDMA (meglio noto con il nome che ha come sostanza
d’abuso: ecstasy) o ketamina possano avere importanti applicazioni
terapeutiche, se impiegate nelle condizioni appropriate. Non a caso
la FDA nei mesi scorsi, in seguito alla pubblicazione di alcuni studi
clinici controllati, ha dichiarato breakthrough tanto la ketamina,
anestetico salvavita presente in tutti gli ospedali e usato anche in
veterinaria ma, a dosi inferiori, oggetto di consumo illegale con il
nome di Special K e, in dosi terapeutiche, possibile antidepressivo,
quanto l’MDMA, che sarebbe in grado di curare il disturbo post
traumatico da stress, e ha così spianato la via a sperimentazioni
estese che potrebbero portare all’approvazione di alcuni impieghi
terapeutici attorno al 2021.
Ancora più significativo
è il caso dell’LSD e della psilocibina, due sostanze che hanno un
meccanismo d’azione diverso dai precedenti, che non creano
dipendenza e non hanno tossicità rilevanti. Oggetto di moltissimi
studi tra il 1943, anno della scoperta dell’LSD da parte del
chimico svizzero Albert Hofmann, e il 1971, anno del bando globale,
entrambi stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza, ribattezzato
dagli addetti ai lavori Rinascimento psichedelico. Come hanno
dimostrato sia Erritzoe che Ginsberg, riportando i dati pubblicati
dalle rispettive istituzioni su riviste di tutto rispetto quali
“Lancet”, date nelle giuste dosi, nell’ambito di programmi che
prevedono anche psicoterapia, sotto stretto controllo medico (tutti
coloro che ci lavorano chiedono che queste sostanze siano
somministrate solo in centri certificati e che siano istituiti
registri nazionali e internazionali di utilizzatori), entrambi si
stanno dimostrando in grado di curare le dipendenze da alcol, tabacco
e gioco, le depressioni resistenti ai farmaci, le cefalee da
suicidio, l’ansia, i disturbi post traumatici da stress e molto
altro in misura nettamente superiore rispetto a svariate categorie di
farmaci.
Nel mondo li si studia
appunto in Gran Bretagna, negli Stati Uniti (oltreché al MAPS, in
diverse università tra le quali quella la Johns Hopkins di Baltimora
e la Columbia di New York), in Svizzera (all’università di Zurigo)
e in altri paesi, tra mille difficoltà burocratiche (sono vietati
ovunque, ma alla ricerca è concesso qualche spazio), eppure
continuando a produrre risultati molto interessanti. In Italia non
esiste neppure un gruppo che ci lavori se non come sostanze d’abuso,
e nessuno che abbia in programma di farlo, anche se da almeno
trent’anni non c’è niente di nuovo per esempio nel trattamento
della depressione, che colpisce milioni di persone e che i farmaci
esistenti possono curare in un caso su tre, e anche se contro le
dipendenze gli strumenti terapeutici sono a dir poco spuntati. E del
resto la situazione della cannabis, cui sono state dedicate diverse
relazioni, che ancora stenta moltissimo a entrare nell’impiego
corretto, spiega ancora meglio quali resistenze culturali ci siano di
fronte a certe sostanze, anche quando considerate da un punto di
vista prettamente scientifico. Il Rinascimento, in Italia, per il
momento è storia passata, ma almeno qualcuno ha iniziato a parlarne.
“la Repubblica”, 30
settembre 2017
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